Giugno 10 - Novembre 19 1819.
[60,3] A ciò che ho detto in altro pensiero [p.
29] intorno all'eloquenza di chi parla di se stesso si può aggiungere e
l'esempio continuo di Cicerone che
piglia nuove forze ogni volta che parla di se come fa tuttora, e quello di Lorenzino de' Medici nella sua Apologia che Giordani crede il più gran pezzo d'eloquenza
italiana e non vinto da nessuno straniero.
61 Ora questo
è un'Apologia di se stesso. Ed è mirabile com'egli che scriveva per se e non
poteva andar dietro alle sofisticherie, abbia trasportata come un Atlante
l'eloquenza greca e latina tutta nel suo scritto dove la vedete viva e tal
quale, e tuttavia vi par nativa e non punto traslatizia con una disinvoltura
negli artifizi più fini dell'eloquenza insegnati e praticati ugualmente dagli
antichi, una padronanza negligenza ec. così nello stile e condotta ordine ec.
interno, come nell'esterno, cioè la lingua ec. inaffettatissima e tutta italiana
nella costruzione ec. quando lo stile e la composizione e i modi anche
particolari e tutto è latino e greco. E ciò mentre gli altri miserabili
cinquecentisti volendo seguire la stessa eloquenza e maestri ec. come il Casa, facevano quelle miserie di
composizione di stile di lingua affettatissima e più latina che italiana. Onde i
due soli eloquenti del cinquecento sono Lorenzino qui e il Tasso
qua e là per tutte le sue opere che ambedue parlano sempre di se e il Tasso più dov'è più eloquente e bello e
nobile ec. cioè nelle lettere che sono il suo meglio. {{La
migliore orazione di Demostene è
quella per la corona.}}
[61,1] Gli ardiri rispetto a certi modi epiteti frasi metafore,
tanto commendati in poesia e anche nel resto della letteratura e tanto usati da
Orazio non sono bene spesso altro
che un bell'uso di quel vago e in certo modo quanto alla costruzione,
irragionevole, che tanto è necessario al poeta. Come in Orazio dove chiama
mano di bronzo quella della necessità (ode alla fortuna [Carmina 1. 35,
17-19]) ch'è un'idea chiara, ma espressa vagamente
(errantemente) così tirando l'epiteto come a caso a quello di cui gli avvien di
parlare senza badare se gli convenga bene cioè se le due idee che gli si
affacciano l'una sostantiva e l'altra di qualità ossia aggettiva si possano così
subito mettere insieme, come chi chiama duro il vento
perchè difficilmente si rompe la sua piena quando se gli va incontro ec.
[62,1]
62 Quel tanto trasportar parole greche di netto in latino
che fu di moda ai buoni secoli del Lazio (anche appresso
i più antichi latini scrittori, come dal francese parimente assai i nostri
antichi italiani) dovea pur produrre l'istesso senso che produce ora in noi la
moda di usar parole francesi in lingua italiana moda tanto antica fra noi quanto
appresso i latini cioè cominciata coi primi nostri scrittori, ma ora tornata in
voga come ai tempi d'Orazio e
massimamente di Seneca
Plinio ec. dove pare e (v. quello che dice Seneca della voce, analogia) che fosse considerata come una
barbarie siccome presentemente, quantunque avesse per se tanti esempi antichi,
come fra noi anche di parole ora risibili p. e. frappare per battere, vengianza
nell'Alamanni
Girone, più volte e senza necessità di rima, e
parecchie altre di questo andare nello stesso poema ec. Se non che forse allora
come adesso sarà cresciuto quel gusto e divenuto senza giudizio e diffusosi alle
forme ec. e divenuto nocevole al genio nativo della lingua. {{V. p.
312.}}
[62,2] Si suol dire che leggendo certi autori {semplici piani spontanei fluidi facili disinvolti
naturali} ec. pare a tutti di saper far così che poi alla prova si
vede come sia falso. Ma leggendo Senofonte par proprio che tutti scrivano così e che non si possa nè
sappia scrivere altrimenti, se non quando si passa da lui a un altro scrittore o
da un altro scrittore alla lettura di esso. {Perchè gli altri
scrittori si capisce che son semplici, in Senofonte non si scorge neppur ciò.}
[62,3] Nella gran battaglia dell'Isso, Dario collocò i soldati greci
mercenari nella fronte della battaglia, (Arriano l. 2. c. 8. sez. 9.
Curzio l. 3. c. 9. sez. 2.) Alessandro i suoi mercenari greci proprio
nella coda. (Arriano c. 9. sez. 5.) Curiosa e
notabilissima differenza e da pronosticare da questo solo l'esito della
battaglia. Perchè era chiaro che tutta la confidenza dei Persiani stava in quei
30m. greci, e pure eran greci anche i mercenari d'Alessandro
(Arriano c. 9. sez. 7.) ed egli li poneva alla coda. Quindi
è chiaro ch'egli confidava più nel resto che in questi, e quello che era il più
forte dell'esercito Persiano era il più debole del Macedone. E Dario si fidava
più del valore dei mercenari che di coloro che combattevano per la loro patria e
avea ragione: Alessandro avendo gli
stessi mercenari
63 sapeva che sarebbero stati più
valorosi gli altri che combattevano per l'onor loro e di lui e la vendetta della
patria ed avea somma ragione. E infatti la propria falange Macedone venuta alle
mani {{essa}} coi 30m. mercenari, combatterono ma furon
vinti. E però da questa sola diversità delle due ordinanze da cui si poteva
arguire l'infinita differenza fra gli animi de' due eserciti, era da
congetturare quello che avvenne.
[63,1] Della distinzione del ridicolo in quello che consiste in
cose e quello che in parole, data da me in altro pensiero [p. 41]
vedi il Costa
della elocuzione p. 70. e
segg.
[63,2] Una similitudine nuova può esser quella dell'agricoltore
che nel mentre che miete ed ha i fasci sparsi pel campo, vede oscurarsi il tempo
ed una grandine terribile rapirgli irreparabilmente il grano di sotto la falce:
ed egli quivi tutto accinto a raccoglierlo, se lo vede come strappar di mano
senza poter contrastare.
[63,3] La Commedia allora principalmente è utile quando fa
conoscere il mondo, i suoi pericoli, vizi, vanità, seduzioni, tradimenti,
illusioni, ec. ai giovani alle giovanette ec. giacchè ai vecchi che già lo
conoscono non serve gran cosa, e quanto alle massime di morale e gli esempi dei
tristi puniti, delle virtù, dei buoni premiati ec. sono miserabili cose e della
cui utilità, se non alquanto nel basso volgo, non si può disputare in buona
fede, che certo nessun giovane o persona qualunque di un certo mondo e in somma
civile, è tornata dalla commedia più virtuosa per le prediche o gli esempi
morali che ci ha sentite e vedute, bensì è facile che sia (almeno in parte)
disingannate[disingannata] dallo
svelamento di tante trame che si tendono alla povera gioventù, e dalla semplice
imitazione e rappresentazione di quello che succede nel mondo e che la gioventù
ignora e crede molto diverso, come appunto servono le storie più che tanti altri
libri, colla differenza che la commedia mostra la cosa più al vivo e al naturale
e la mette sotto gli occhi in luogo di narrarla, ond'è più persuasiva. Diciamo
in proporzione lo stesso degli altri generi di dramma.
[63,4] Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva
secondo l'immaginazione umana e viva umanamente cioè abitata o formata di esseri
64 uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si
giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni e i silvani e
Pane ec. ed entrandoci e vedendoci tutto solitudine pur credevi tutto abitato e
così de' fonti abitati dalle Naiadi ec. e stringendoti un albero al seno te lo
sentivi quasi palpitare fra le mani credendolo un uomo o donna come Ciparisso ec. e
così de' fiori ec. come appunto i fanciulli.
[64,1] Quello che ho detto p. 32. di questi pensieri della tartaruga si potrà forse dire anche
del Pigro della cui vita bisogna vedere presso i naturalisti se sia lunga.
[64,2] Molti sono che dalla lettura de' romanzi libri
sentimentali ec. o acquistano una falsa sensibilità non avendone, o corrompono
quella vera che avevano. Io sempre nemico mortalissimo dell'affettazione
massimamente in tutto quello che spetta agli effetti dell'animo e del cuore mi
sono ben guardato dal contrarre questa sorta d'infermità, e ho sempre cercato di
lasciar la natura al tutto libera e spontanea operatrice ec. A ogni modo mi sono
avveduto che la lettura de' libri non ha veramente prodotto un[in] me nè affetti o sentimenti che non avessi, nè anche
verun effetto di questi, che senza esse letture non avesse dovuto nascer da se:
ma pure gli ha accelerati, e fatti sviluppare più presto, in somma sapendo io
dove quel tale affetto moto sentimento ch'io provava, doveva andare a finire,
quantunque lasciassi intieramente fare alla natura, nondimeno trovando la strada
come aperta, correvo per quella più speditamente. Per esempio nell'amore la
disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi: mi ci
avrebbe portato senza dubbio da se, ed io sentivo che quel desiderio veniva dal
cuore ed era nativo e {mio} proprio non tolto in
prestito, ma egualmente mi parea di sentire che quello mi sorgea così tosto
perchè dalla lettura recente del Verter, sapevo
che quel genere di amore ec. finiva così, in somma la disperazione mi portava
là, ma s'io fossi stato nuovo in queste cose, non mi sarebbe venuto in mente
quel desiderio così presto, dovendolo io come inventare, laddove (non ostante
ch'io fuggissi quanto mai si può dire ogni imitazione ec.) me lo trovava già
inventato.
[64,3]
A quel pensiero dell'Algarotti che è nel t. 8. delle sue op.
Cremona
Manini
1778-1784. p. 96. si può aggiungere il καλοκἄγαθος dei greci ch'è la
65 parola corrispondente dov'è notabile l'indole di
quella gentilissima e amabilissima nazione che un uomo onesto e probo
(quantunque non fosse bello, giacchè questo nome come il suo astratto
καλοκᾳγαθία si usurpava per significare la sola {perfetta} probità {{e integrità}} in
qualunque si trovasse) lo chiamava {buono e} bello;
tanto facea conto della bellezza, che non volea scompagnar l'elogio e
l'indicazione della virtù da quella della beltà e ciò costantemente e per
proprietà di lingua in maniera che si dava questo titolo anche a chi fosse
tutt'altro che bello. Popolo amante del bello e dilicato e sensibile,
conoscitore di quanto possa l'esterno e quello che cade sotto i sensi per ornare
l'interno, e quanto sia sublime l'idea della bellezza che non dovrebbe mai
essere scompagnata dalla virtù. Parimente si può aggiungere la parola
corrispondente latina frugi, che viene a dire, utile dimostrante la qualità dell'antico popolo romano
dove un uomo tanto si stimava quanto giovava al comune, ed era obbligo e costume
dei buoni il non vivere per se ma per la repubblica, onde per indicare un uomo
di garbo, un uomo buono, si considerava la sua qualità relativa al ben pubblico,
cioè in genere la sua utilità e quello che si poteva far di lui, onde lo
chiamavano, frugi, uomo da profitto, da cavarne
costrutto.
[65,1] Diceva una volta mia madre a Pietrino che piangeva per una
cannuccia gittatagli per la finestra da Luigi: non piangere, non piangere che a ogni modo ce l'avrei
gittata io. E quegli si consolava perchè anche in altro caso l'avrebbe
perduta. Osservazioni intorno a questo effetto comunissimo negli uomini, e a
quell'altro suo affine, cioè che noi ci consoliamo e ci diamo pace quando ci
persuadiamo che quel bene non era in nostra balìa d'ottenerlo, nè quel male di
schivarlo, e però cerchiamo di persuadercene, e non potendo, siamo disperati,
quantunque il male in tutti i modi si rimanga lo stesso. {{v. p.
188.}}
{{v. a questo proposito il Manuale di Epitteto.}}
[66,1]
66 Io mi trovava orribilmente annoiato della vita e in
grandissimo desiderio di uccidermi, e sentii non so quale indizio di male che mi
fece temere in quel momento in cui io desiderava di morire: e immediatamente mi
posi in apprensione e ansietà per quel timore. Non ho mai con più forza sentita
la discordanza assoluta degli elementi de' quali è formata la presente
condizione umana forzata a temere per la sua vita e a proccurare in tutti i modi
di conservarla, proprio allora che l'è più grave, e che facilmente si
risolverebbe a privarsene di sua volontà (ma non per forza d'altre cagioni). E
vidi come sia vero ed evidente che (se non vogliamo supporre la natura tanto
savia e coerente in tutto il resto {che l'analogia è uno de'
fondamenti della filosofia moderna e anche della stessa nostra cognizione e
discorso,} affatto pazza e contraddittoria nella sua principale opera)
l'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta e necessaria
infelicità in questa vita, ma solamente delle accidentali (come i fanciulli e le
bestie): e l'essersene accorto è contro natura, ripugna ai suoi principii
costituenti comuni anche a tutti gli altri esseri (come dire {l'amor} della vita), e turba l'ordine delle cose. (poichè spinge
infatti al suicidio la cosa più contro natura che si possa immaginare.).
[66,2] Se tu hai un nemico mortale nella tal città e vedi che
v'è sopra un temporale, ti passa pur per la mente la speranza ch'egli ne possa
restare ucciso? Or come dunque ti spaventi se quel temporale viene sopra di te,
quando la probabilità ch'egli uccida è tanto piccola che tu non ci sai neppur
fondare quella cosa che ha pur bisogno di sì poco fondamento per sorgere in noi,
dico la speranza? Lo stesso intendo dire di cento altri pericoli, i quali se in
vece fossero probabilità di bene, ci parrebbe ridicolo il porci per esse in
nessuna speranza, e pure ci poniamo per quei pericoli in timore. Tant'è: bisogna
bene che per quanto la speranza sia facile a nascere, e insussistente, il timore
lo sia di più. Ma questa riflessione mi pare molto atta a temperarlo. {{Il timore è dunque più fecondo d'illusioni che la
speranza.}}
[66,3] Di un calcolatore che ad ogni cosa che udiva si metteva
a computare, disse un tale: Gli altri fanno le cose, ed egli le
conta.
[67,1]
67
Qualunque domestico entra nella mia famiglia non n'esce mai {finchè non muore,} come potete sentire da quelli che
ci sono stati, diceva un
padrone di casa al nuovo suo cuoco, dopo che due altri se n'erano licenziati
spontaneamente.
[67,2]
Nelle favole del Pignotti (e forse in altre ancora) per la
più parte, è svanito il fine della favola, ch'è l'istruire i fanciulli ec. col
mezzo del dolce, della similitudine ec. e non si conserva nemmeno in apparenza
(come ne' poemi didascalici), giacchè sono dirette a significar certi vizi del
gran mondo, certe massime di politica, certe fine qualità del carattere umano,
che non giova punto nè è possibile ai fanciulli di conoscere e comprendere: come
p. e. quella dell'asino del cavallo e del bue. Piuttosto quelle favole dalla
loro prima istituz Esopiana si son ridotte a satirette non inurbane, o a {meri} giuochi d'ingegno, cioè similitudini o novellette
piacevoli, e alquanto istruttive per gli uomini maturi, come i contes moraux di Marmontel, e le altre opere di questo genere, eccetto
che qui si parla di animali, piante ec. ec.
[67,3] Notano (V. Roberti favola 62. nota) che
le femmine degli uccelli generalmente son meno belle dei maschi e se ne fanno
maraviglia: e ciò perchè nell'uomo pare il contrario. Poca riflessione. Noi
siamo uomini e la femmina ci par più bella del maschio, alle donne pare il
contrario, agli uccelli maschi certo par più bella la femmina, e alle femmine
l'opposto. Che se ci fosse un {altro} animale
ragionevole che come noi giudichiamo degli uccelli, così potesse giudicare della
specie umana, non è dubbio che per perfezione {vistosità
ec.} rispettiva di forme ec. ec. darebbe la preferenza al maschio, e
chiamerebbe più bello l'uomo che la
donna, che da noi tuttavia si chiama il bel sesso.
[67,4] Moltissime volte anzi la più parte si prende l'amor
della gloria per l'amor della patria. P. e. si attribuisce a questo la costanza
dei greci alle termopile, il fatto d'Attilio
Regolo (se è vero) ec. ec. le quali cose furono puri effetti dell'amor
della gloria, cioè dell'amor proprio immediato ed evidente, non trasformato ec.
Il gran mobile degli antichi popoli era la gloria che si prometteva a chi si
sacrificava per la patria, e la vergogna a chi ricusava questo sacrifizio, e
però come i maomettani si espongono alla morte, anzi la
68 cercano per la speranza del paradiso che gliene viene secondo la loro
opinione, così gli antichi per la speranza, anzi certezza della gloria cercavano
la morte i patimenti ec. ed è evidente che così facendo erano spinti da amor di
se stessi e non della patria, dal vedere che alle volte cercavano di morire
anche senza necessità nè utile, (come puoi vedere nei dettagli che dà il Barthelemy sulle Termopile) e
da quegli Spartani accusati {dall'opinione pubblica}
d'aver fuggito la morte alle Termopile che si
uccisero da se, non per la patria ma per la vergogna. Ed esaminando bene si
vedrà che l'amor puramente della patria, anche presso gli antichi era un mobile
molto più raro che non si crede. Piuttosto quello della libertà, l'odio di
quelle tali nazioni nemiche ec. affetti che poi si comprendono generalmente
sotto il nome di amor di patria, nome che bisogna ben intendere, perchè il
sacrifizio precisamente per altrui non è possibile all'uomo.
[68,1] Guardate di dietro due, tre, o più persone delle quali
una parli. Voi discernete subito qual è quella che parla, ma se non le vedrete,
con tutto che siate alla stessa distanza, non la discernerete punto, quando non
la conosciate alla voce o per altra circostanza ec. E questo è accaduto a me di
non discernerla non vedendola, e discernerla {poi} al
primo sguardo {veduta di dietro.} Tanto è vero che il
parlare anche delle persone più modeste (com'era questa) è sempre
accompagnata[accompagnato] dai moti del
corpo. {{V. p. 206.}}
[68,2] Il gran giudizio e gusto e bella immaginazione dei greci
si dimostra fra mille altre cose anche nell'aver fatto vecchio il barcaiuolo
dell'inferno
(cruda
deo viridisque senectus
*
, dice Virgilio divinamente) cosa che conviene sommamente alla
ruvidezza e squallore di quel luogo. E nota che tutti gli altri uffizi
attribuiti dalla mitologia alle divinità, sono attribuiti a Dei giovani. Qui
solamente, perchè si trattava dell'inferno, l'uffizio è dato ad un vecchio.
[68,3] Il nascere istesso dell'uomo cioè il cominciamento della
sua vita, è un pericolo della vita, come apparisce dal gran numero di coloro per
cui la nascita è cagione di morte, non reggendo al travaglio e ai disagi che il
bambino prova nel nascere. E nota
69 ch'io credo che
esaminando si troverà che fra le bestie un molto minor numero {proporzionatamente} perisce in questo pericolo, colpa
probabilmente della natura umana guasta e indebolita dall'incivilimento.
[69,1]
Invenies alium si te hic fastidit Alexis.
*
Quest'è uno
sbaglio formale. Nessun vero amante crede di poter trovare un altro oggetto
{d'amore} che lo compensi.
[69,2] Oh infinita vanità del vero!
[69,3] Quanto è più dolce l'odio che la indifferenza verso
alcuno! Perciò la natura intenta a proccurare la nostra felicità individuale
nello stato primitivo, ci avea lasciata l'indifferenza verso pochissime cose,
come vediamo nei fanciulli sempre proclivi a odiare o ad amare, temere ec.
[69,4] A quello che ho detto in altro pensiero [p.
30] si può aggiungere che gli stessi fiorentini pronunziano effe elle
emme esse {ec.} e non effi elli ec. tanto è chiaro che
la lingua umana dove manca l'appoggio della vocale, cade naturalmente in
un'e.
[69,5]
Beati voi se le miserie vostre
Non sapete. Detto, p. e. a qualche animale, alle api ec.
[69,6] Dev'esser cosa già notata che come l'allegrezza ci porta
a communicarci cogli altri (onde un uomo allegro diventa loquace quantunque per
ordinario sia taciturno, e s'accosta facilmente a persone che in altro tempo
avrebbe o schivate, o non facilmente trattate ec.) così la tristezza a fuggire
il consorzio altrui e rannicchiarci in noi stessi co' nostri pensieri e col
nostro dolore. Ma io osservo che questo[questa]
tendenza al dilatamento nell'allegrezza, e al ristringimento nella tristezza, si
trova anche negli atti dell'uomo occupato dall'
70 uno di
questi affetti, e come nell'allegrezza egli passeggia muove e allarga le braccia
le gambe, dimena la vita, e in certo modo si dilata col trasportarsi velocemente
qua e là, come cercando una certa ampiezza; così nella tristezza si rannicchia,
piega la testa, serra le braccia incrociate contro il petto, cammina lento, e
schiva ogni moto vivace e per così dire, largo. Ed io mi ricordo, (e l'osservai
in quell'istesso momento) che stando in alcuni pensieri o lieti o indifferenti,
mentre sedeva, al sopravvenirmi di un pensier tristo, immediatamente strinsi
l'una contro l'altra le ginocchia che erano abbandonate e in distanza, e piegai
sul petto il mento ch'era elevato.
[70,1] La semplicità del Petrarca benchè naturalissima come quella dei greci, tuttavia
differisce da quella in un modo che si sente ma non si può spiegare. E forse ciò
consiste in una maggior familiarità, e più vicina alla prosa, di cui il Petrarca veste mirabilmente i suoi versi
così nobilissimi come sono. I greci poeti forse sono un poco più eleganti, come
Omero che cercava in ogni modo un
linguaggio diverso dal familiare come apparisce da[dai] suoi continui epiteti ec. quantunque sia rimasto semplicissimo.
Forse anche la lingua italiana, essendo la nostra fa che noi sentiamo questa
familiarità dello stile più che ne' greci, ma parmi pure che vi sia una qualche
differenza reale.
[70,2] Non v'ha forse cosa tanto conducente al suicidio quanto
il disprezzo di se medesimo. Esempio di quel mio amico
71
che andò a Roma deliberato di gittarsi nel Tevere perchè sentiva dirsi ch'era un
da nulla. Esempio mio stimolatissimo ad espormi a quanti pericoli potessi e
anche uccidermi, la prima volta che mi venni in disprezzo. Effetto dell'amor
proprio che preferisce la morte alla cognizione del proprio niente, ec. onde
quanto più uno sarà egoista tanto più fortemente e costantemente sarà spinto in
questo caso ad uccidersi. E infatti l'amor della vita è l'amore del proprio
bene; ora essa non parendo più un bene, ec. ec.
[71,1] A un cavallo turco. Oh quanto tu sei meglio degli
uomini del tuo paese.
[71,2] Colle persone colle quali penso di poter convenire, non
amo di parlare in compagnia, parte perchè i circostanti non conoscendomi bene
(giacchè io non soglio farmi conoscer da tutti) darebbero di me {a queste persone} sia direttamente sia indirettamente
una idea falsa; parte perchè io stesso per non entrare in dispute ch'io sfuggo a
più potere con quelli che hanno diversi principii, e per non obbligare quella
stessa tal persona ch'io stimassi, ad entrarvi, dissimulerei necessariamente, e
così cercando d'ingannar gli altri, ingannerei anche colui, il quale mi
crederebbe uno di quei tanti coi quali egli non può convenire.
[71,3] Io credo che la moltitudine assoluta di ciascuna specie
di animali sia in ragion diretta della loro piccolezza. Senza dubbio una sola
pianticella in una campagna contiene bene spesso più formiche {assai} che non v'ha uomini in tutto quel campo. Così
discorriamola. Vedi i naturalisti, e se questa osservazione sia stata fatta da
nessuno di loro. Osservo anche la moltitudine degli uccelli i cui stormi sono
innumerabili, e nondimeno son vinti dalla folla degli animali più
72 piccoli che si ritrova in questo o in quel luogo
secondo le circostanze rispettive.
[72,1] Anche il delitto bene spesso è un eroismo, cioè p. e.
quando il farlo torna in danno o pericolo, e nondimeno si vuol fare per
soddisfare quella tal passione ec. tanto più eroismo quanto che bisogna superare
tutta la forza della natura reclamante, e dell'abitudine (se si tratta per
esempio di un giovane, di un innocente {ec.}) ec. E
però è un eroismo anche senza il danno o il pericolo tutte le volte che è
commesso da persona non solita a commetterlo, costando sempre uno sforzo e una
vittoria di se stesso, nel che consiste l'eroismo. Quindi da un delitto di
questa sorta si può sempre argomentar bene o almeno alquanto straordinariamente
di una persona. In somma ogni sacrifizio di cosa cara ogni sacrifizio difficile
è un eroismo, anche quello della virtù, e dei sentimenti più sacri, quando
questo sacrifizio ancora costa.
[72,2] Anche il dolore {che nasce}
dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile {assai} che la stessa noia.
[72,3] Il sentimento della vendetta è così grato che spesso si
desidera d'essere ingiuriato per potersi vendicare, e non dico già {solamente} da un nemico abituale, ma da un indifferente,
o anche (massime in certi momenti d'umor nero) da un amico.