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15. Sett. 1821.

[1708,1]  Da ciò che altrove ho detto pp. 1531-33 di Machiavello Galileo ec. che travagliarono a distruggere la propria fama, si può confermare e amplificare la sentenza di Cic. circa la gloria, nel Sogno di Scipione.
[1708,2]  E dalla distinzione che quivi ho fatta tra la fama dei letterati e degli scienziati, si può dedurre questa osservazione. Il vero è immutabile, e i gusti mutabilissimi. Parrebbe che lo stato delle scienze dovesse esser più costante che della letteratura, e la fama degli scienziati più durevole dei letterati. Pure accade tutto l'opposto. Le scienze, (come dicono) si perfezionano col tempo, e la letteratura si guasta. Un secolo distrugge la scienza del secolo passato: la letteratura resta immobile, o se si muta, si riconosce ben tosto per corrotta, e si torna indietro. Che cosa dunque è più stabile, la natura o la ragione? E che cosa è la nostra pretensione di conoscere il vero? gli antichi s'immaginavano di conoscerlo al pari di noi. Che cosa è lo stesso vero? Quali sono le verità assolute? quando non siamo punto sicuri  1709 che il venturo secolo non dubiti di ciò che noi teniamo per certo: anzi mirando all'esempio di tutti i secoli passati, e del nostro, siamo sicuri del contrario. (15. Sett. 1821.).