Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

Sum es est. Sua antica coniugazione, suoi participii ec.

Sum es est. Its ancient conjugation, its participles, etc.

Vedi Verbo sostantivo. See Substantive verb. 1120,12 1390,1 2142,1 2352 2659,1 2663,5 2783-5 2821,3 2894,1 2926,2 3742,2.3 3759,1 3849,1 3885,1 3937,2 3940,1 3999,2 4008,3 4086,4 4096,1 4121,11 4155,1

[1120,2]  Il verbo stare, secondo me, indubitatamente è continuativo del verbo esse formato da un antico participio o supino di questo verbo, come stus o stum,  1121 piuttosto da situs o situm, contratto in stus o stum. {V. anche il Forc. in Lito as, principio, e in Luo is, fine.} {+O forse da prima si disse sitare, come secutari, e solutare da cui soltar per solvere, come ho detto p. 1527. e voltare per volutare ec. L'analogia fra il verbo essere e stare si vede nel nostro particolare stato di essere, e nel franc. été, sebbene i francesi non hanno il verbo stare.} Del qual participio situs abbiamo un indizio manifesto nel sido spagnuolo, ch'è participio appunto di ser essere. E forse sussiste ancora il detto participio nel situs dei latini che significa collocato, ma che spesso è usurpato dagli scrittori in significato somigliantissimo a quello di un participio del verbo essere, e che il Vossio con pessima grazia fa derivare da sinere. È noto che presso Plauto (Curcul. 1. 1. 89.) alcuni leggono site in significato di este, dal che verrebbe situs, così naturalmente come auditus da audite; e che l'antica congiugazione del presente indicativo di esse, era, secondo Varrone, (de L. L. l. 8. c. 57.) esum, esis, esit; esumus, esitis, esunt. Del rimanente lo stesso Forcellini avvertendo che il verbo stare si trova adoperato più volte in luogo di esse, soggiunge, cum aliqua significatione diuturnitatis (v. sto), (e ne reca gli esempi), cioè, dico io, secondo la primitiva proprietà di esso verbo che è continuativo di esse. {+Adsentari che il Forcell. dice esser lo stesso che adsentiri, forse non è altro che un suo continuativo o frequentativo anomalo o contratto da adsentitari o per adsensari. Nel Glossario Isidoriano (op. Isid. t. ult. p. 487.) si trova: Sentitare, in animo sensim diiudicare. V. p. 2200.} V. p. 1155. {{e p. 2145. fine. e p. 2324. fine.}}

[1390,1]  È curioso l'osservare che il verbo {{sostantivo}} essere, sì necessario che senza esso non si può fare un discorso formato, ed esprimente un'idea sì universale, e appartenente a tutte le cose e le idee, nondimeno perch'ella è un'idea delle più astratte ed ultime (appunto a cagione della sua universalità, la quale dimostra ch'ella è idea elementare ec.) è imperfetto e irregolare, cred'io, per lo meno, in quasi tutte le lingue. Nella greca è {anche} sommamente difettivo, {+e non è supplito da voci prese d'altre radici, come lo è in latino in sascrito, in persiano.} Nell'ebraico {+il verbo ‎‏הּיּהּ‏‎ esse, existere, oltre ch'è quiescente, vale a dire imperfetto,} ha miras anomalias * , dice il Zanolini. La cagione di ciò {(che non si può creder caso)} può essere che questo verbo sia stato uno de' primi inventati, a causa della sua necessità; e quindi confuso ed irregolare sì a causa della {sua} antichità,  1391 e delle poche regole a cui gli antichissimi lo potevano assoggettare, sì dell'astrazione sottigliezza, immaterialità, difficoltà insomma dell'idea che esprime, e che nessuno degli antichissimi parlatori potè concepir chiaramente. Simili osservazioni si ponno fare intorno ad altri verbi che sogliono essere anomali nelle lingue, quantunque diversissime, ed è notabile che questi sono ordinariamente i più usuali e necessari al discorso, come avere, potere ec. Ed appunto perciò sono anomali, perchè non sono così necessari, se non perchè esprimono idee universali, e le idee non sono universali se non perchè sono elementari ed astratte; ora le idee elementari ed astratte sono {naturalmente} le più difficili, anzi le ultime a raggiungersi, e a concepirsi chiaramente, e quindi ad essere formalmente e regolarmente espresse. (26. Luglio 1821.). {{Puoi vedere p. 1205.}}

[2142,1]  Io ho per es. fatto vedere pp. 1120-21 che il verbo lat. stare, è verisimilissimamente un puro continuativo di esse, formato nè più nè meno colle solite regole di tali formazioni. Ora l'antichissima grecia ebbe indubitatamente il verbo στάω o στῶ ch'è il tema del verbo ἵστημι, e moltissime voci del quale si conservano in quest'ultimo. Nè pare ch'esso abbia che fare col verbo sostantivo εἰμί, nè questo  2143 ha altri participii che ὤν ed ἐσόμενος, nè quando pure ne avesse, o ne avesse avuto alcuno analogo al suono del verbo στάω, questo sarebbe derivato da esso participio, non avendo i greci tal uso di formazioni, come lo hanno i latini. Quindi si può congetturare che il greco στάω sia derivato dallo sto latino (il quale viene, come io dico, da uno stus o situs di esse), e non questo da quello, come dicono tutti.

[2351,1]  Alla p. 2330. Nella lingua sascrita (di immensa antichità) troviamo parole, forme, declinazioni, coniugazioni ec. o similissime, o al tutto uguali alle corrispondenti latine, massime se si abbia riguardo, come  2352 va fatto, alle sole lettere radicali. E notate che gran parte di questi nomi o verbi sono di prima necessità (come il verbo essere, la parola uomo, padre, madre ec.), o rappresentano idee affatto primitive nelle lingue. E parecchie di tali voci sascrite si trovano anche corrispondere alle analoghe greche, ma effettivamente meno che alle latine, {e forse in minor numero.} Che segno è questo dunque, se non che la lingua latina conserva assolutamente più numerosi e più chiari della greca i vestigi della remotissima antichità, della sua remotissima {condizione,} e forse della sua sorgente? Giacchè le relazioni avute dal Lazio coll'India sono tanto antiche che si perdono nella caligine, e sono ignote alla storia. Aggiungete che tali parole ec. essendo di prima necessità ed uso, dimostrano non una semplice, nè recente relazione avuta con quelle parti, ma un'antichissima derivazione o comunione di origine con quei popoli e quelle lingue. E le dette parole sono assolutamente proprie e primitive della lingua latina non già forestiere nè recenti nè ascitizie ec. E nessuno le può credere o derivate dall'india  2353 mediante il più recente commercio avuto da' romani con essa, quando la lingua latina era già formata, e quelle parole in uso continuo negli scrittori, monumenti ec. che ancora rimangono, {+ed analoghe poi anche alle greche;} o viceversa derivate in quel tempo dal Lazio nell'India, essendo esse di uso sì quotidiano e necessario, essendo la lingua indiana antichissima, (che certo non aspettò sì bassi tempi a provvedersi di parole necessarie, quando essa era già da gran tempo più perfetta della latina) essendo ancora quelle coniugazioni, forme, parole ec. tanto proprie e inerenti al capitale, e all'indole e sostanza del sascrito, quanto del latino; e finalmente potendosi, cred'io, trovare, e trovandosi che l'uso loro nel sascrito è anteriore non poco ad ogni menoma relazione del Lazio coll'india, che sia conosciuta dalla storia. Nè si può credere che tali parole venissero anticamente nel Lazio per mezzo della lingua greca, mentre esse sono più simili al sascrito di quello sieno le corrispondenti greche, laddove al contrario avrebbe dovuto essere. E sono più simili alle  2354 sascrite che alle greche. {Il che} in ogni modo è segno di ciò che vogliamo dimostrare, cioè che la lingua latina derivata da una stessa, o da simil fonte colla greca, o quando anche fosse figlia della greca, conserva i vestigi dell'antichità (e sua e greca) più della stessa lingua greca, in quanto e {nel modo che} l'una e l'altra ci sono note. (20. Gen. 1822.).

[2659,1]  Il verbo sum ebbe antichissimamente un participio presente e questo non fu il più moderno ens entis, conservato ancora nella nostra lingua, e nella spagnuola, ma sens sentis. Testimonio le voci prae-sens, ed ab-sens, e con-sens, la quale ultima in verità non è altro che la preposizione cum congiunta al participio presente di sum, e vale qui simul est, onde Dii Consentes, Dii qui simul sunt. V. Forcell. in Consens, praesens ec. Quindi si fortifica la mia conghiettura pp. 1120-21 pp. 2142-45 {e} che il verbo sum avesse anche un participio passato, in us, come anticamente l'avevano gli altri neutri, ed anche gli attivi in senso attivo (p. e. peragratus, cioè qui peragravit, da peragro attivi), e che questo incominciasse per s, onde da esso fosse  2660 formato il verbo sto. (Roma 22. Dic. 1822.).

[2663,5]  Anticamente i latini dicevano maxilla axilla * etc. (Cic. Orator, n. 155.) indi fecero mala, ala ec. Or noi conserviamo l'antico: mascella, ascella, tassello. Dicevano anche siet per sit (v. ib. num. 159); or  2664 quello e non questo si dovette {sempre} conservare nell'uso del popolo, come apparisce da sia, soit, sea. (10. Gen. 1823.). {{Notisi il nostro uso simile, di aggiungere un'e alle vocali accentate: virtue, fue ec.}}

[2821,3]  Un altro futare dice Festo che fu usato da Catone per saepius fuisse. Questo dimostrerebbe un antico participio  2822 futus del verbo sostantivo latino. Dico del verbo sostantivo, e non dico del verbo sum. Questo è originalmente il medesimo che il greco εἰμί ovvero ἔω, e che il sascrito asham, e il suo participio in us dovette essere situs o stus o sutus (giacchè è notabile il nostro antico suto, {vero e proprio} participio del verbo essere, laddove stato che oggi s'usa in vece di quello, è tolto in prestito da stare), come ho detto altrove pp. 1120-21 pp. 2784-85. {Il franc. été è lo stesso che sté, giacchè gli antichi dicevano esté, e quell'e innanzi, è aggiunto per dolcezza di lingua avanti la s impura nel principio della parola, come in espérer, espouser (ora épouser), del che ho detto altrove p. 813. Ora il participio sté sarebbe appunto stus in latino.} Ma il participio futus, onde futare, non potè essere se non di quel verbo da cui il verbo sum tolse in prestito il preterito perfetto fui colle voci che da questo si formano, cioè fueram, fuero ec. Il qual verbo fuo non ha che far niente in origine con sum nè con εἰμί, ma è lo stesso che ϕύω, e v. Forcell. in fuam e in sum. Di questo dunque dovette esistere {anche} il participio futus, il quale dimostrasi col verbo futare che ne deriva. E nótisi che Festo dice il verbo futare essere stato usato da Catone per saepius fuisse, e non per saepius esse, onde pare che questo verbo appresso Catone conservasse una certa corrispondenza e similitudine e analogia colle voci fui, fuisse ec. tolte in prestito da sum, le quali tutte indicano il passato, e che anch'esso denotasse il passato di natura sua, ed avesse  2823 significazione preterita. Del resto come il verbo futare è diverso da stare, così il participio futus da cui quello deriva, è diverso da situs o stus da cui vien questo, e come futus è participio di fuo e stus di sum, così futare è continuativo di fuo e stare di sum. E l'esistenza del participio futus dimostrata dal verbo futare, non nuoce a quella che io sostengo del participio stus, giacchè sum e fuo che ora fanno un sol verbo anomalo composto e raccozzato di due difettivi, furono a principio due verbi ben distinti e per origine, e per forma materiale, e probabilmente completi tutti e due, e non difettivi come ora. (26. Giugno 1823.).

[2894,1]  Questa detrazione fatta, come si vede, in tante voci o derivate o composte da quęsitus, o che non sono altra voce se non questa medesima, conferma la mia opinione che da situs particip. di sum si facesse stare, {detratta la i} come appunto da conquisitus conquistare, e così da quaesitus quisto e chiesto ec. {+Così da positus, postus repostus ec. ec. E della soppressione della i in moltissimi participii latini come docitus - doctus, legitus - legtus - lectus ec. soppressione divenuta, fino ab antico, comune, anzi universale, vedi ciò che dico altrove.} La qual detrazione non è solamente propria delle lingue moderne (dico circa questo vocabolo quaesitus appunto), giacchè la stessa lingua latina nè[ne] fa uso nella voce quęstus {us,} la quale, come altrove ho dato per regola circa tali verbali, e formato[è formata] appunto da quęsitus, e dovrebbe {regolarmente} dire quęsitus us, la qual voce ancora si trova effettivamente. Siccome vi sono le voci quaesitio, quęsitor, quaesitura, di cui sono contrazione quaestio, quaestor, quaestura, voci fatte da quelle per detrazione della i, come per tal detrazione son fatte quaestorius, quaestuosus ec. benchè non si trovi quaesitorius,  2895 quaesituosus ec. {{E vedi a questo proposito la p. 2932. e 2991-2. 3032. segg.}}

[2926,2]  Savamo, savate de' nostri antichi, per eravamo eravate, sarebbono elle persone di un imperfetto più regolare, più antico e più vero di sum, sumus, sunt, che non è l'usitato eram fatto forse da un altro tema; persone, dico, di un imperfetto sabam, era, conservato nel volgar latino fino ai primi tempi del nostro? (9. Luglio 1823.).

[3759,1]  Possibilis (e impossibilis, possibilitas ec.) dimostra possitus, e quindi il participio o supino situm di sum, confermando il detto da noi in proposito di sto, come potens dimostra il participio sens (pag. 3742-4.).

[3849,1]  Restito, {+(onde restitrix)}, di cui v. Forcell. è notabile in quanto egli è continuativo o frequentativo di un verbo ch'esso medesimo in origine è continuativo, essendo composto del continuativo sto. {veggasi la p. 3298.} (8. Nov. 1823.).

[3885,1]  Alla p. 3706. Se però, come dubito, fuvi per fui non è un raddoppiamento dell'u, fatto per proprietà di pronunzia, della qual proprietà in questo e simili casi v'hanno molti altri esempi ec. (v. la pag. 3881. ec.). Il qual raddoppiamento bensì può avere avuto luogo e occasione dal voler evitare l'iato, ma in modo che ad evitarlo sia stato interposto il v, non in quanto semplicemente atto e solito ad interporsi tra le vocali ianti, ma in quanto l'una {e la più sonante} di queste nel nostro caso era l'u, cioè appunto un altro v, secondo il detto altrove p. 3235 pp. 3698-99 circa la medesimezza di queste lettere u e v presso i latini massimamente. I quali non usavano che un carattere per esprimer l'una e l'altra, cioè anticamente e nel maiuscolo il V, più recentemente e nel semimaiuscolo o unciale, o forse in quello ch'era allora, o anche anticamente, il corsivo e l'usuale, {+sia tutt'uno coll'unciale, sia diverso, ec.} l'u, come ne' palimpsesti vaticani, ambrogiani, sangallesi, veronesi ec. (15. Nov. 1823.).

[3937,2]  Ho posto altrove pp. 3182-83 tremolare, trembler, temblar ec. fra' diminutivi positivati (o fossero frequentativi, o cose simili, in origine). Se però questi verbi son fatti da tremulus, e' non sono diminutivi, perchè tremulus è da tremere come speculum da specere, e nè l'uno nè l'altro è diminutivo, e tremulare non sarebbe più diminutivo che speculare, jaculari e simili, del che vedi la pag. 3875. (29. Nov. 1823.).

[3940,1]   3940 A proposito dell'antico fuo di cui altrove pp. 2821-23 p. 3735 p. 3742, osservisi ch'egli è originariamente lo stesso di fio da ϕύω, mutato l'υ in i, come in silva, laddove in fuo è mutato in u. E questa osservazione di fuo e fio si applichi al detto da me in più luoghi p. 1277 pp. 2152-53 pp. 2824-25 sì circa lo scambio reciproco delle vocali u ed i, sì circa la pronunzia latina del greco υ, la quale forse, anche antichissimamente, come poi (a' tempi di Cic. di Marziano ec.) quella dell'y, fu tra l'i e l'u (cioè pronunzia di u gallico), come si può congetturare si[sì] dal veder l'u greco ora cambiato in u ora in i, sì dal vederlo talora in una stessa parola cambiato nell'uno e nell'altro, come in ϕύω - fuo - fio, che antichissimamente dovettero esser un sol verbo e per significato e per tutto, sì dallo stesso scambio reciproco dell'u e dell'i sì frequente in latino, come appunto tra fuo e fio, e in mille altre voci. ec. ec. (5. Dec. 1823.).

[3999,2]  Empujar cioè impellere, ma viene da {un} impulsare. V. i suoi derivati. Pousser, (pellere) da pulsare, co' suoi derivati. Pujar e certi suoi derivati, parimente, o son fatti da pousser {sobrepujar.} V. i Diz. spagn. e correggi certe cose che ne ho dette parlando di  4000 pujanza in proposito di potens. La qual voce pujanza ha tutt'altra origine, cred'io, nè viene, come parrebbe a tutti, da pujar, nel modo che puissance, puissant ec. non ha che far niente con pousser e suoi derivati. (24. Dec. Vig. di Nat. 1823.).

[4008,3]  Participi italiani in ito ed uto, del che altrove pp. 2688-91 pp. 3074-78. Apparito e apparuto (Machiav. istor. l. 7. opp. 1550. par. 1. p. 268. mezzo). Questo secondo però, {+oltre a non avere, ch'io sappia, altra autorità che di uno scrittore molto poco diligente nella lingua, in particolare nella Storia, dov'anche potrebb'esser fallo di stampa,} può essere da apparere (laddove il primo da apparire), onde anche apparso, come da parere, paruto e parso. Comparere non si trova, almeno nella Crus., bensì però comparso, oggi assai più frequente di comparito ch'è di comparire, da cui però non viene comparso, il quale forse è moderno e fatto solo per analogia di apparso e parso, che sono oggi i più usitati. (5. Gen. Vigilia della S. Epifania. 1824.).

[4086,4]  Il verbo stare, che ha tanta relazione al verbo esse per l'uso, pel significato, alcune volte sinonimo ec. che in italiano supplisce col suo participio al difetto del verbo essere, e spesso si usa altresì, come anche più nello spagnuolo, in luogo di questo verbo, ec. non ha tuttavia nessunissima relazione grammaticale con lui, senza la mia osservazione pp. 1120-21 pp. 2142-45 pp. 2780. sgg. che lo fa derivare da un antico participio o supino di sum. Similmente in greco ἵστημι, στάω, ec. che in se, e ne' loro composti e derivati, e nel lat. sisto che ne deriva, e suoi composti, come exsisto, subsisto, exsistentia ec. e nella voce ὑπόστασις (substantia, subsistentia ec.), ha tanta relazione col verbo essere, non ha alcuna attinenza grammaticale con lui, senza la mia osservazione che lo fa derivare dal latino sto, derivato da sum. Anche i composti e derivati di sto (come exsto, exstantia, substantia, substantivus, substo ec. ec.) manifestano nel significato ec. grandissima relazione col verbo essere. (4. Maggio. 1824.).

[4096,1]  Sisto in vece di venire dal greco ἱστάω, come si crede e ho detto altrove pp. 2143-45 pp. 2779-80 , ben potrebbe venire da sto per duplicazione, non ignota neppure ai latini (come usitatissimo fra i greci), massime antichi, come ho mostrato altrove p. 2774 p. 2811 pp. 3940-41 coll'es. di titillo da τίλλω, e dei perf. cecidi ec. ec. E la mutazione della coniugazione dalla prima nella terza, sarebbe appunto come nei composti di do (del che pure altrove p. 2772) anch'esso monosillabo come sto. E quanto al significato e all'uso ec. chi non vede l'analogia fra sto e sisto? (1. Giugno. 1824.).

[4121,11]  Issuto, essuto, antichi participii italiani per stato del verbo essere. Aggiungansi al detto altrove di suto, sido ec. p. 2895 (14. Nov. Festa della B. Vergine del Patrocinio. 1824. Domenica.).

[4155,1]  (Taso era nome di un'isola aggiacente alla Tracia.) A questo frammento di Archiloco il Jacobs fa questa osservazione. Ὄνου ῥαχις. Propter montium iuga poeta sic appellasse videtur insulam. Plurimas partium corporis appellationes ad terrarum situm et conditionem significandam translatas diligenter collegit Eustath. ad. Il. p. 233. seqq. quaedam schol. Sophocl. in Oed. Col. 691. conf. Wesseling ad Herod. I. p. 35. 86. Promontorium Laconiae ὄνου γνάϑον appellatum commemorat Pausanias III. 22. p. 431. edit. Facii. Nec hoc ὄνου ῥάχις tam Archilocho proprium fuisse puto, quam potius montosarum regionum appellationem. * Jacobs, Animadverss. in Antholog. vol. 1. par. 1. p. 165. seq. ap. Liebel loc. cit. qui dietro, fragm. 9. p. 79. Or notisi il nostro schiena d'asino o a schiena d'asino, detto di strade ec. (Bologna 27. Nov. 1825. Domenica.).