Sinizesi.
Synizeses.
Vedi Concorso delle vocali.Dittonghi ec. See Concurrence of vowels. Diphthongs. 1151,1 2247,2 2339,1 2656,marg. 2889,3 3351,1 3684,6 3735,1 4036,6 4103,3[1151,1]
Alla p. 1124.
marg. E chiunque porrà mente ai versi de' comici, e altresì di Fedro, e degli altri Giambici latini, o
se n'abbiano opere intere (come {Catullo,} le tragedie di Seneca) o frammenti, ci troverà molte altre licenze
proprie di quelle sorte di versi, e note agli eruditi; ma anche
1152 potrà di leggeri avvertire che dovunque
s'incontrano due {o più} vocali alla fila, o nel
principio o nel mezzo o nel fine delle parole, quelle vocali {per lo più e quasi regolarmente} stanno per una sillaba sola, come
formassero un dittongo, quantunque non lo formino, secondo le leggi ordinarie
della prosodia. Fuorchè se dette vocali si trovano appiè de' versi, dove {bene} spesso {(come ne' versi
italiani)} stanno per due sillabe, ma spesso ancora per una sola, come
in questo verso di Fedro:
Repente vocem sancta misit Religio. *
(l. 4. fab. 11. {al. 10.} vers. 4.) Questo è un giambo trimetro acataletto, cioè di sei piedi puri, e la penultima breve, non è la sillaba gi di Religio, ma la sillaba li. Similmente in quel verso di Catullo {+sebbene in questo, {e nelle leggi metriche,} più diligente assai degli altri,} (Carm. 18. {al. 17.} v. 1.) O Colonia quae cupis ponte ludere ligneo *
la penultima dovendo esser lunga, non è la sillaba gne di ligneo, ma la sillaba li, s'è vera questa lezione di ligneo per longo come altri leggono. Oltre che questo verso trocaico stesicoreo, dovendo essere di quindici sillabe, sarebbe di sedici, se ligneo fosse trisillabo. (La parola ligneo è qui un trocheo, piede di una lunga e una breve, detto anche coreo.) E quello che dico de' latini, dico anche dei greci. Nel primo verso della Ricchezza di Aristofane
Ὡς ἀργαλέον πρᾶγμ' ἐστὶν ὠ Ζεῦ καὶ Θεοὶ *
1153 la parola ἀργαλέον è trisillaba. E notate che scrivendo
῾Ως αργαλέον πρᾶγμ᾽ ἐστ᾽ ὦ Zεῦ χαὶ ϑεοί,
senza nessuna fatica questo verso riusciva giambo trimetro o senario puro, secondo le regole della prosodia greca. Dal che si vede che quei poeti i quali scrivevano, come dice Tullio dei Comici, a somiglianza del discorso, (Oratoris cap. 55.) adoperavano quasi regolarmente siffatte vocali doppie ec. come dittonghi, e conseguentemente che l'uso quotidiano della favella (tenace dell'antichità molto più che la scrittura) le stimava e pronunziava per dittonghi, o sillabe uniche, sì nella Grecia come nel Lazio. Puoi vedere la nota del Faber al. 2. verso del prologo di Fedro lib. 1. e quella pure del Desbillons nelle Addenda ad notas p. LI. fine. (10. Giugno, dì di Pentecoste. 1821.). {{V. p. 2330.}}
Repente vocem sancta misit Religio. *
(l. 4. fab. 11. {al. 10.} vers. 4.) Questo è un giambo trimetro acataletto, cioè di sei piedi puri, e la penultima breve, non è la sillaba gi di Religio, ma la sillaba li. Similmente in quel verso di Catullo {+sebbene in questo, {e nelle leggi metriche,} più diligente assai degli altri,} (Carm. 18. {al. 17.} v. 1.) O Colonia quae cupis ponte ludere ligneo *
la penultima dovendo esser lunga, non è la sillaba gne di ligneo, ma la sillaba li, s'è vera questa lezione di ligneo per longo come altri leggono. Oltre che questo verso trocaico stesicoreo, dovendo essere di quindici sillabe, sarebbe di sedici, se ligneo fosse trisillabo. (La parola ligneo è qui un trocheo, piede di una lunga e una breve, detto anche coreo.) E quello che dico de' latini, dico anche dei greci. Nel primo verso della Ricchezza di Aristofane
Ὡς ἀργαλέον πρᾶγμ' ἐστὶν ὠ Ζεῦ καὶ Θεοὶ *
1153 la parola ἀργαλέον è trisillaba. E notate che scrivendo
῾Ως αργαλέον πρᾶγμ᾽ ἐστ᾽ ὦ Zεῦ χαὶ ϑεοί,
senza nessuna fatica questo verso riusciva giambo trimetro o senario puro, secondo le regole della prosodia greca. Dal che si vede che quei poeti i quali scrivevano, come dice Tullio dei Comici, a somiglianza del discorso, (Oratoris cap. 55.) adoperavano quasi regolarmente siffatte vocali doppie ec. come dittonghi, e conseguentemente che l'uso quotidiano della favella (tenace dell'antichità molto più che la scrittura) le stimava e pronunziava per dittonghi, o sillabe uniche, sì nella Grecia come nel Lazio. Puoi vedere la nota del Faber al. 2. verso del prologo di Fedro lib. 1. e quella pure del Desbillons nelle Addenda ad notas p. LI. fine. (10. Giugno, dì di Pentecoste. 1821.). {{V. p. 2330.}}
[2247,2]
Alla p. 1124.
marg. Tutto quello che ho detto pp. 1151-53 della monosillabìa di tali vocali successive, quantunque
non connumerate fra' dittonghi, cresce di forza, se queste vocali doppie, triple
ec. sieno le stesse, cioè due e, due i ec. e massimamente se sono due i (l'esilissima lettera dell'alfabeto). Giacchè non solo i poeti
giambici, comici ec. ma gli epici, i lirici ec. consideravano spessissimo il
2248 doppio i come una sola
sillaba, secondochè si può vedere in Dii
Diis; anzi più spesso, cred'io, per una sola sillaba
che per due. Anzi lo scrivevano ancora con una sola lettera, e questo fu proprio
degli antichi, e seguitato poi da' poeti. V. il Forcell.
il Cellar.
l'Encyclop.
Grammaire, in I, o J.) Ora appunto il caso nostro ne'
preteriti della 4.ta è di un doppio i, il quale pure
cred'io che spesso troveremo e nelle antiche scritture latine e ne' poeti, e
scritto e computato per vocale semplice, ovvero per sillaba unica; e forse più
spesso così che altrimenti, cioè più spesso audi che
audii ec. Osservate che anche i nostri antichi
solevano scrivere udì, partì
per udii partii ec. {+I latini facevano similmente ed anche scrivevano semplice il doppio i di ii, iidem, iisdem, ec.
V. fra gli altri infiniti, Virg.
En. 2. 654. 3. 158. E quante volte troverete
ne' poeti o negli antichi prosatori audisse
audissem ec. ec. Ovvero p. e. petiisse trisillabo ec. Forse più spesso che
quadrisillabo.}
[2339,1] La cagione poi per cui dalle voci della quarta
congiugazione si facevano i verbi in uare
{(o uere ec.)} e non in are semplicemente come da quelli della seconda, io
credo che fosse questa, che le dette voci anticamente e propriamente
terminassero in uus, giacchè anche oggi, almeno nel
genitivo singolare, o ne' nominativi e accusativi plurali, si suole scrivere metûs fluctûs, {actûs} ec.
col circonflesso. V. i gramatici, e gli eruditi. {+Infatti contro il costume della lettera u, nella prosodia latina, essa lettera è lunga
nella desinenza del genitivo e ablativo singolare, nominativo e accusativo
plurale della quarta Declinazione. Dove appunto io credo che l'u anticamente fosse doppio, e quindi poi lungo,
come l'a dell'ablativo singolare 1. declinazione
per la stessa causa. V. la p.
2360. 2365.}
(Ed osserva che questa è un'altra prova dell'essersi dagli antichi pronunziate
le vocali doppie come sillabe semplici, giacchè metus
ec. presso tutti i poeti è dissillabo, e metum seguito
da vocale, resta monosillabo ec.) Laonde togliendo ad esse voci la terminazione
in us come nè più nè meno a quelle della seconda,
restava un altro u, ed aggiungendo la desinenza in are, conveniva dire fluctu-are, e non fluct-are ec. Come appunto
da continuus, ch'essendo della seconda, pur finisce in
uus, si fa (togliendo la desinenza in us) continu-are, da perpetuus
pertu-are{, da cernuus
cernu-are, ec.}
{+da vacu-us
evacu-are, da Febru-us o
da Febru-a, orum, februare ec. da obliquus
obliquare ec. da viduus
viduare ec.}
(9. Gen. 1822.)
{{, da Fatua
fatuari, da fatuus
infatuare.}}
[2656,2] Ad Cic.
de re publ. II. 10. p. 143. v. ult. ubi
legitur septem, haec Maius editor ib. not. c. Cod.
septe. Iam
m
finalem omitti interdum in antiquis codicibus
exploratum est. An vero illud
septe
e lingua rustica est? Certe ita fere nunc loquuntur
Itali.
*
(19. Dic. 1822.). {+Nel
Conspectus Orthographiae Codicis
Vaticani aggiunto dal Niebuhr a questa edizione, si legge p. 352.
col. 2. septe (II. 10.) et
mortus (II.
18.) a desciscente in vulgarem sermone
tracta sunt.
*
Le sillabe
finali am
em ec. s'elidevano ne' versi. Dunque l'm
infatti non si pronunziava. V. i miei pensieri
sulla sinizesi.}
p.
1124
pp.
1151-53
pp. 2247-50
p.
4354
{{V. la pag. 2658.}}
[2889,3] Dico altrove pp. 1124-25
pp.
1151-53
pp. 2266-68 delle
sillabe latine che non sono dittonghi, e pur sono composte di più vocali. Tra
queste e[è] notabile la seconda sillaba di eheu, la qual voce non è trisillaba, ma dissillaba,
benchè composta di tre vocali, e benchè eu non si
conti fra' dittonghi latini. {Eburneus -eburnus.}
2890 Ed è dissillaba non per licenza o figura poetica,
ma per regola, e trisillaba non potrebb'essere o non senza licenza. Così dite di
hei, heu, euge, eugepae, euganeus ec. ec. (4. Luglio. 1823.).
[3351,1]
Alla p. 2843.
marg. Dico verbi dissillabi contando per una sola sillaba l'eo ne' verbi della seconda (do-ceo), e l'io in quelli della quarta (au-dio), secondo il volgar uso da me altrove
dimostrato pp. 1123.
sgg. , che per dissillabi li pronunziava. E dico dissillabi, avendo
riguardo al tema, cioè alla prima persona singolare presente indicativa.
(4. Sett. 1823.).
[3684,6] Nomi in uosus, verbi in
uare ec. ec. come altrove in più luoghi p.
2019
p.
2324
p.
2339
p.
2889
p.
3617. {Casuale. Exercitualis.
Casuiste, franc. Luctuosus. Fructuosus. Fatuité. fortuitus. mortualia,
mortuarius, mortuosus. manualis. manuarius.} Aggiungi amanuensis. Questi nomi o verbi o avverbi ec.
ch'essendo fatti da' nomi della quarta declinazione (come da manus) conservano sempre l'u, mentre quelli fatti da' nomi della
3685
seconda, sempre (o regolarmente) lo perdono, mostrano chiaramente che il
genitivo ec. de' nomi della quarta, ch'ora è in us
lungo ec. o in u lungo ne' neutri, anticamente fu in
uus o in uu ec. {#1. V. p. 3752.}
{Giacchè si vede che i derivati da' nomi
della quarta si formano al modo istesso che i derivati delle voci nelle
quali il doppio u ancor si conserva ed è manifesto
e fuori di controversia, come dire i derivati de' nomi in uus ec.} I quali due u valsero per una sola sillaba, come il doppio a degli ablativi singolari della prima. Sia che questo, e il doppio
u, si pronunziassero doppi, o pur semplici,
strascinando in certo modo la voce ec. In tutti i modi quest'osservazione si
riferisca al mio discorso sui dittonghi latini pp. 1151-53
pp. 1158-60
pp. 2266-68 non
considerati da' grammatici, o ch'essi nella pronunzia fossero monottonghi, o
dittonghi veramente, o trittonghi ec. che tutto fa egualmente a quello ch'io
voglio dimostrare in detto discorso. Perocchè s'anche e' divennero col tempo
monottonghi, e ciò fino nella migliore età della lingua latina (come i comuni
ae
oe ec.), ciò tuttavolta, anzi più che mai, dimostra
che gli antichi latini (de' quali nel detto discorso si parla) pronunziavano
{sì} rapidamente le vocali successive e
concorrenti, {ch'}e' le tenevano tutte insieme (o due o
più che fossero) per una sillaba sola, e tale le facevano essere nella
pronunzia, e sovente nella scrittura
3686 e ne' versi
più o men regolari, più o men rozzi e informi, e massime ne' ritmici, {+che certo furono propri de' più antichi,
come poi de' più moderni, invece de' metrici, o più di questi ec.} ma
eziandio ne' metrici, ec. ec. (14. Ott. 1823.).
[3735,1]
3735
Alla p. 3732.
marg. - (fuorchè ne' perfetti di luo ec. V.
Forc.
luo: fui da fuo è breve), ne' supini in utum è sempre lungo (dico l'u radicale),
fuorchè ne' composti di ruo; dico ne' composti, ma in
ruo no. (V. Forc. in Ruo fin. e in Ruta
caesa). Il che par che dimostri che quell'u radicale in utum tien
luogo di due vocali (ui); altrimenti non avrebbe
alcuna ragione di esser lungo quivi, e in tutto il resto del verbo, breve. E
infatti se il supino si conserva {primitivo} e non
contratto, cioè desinente in uitus, l'u è breve non men che l'i,
come in ruitus (Reg. Parnas.) e in fluito, fluitans ec.
(20. Ott. 1823.). {Anche
l'antico futum di fuo
(per fuitum) dovette aver la prima breve, come
l'ha futurus che da esso viene, e che sta per fuiturus. Vedi la pag. 3742.}
[4036,6] L'uso della sinizesi da me altrove in moltissimi
luoghi p. 1124
pp.
1151-53
pp. 2247-50
p.
4354. distesamente notato ne' latini {e dimostrata
volgare fra loro e familiare ec.} osservisi essere un'altra delle
conformità del volgar latino colle nostre lingue, in cui essa sinizesi non è pur
volgare, ma regolare ec. ec. (28. Feb. 1824.).
[4103,3]
Ficulneus - ficulnus appo Orazio, e nóta che l'us vi è
breve. (21. Giugno. Festa di S. Luigi
Gonzaga. 1824.).
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