[32,1]
32 La tartaruga lunghissima nelle sue operazioni ha
lunghissima vita. Così tutto è proporzionato nella natura, e la pigrizia della
tartaruga di cui si potrebbe accusar la natura non è veramente pigrizia assoluta
cioè considerata nella tartaruga ma rispettiva. Da ciò si possono cavare molte
considerazioni.
[64,1] Quello che ho detto p. 32. di questi pensieri della tartaruga si potrà forse dire anche
del Pigro della cui vita bisogna vedere presso i naturalisti se sia lunga.
[71,3] Io credo che la moltitudine assoluta di ciascuna specie
di animali sia in ragion diretta della loro piccolezza. Senza dubbio una sola
pianticella in una campagna contiene bene spesso più formiche {assai} che non v'ha uomini in tutto quel campo. Così
discorriamola. Vedi i naturalisti, e se questa osservazione sia stata fatta da
nessuno di loro. Osservo anche la moltitudine degli uccelli i cui stormi sono
innumerabili, e nondimeno son vinti dalla folla degli animali più
72 piccoli che si ritrova in questo o in quel luogo
secondo le circostanze rispettive.
[228,3] Il volume delle frutta de' nostri paesi va, non
esattamente, ma in genere, appresso a poco in ragione inversa della grandezza
delle piante fruttifere. Piccoli arboscelli producono la zucca, il cocomero (uno
in quest'anno se n'è veduto
229 fra noi del peso di 28
libbre), il mellone ec.: un arboscello un poco più grande produce il pesco, più
grande la ciriegia, la mandorla, la noce, l'avellana, ec.: e finalmente la
quercia produce la ghianda. (30. Agosto 1820.).
[255,1] L'allegria bene spesso è madre di benignità e
d'indulgenza, al contrario delle cure e dei mali umori. Questa è cosa nota e
osservata, sicchè non mi fermerò a cercarne la ragione, ch'è facile a trovare.
Ma solamente considererò l'armonia della natura, la quale mirando sempre alla
felicità degli esseri, e per conseguenza l'allegria nel sistema naturale dovendo
essere la condizione più frequente della vita, ha voluto che fosse compagna
della piacevolezza verso i suoi simili, virtù somma nella società, e per
conseguenza che l'allegria fosse utile non solo all'individuo, ma anche agli
altri, e servisse alla società, e rendesse l'uomo verso altrui, tale quale
dev'essere.
[358,1] Il vigore e il ben essere del corpo conferisce alla
serenità dell'animo, e la serenità dell'animo al vigore e al ben essere del
corpo. {Come per lo contrario la debolezza o mal essere del
corpo, e la tristezza dell'animo.} Così la natura aveva congegnata e
ordinata ogni cosa alla più felice condizione dell'uomo.
[3509,1] Niente d'assoluto. - Veggasi il pensiero antecedente, {#1. in particolare p. 3498-9. margine.} nel quale si dimostra che {nè} l'uomo nè alcun vivente non desidera neppur la
felicità assolutamente, ma relativamente, e solo s'ella conviene alla di lui
propria natura, ed è richiesta dal di lui modo {particolare} di essere ec. e in quanto ella sia tale. ec. Nè perchè
una cosa sia felicità, per questo solo ei la desidera, nè si compiace nello
sperarla, quando ella non convenga al suo modo di essere ec. -
{Si può però dire per un lato, che l'uomo
desidera la felicità assolutamente. Veggasi la p. 3506. Ei non desidera tale o tale felicità,
s'a lui non conviene: e dovendo desiderare una tale felicità, ei non può desiderar se non la
conforme e propria al suo modo di essere. Ma la felicità assolutamente e
indeterminatamente considerata, e s'ei così la considera, ei non può non
bramarla, cioè in quanto felicità semplicemente.} Di qual cosa par che
si possa ragionare più assolutamente che della lunghezza o estensione di una
data porzione di tempo? la quale si misura {esattamente} coll'oriuolo, e si divide
3510
perfettamente in parti anche minutissime, non col pensiero solo, ma con
gl'istrumenti da ciò, e come fosse quasi materia, e queste parti si annoverano e
si raccolgono, e il loro numero si conosce colla certezza che dà l'aritmetica.
Ora egli è certissimo che la lunghezza di una medesima quantità di tempo ad
altri è {veramente} maggiore ad altri minore, e ad un
medesimo individuo può essere, ed è, quando maggiore quando minore. Onde può
dirsi con verità che una medesima data porzione di tempo or dura più or meno ad
un medesimo individuo, ed a chi più a chi meno. Lasciamo stare che il tempo
disoccupato, annoiato, {incomodato,} addolorato e
simili, riesce e si sente esser più lungo che quel medesimo o altrettanto spazio
di tempo, occupato, dilettevole, passato in distrazione e simili; {#1. Nella rimembranza è molte volte il
contrario, che più corto pare il tempo passato senza occupazione e uniformemente, perchè allora nella
memoria l'una ora l'un dì si confonde e quasi sovrappone coll'altro, in modo
che molti paiono un solo, non avendovi differenza tra loro, nè moltitudine
di azioni o passioni che si possa numerare, l'idea della qual moltitudine si
è quella che produce l'idea della lunghezza del tempo, massime passato ec.
Ma di questo pensiero {+altrove s'è
scritto}
pp.368-69} e ciò ad un medesimo individuo, o a diversi
individui d'una sola specie in un tempo medesimo, o in tempi di
versi[diversi.] Lasciando questo, si osservi che
agli animali i quali vivono meno dell'uomo per lor natura, a quelli che vivono
al più trent'anni, venti, dieci, cinqu'anni,
3511 un
anno solo, alcuni mesi, un solo mese, alcuni giorni soltanto (chè egli v'ha
{effettivamente} animali {{che
rispondano}} a tutte queste differenze di durata, e a cento e
mill'altre intermedie); a questi animali, dico, una data porzione di tempo è
veramente più lunga e dura più che all'uomo, e tanto più quanto la lor vita
naturale è più corta; e l'idea che ciascun d'essi si forma ed acquista
naturalmente della durata {e quantità} di una tal
porzione qualunque di tempo, è assolutamente maggiore di quella che l'uomo
concepisce; {{e maggiore}} in ragione esattamente
inversa della lunghezza ordinaria del viver loro. E s'egli è vero {+come dicono,}
che nel fiume Apanis nella Scizia vi abbia
degli animaletti, tra i quali, quei, i quali essendo nati il
mattino, muojono la sera, sono i più vecchi, e muojono carichi di
figli, di nipoti, di pronipoti, e di anni, a lor modo
*
(Genovesi, Meditazioni filosofiche sulla Religione e sulla
Morale. Meditaz. 1. Piacere dell'esistenza. § o articolo 12.
Bassano, Remondini 1783. p. 26. Vedilo dall'articolo 11. al fine della
Meditazione);
3512 se questo, dico, è vero
(che ben può essere, {#1. Se non è, può
essere, e al nostro caso tanto è il poter essere quanto l'essere in fatto.
Immaginiamo, se non è, che sia, e come di un'ipotesi discorriamo di quello
che necessariamente seguirebbe se così fosse. Essendo l'ipotesi
possibilissima e similissima al vero, l'argomento avrà la medesima forza, e
tanto nel caso presente varrà e proverà l'immaginazione e la supposizione,
quanto la verità, tanto il supposto e l'immaginato quanto il vero ed
effettivo.} e se non d'essi animaletti, d'altri, visibili o
invisibili; e se no, discorrasi proporzionatamente di quelli che, come di certo
si sa, vivono pochissimi giorni), egli è certissimo che l'idea che questi
animali si formano e naturalmente acquistano della durata e quantità p. e. di
una mezz'ora di tempo, è tanto maggiore della nostra idea, che noi non possiamo
pur concepire il quanto. E veramente una mezz'ora dùra per essi indefinibilmente
più che per noi, stante la rapidità delle loro azioni, {sensazioni,} passioni ed eventi; il velocissimo succedersi di questi,
gli uni agli altri; la inconcepibile prontezza del loro sviluppo; la rapidità,
per così dire, della lor vita ed esistenza; e stante ch'essi in una mezz'ora, in
un minuto, vivono ed esistono, si può ben dire, assai più che noi nè gli altri
più macrobii animali, in quel medesimo spazio, non
fanno; e la loro esistenza in un minuto è veramente di quantità e d'intensità
ec. maggiore che la nostra non è, in altrettanto spazio, e che noi non possiamo
pure immaginare. In contrario senso ragionisi dell'idea che dovettero aver gli
uomini naturalmente della durata e quantità di una data porzione di tempo,
quando la
3513 la lor vita naturale era
strabocchevolmente più lunga della presente; e proporzionatamente dell'idea che
debbono averne le nazioni (se ve n'ha) che vivono ordinariamente più di noi
(siccome v'ha certo di quelle che vivono meno, e prestissimo giungono alla
maturità, e ciò ne' climi caldi, come nell'America meridionale, ove le donne si maritano di 10 o 12 anni, e tra gli
orientali ec.
{V. p.
3898.} e vedi a questo proposito l'Indica di Arriano, c. 9. sect. 1-8. e
Plinio se ha nulla ec.); e dell'idea che n'hanno gli
animali più longevi dell'uomo, come l'elefante, il cervo, la cornice, la
tartaruga, alla quale pigrissima e tardissima nelle sue operazioni, la natura
diede, non lunghissima vita, ma moltissimi anni. E dico, non lunghissima vita,
perch'ella stante la tardità de' suoi movimenti ed azioni, alla quale
corrisponde quella del suo incremento e sviluppo naturale ec. e di tutta la sua
natura, vive ed esiste in un dato spazio di tempo assai meno che l'uomo in
altrettanto spazio non fa. E così proporzionatamente gli altri animali più
longevi di noi. E dalle suddette osservazioni si raccoglie che la somma {e quantità} della vita, e però la
3514 durata e lunghezza della medesima, è generalmente e appresso a
poco altrettanta in effetto negli animali ed esseri brachibiotati, che ne' macrobiotati e
negl'intermedii, e niente {minore,} e così viceversa.
Onde la durata di un medesimo spazio di tempo è naturalmente e generalmente
{e costantemente}
{+salve le varie circostanze della vita
di una stessa specie e individuo, accennate di sopra, come la noia, il
piacere ec. che variano l'idea e 'l sentimento della durata ec. sempre però
dentro i limiti e la proporzione e in rispetto dell'idea d'essa durata,
propria particolarmente della specie per sua natura ec.} per gli uni
maggiore per gli altri minore ec. e non si può determinare ec. nè giudicarne
assolutamente come noi facciamo ec. (24. Sett. 1823.).


[3553,2] Ho notato altrove p. 108 che la
debolezza per se stessa è cosa amabile, quando non ripugni alla natura del
subbietto in ch'ella si trova, o piuttosto al modo in che noi siamo soliti di
vedere e considerare la rispettiva specie di subbietti; o ripugnando, non
distrugga però la sostanza d'essa natura, e non ripugni più che tanto:
3554 insomma quando o convenga al subbietto, secondo
l'idea che noi della perfezione di questo ci formiamo, e concordi colle {altre} qualità d'esso subbietto, secondo la stessa idea
{+(come ne' fanciulli e nelle
donne);} o non convenendo, nè concordando, non distrugga però
l'aspetto della convenienza nella nostra idea, ma resti dentro i termini di
quella sconvenienza che si chiama grazia (secondo la mia teoria della grazia), come può esser negli
uomini, o nelle donne in caso ch'ecceda la proporzione ordinaria, ec. Ora
l'esser la debolezza per se stessa, e s'altro fuor di lei non si oppone,
naturalmente amabile, è una squisita provvidenza della natura, la quale avendo
posto in ciascuna creatura l'amor proprio in cima d'ogni altra disposizione, ed
essendo, come altrove ho mostrato pp. 872. sgg. , una necessaria e propria conseguenza
dell'amor proprio in ciascuna creatura l'odio dell'altre, ne seguirebbe che le
creature deboli fossero troppo sovente la vittima delle forti. Ma la debolezza
essendo naturalmente amabile e dilettevole altrui per se stessa, fa che altri
ami il subbietto in ch'ella si trova, e l'ami per amor proprio, cioè perchè da
esso riceve diletto.
{La debolezza
ordinariamente piace ed è amabile e bella nel bello. Nondimeno può piacere
ed esser bella ed amabile anche nel brutto, non in quanto nel brutto, ma in
quanto debolezza, (e talor lo è) purch'essa medesima non sia {la} cagione della bruttezza nè in tutto nè in
parte.} Senza ciò i fanciulli,
3555 massime
dove non vi fossero leggi sociali che tenessero a freno il naturale egoismo
degl'individui, sarebbero tuttogiorno écrasés dagli
adulti, le donne dagli uomini, e così discorrendo. Laddove anche il selvaggio
mirando un fanciullo prova un certo piacere, e {quindi}
un certo amore; e così l'uomo civile non ha bisogno delle leggi per contenersi
di por le mani addosso a un fanciullo, benchè i fanciulli sieno per natura
esigenti ed incomodi, ed in quanto sono (altresì per natura) apertissimamente
egoisti, offendano l'egoismo degli altri più che non fanno gli adulti, e quindi
siano per questa parte naturalmente odiosissimi (sì a coetanei, sì agli altri).
Ma il fanciullo è difeso {per se stesso} dall'aspetto
della sua debolezza, che reca un certo piacere a mirarla, e quindi ispira
naturalmente (parlando in genere) un certo amore verso di lui, perchè l'amor
proprio degli altri trova in lui del piacere. E ciò, non ostante che la stessa
sua debolezza, rendendolo assai bisognoso degli altri, sia cagione essa medesima
di noia e di pena agli altri, che debbono provvedere in qualche modo a' suoi
bisogni, e lo renda per natura molto esigente ec. Similmente discorrasi
3556 delle donne, nelle quali indipendentemente
dall'altre qualità, la stessa debolezza è amabile perchè reca piacere ec. Così
di certi animaletti o animali (come la pecora, {i cagnuolini,
gli agnelli,} gli uccellini ec. ec.) in cui l'aspetto della lor
debolezza rispettivamente a noi, in luogo d'invitarci ad opprimerli, ci porta a
risparmiarli, a curarli, ad amarli, perchè ci riesce piacevole. {ec.} E si può osservare che tale ella riesce anche ad
altri animali di specie diversa, che perciò gli risparmiano e mostrano talora di
compiacersene e di amarli ec. Così i piccoli degli animali non deboli quando son
maturi, sono risparmiati ec. dagli animali maturi della stessa specie (ancorchè
non sieno lor genitori), ed eziandio d'altre specie (eccetto se non ci hanno
qualche nimicizia naturale, o se per natura non sono portati a farsene cibo
ec.); ed apparisce in essi animali una certa o amorevolezza o compiacenza verso
questi piccoli. Similmente negli uomini verso i piccoli degli animali che
cresciuti non son deboli. E di questa compiacenza non n'è solamente cagione la
piccolezza per se (ch'è sorgente di grazia, come ho detto altrove), p.
200
pp.
1880-81
{#1. nè la sola sveltezza che in questi
piccoli suole apparire (siccome ancora nelle specie piccole di animali) e
che è cagion di piacere per la vitalità che manifesta e la vivacità ec.
secondo il detto altrove p. 221
pp. 1716-17
p. 1999
pp. 2336-37 da me
sull'amor della vita, onde segue quello del vivo ec.} ma v'ha la
3557 sua parte eziandio la debolezza. (29-30.
Sett. 1823.). {{V. p. 3765.}}

[4062,5] La vita degli orientali e di coloro che vivono ne'
paesi assai caldi è più breve di quella dei popoli che abitano ne' paesi freddi
o temperati. Ma ciò non impedisce che la somma della vita di quelli non sia, non
che uguale, ma superiore alla somma della vita di questi. Anzi non per altro è
più breve la vita degli orientali se non perchè ella è molto più intensa, tanto
che in pari spazio di tempo è maggiore la somma della vita che provano gli
orientali che non è quella che provano
4063 gli altri
popoli. Ora generalmente parlando, si scuopre nella natura quest'ordine che la
durata della vita (sì negli animali sì nelle piante) sia in ragione inversa
della sua intensità ed attività. La testuggine, l'elefante e altri animali
tardissimi hanno lunghissima vita. I più veloci ed attivi, ancorchè più forti
degli altri (come è p. es. il cavallo rispetto all'uomo) hanno vita più corta.
Ed è ben naturale, perchè quell'attività e intensità di vita importa maggiore
rapidità di sviluppo della medesima, e quindi di decadenza. Infatti lo sviluppo
sì degli uomini, sì degli animali, sì delle piante ne' paesi assai caldi è molto
più rapido che negli altri. Or dunque considerando queste condizioni fisiche
della vita per rapporto al morale, si può ragionevolmente affermare che la sorte
di quelli che vivono ne' paesi assai caldi è preferibile quanto alla felicità a
quella degli altri popoli. Primieramente la somma della loro vitalità,
quantunque minore nella durata, è però assolutamente maggiore di quella degli
altri, presa l'una e l'altra nel totale. Secondariamente, posto ancora che ella
fosse uguale, a me par molto preferibile il consumare p. e. in 40 anni una data
quantità di vita che il consumarla in 80. Ella riempie i 40, e lascia negli
ottanta mille intervalli, gran vuoto, gran freddezza, gran languore. La vita
assolutamente non ha nulla di desiderabile sicchè la più lunga sia da
preferirsi. Da preferirsi è la meno infelice, e la meno infelice è la più viva.
Or la vita degli orientali, pognamola di 40 anni, è molto più viva che quella
degli altri, pognamola di 80, quando bene la somma della vivacità dell'una vita
e dell'altra sia la stessa. Or questo paragone di
4064
climi io lo applico ai tempi, e mettendo gli antichi in luogo de' popoli di
clima caldo e i moderni in cambio de' popoli di clima freddo, dico che sebben la
vita degli antichi era forse generalmente più breve che quella dei moderni, per
le turbolenze sociali e i continui pericoli dello stato antico, nondimeno perchè
molto più intensa, ella è da preferirsi, contenendo nella sua minore durata
maggior somma di vitalità, o quando anche in minore spazio contenesse ugual
somma che la moderna in ispazio maggiore. Del che, senza il surriferito esempio,
ho discorso particolarmente in altro pensiero p. 352
pp. 1330-32
pp.
3292-93. (8. Aprile 1824.). {{V. p.
4092. e v. la pag.
4069.}}
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