197. È falso che il momento dell'altrui giubilo sia proprio a nulla ottenerne, eccetto favori che si possano far sull'istante o concedere. A tutto l'altro è anzi inopportunissimo, e perchè. Nè il tempo della gioia nè quel del dolore sono disposti alla compassione o all'interesse per altrui. Bensì i tempi d'indifferenza, e più quelli di un entusiasmo senza scopo determinato o di un'allegrezza senza data causa.
It is false to claim that the moment of rejoicing is suited for obtaining nothing, except for favors that can be done or granted instantly. It is rather most inopportune for everything else, and why so. Neither the times of joy nor of pain predispose us to compassion or to interest in someone else. Rather, the times of indifference do so, and all the more those of enthusiasm without a definite objective or of joy without a specific cause.
97-99[97,2] Si suol dire che per ottenere qualche grazia è opportuno
il tempo dell'allegrezza di colui che si prega. E quando questa grazia si possa
far sul momento, o non costi impegno ed opera al supplicato, convengo anch'io in
questa opinione. Ma per interessar chicchessia in vostro favore, ed impegnarlo a
prendersi qualche benchè piccola premura di un vostro affare, non c'è tempo più
assolutamente inopportuno di quello della gioia viva. Ogni volta che l'uomo è
occupato da qualche passion forte, è incapace di pensare ad altro, ogni volta
che o la sua propria infelicità o la sua propria fortuna l'interessano
vivamente, e lo riempiono, è incapace di pigliar premura de' negozi delle
infelicità dei desiderii altrui. Nei
98 momenti di gioia
viva o di dolor vivo l'uomo non è suscettibile nè di compassione, nè d'interesse
per gli altri, nel dolore perchè il suo male l'occupa più dell'altrui, nella
gioia perchè il suo bene l'inebbria, e gli leva il gusto e la forza di occuparsi
in verun altro pensiero. E massimamente la compassione è incompatibile col suo
stato quando egli o è tutto pieno della pietà di se stesso, o prova
un'esaltazione di contento che gli dipinge a festa tutti gli oggetti e gli fa
considerar la sventura come un'illusione, per lo meno {odiarla} come cosa alienissima da quello che lo anima e lo riempie
tutto in quel punto. Solamente gli stati di mezzo, sono opportuni all'interesse
per le cose altrui, o anche un certo stato di entusiasmo senza origine e senza
scopo reale, che gli faccia abbracciar con piacere l'occasione di operare
dirittamente, di beneficare, di sostituir l'azione all'inazione, di dare un
corpo ai suoi sentimenti, e di rivolgere alla realtà quell'impeto di entusiasmo
virtuoso, magnanimo generoso ec. che si aggirava intorno all'astratto e
all'indefinito. Ma quando il nostro animo è già occupato dalla realtà, ossia da
quell'apparenza che noi riguardiamo come realtà, il rivolgerlo ad
un'altro[un altro] scopo, è impresa
difficicilissima[difficilissima] e quello è
il tempo più inopportuno di sollecitar l'interesse altrui per la vostra causa,
quand'esso è già tutto per la propria, e lo staccarnelo riuscirebbe penosissimo
al supplicato. Molto più se la gioia sia di quelle rare che occorrono nella vita
pochissime volte, e che ci pongono quasi in uno stato di pazzia, sarebbe da
stolto il farsi allora avanti a quel tale, ed esponendogli con qualsivoglia
eloquenza i propri bisogni e le proprie miserie, sperare di distorlo dal
pensiero ch'è padrone dell'animo suo, e che gli è sì caro, e quel ch'è più,
condurlo ad operare {o a risolvere efficacemente
d'operare} per un fine alieno da quel pensiero, al quale egli è così
intento anche in udirvi, che appena vi ascolta, e se vi ascolta, cerca di
abbreviare il discorso, di ridur tutto in compendio, (per poi dimenticarlo
affatto) ed ogni suo desiderio è rivolto al momento in cui avrete finito, e lo
lascerete pascere di quel pensiero che lo signoreggia, ed anche parlarvene, e
rivolgere immediatamente la
99 conversazione sopra quel
soggetto.