69. Detto di Bacone, che tutte le facoltà ridotte ad arte steriliscono, applicato alla poesia. Originalità degli antichi, servilità inevitabile de' moderni poeti.
A saying by Bacon that all faculties reduced to art become sterile; its application to poetry. Originality of the ancients; inevitable servility of modern poets.
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Dice Bacone da Verulamio che tutte le facoltà ridotte ad arte
steriliscono.
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Della quale verissima sentenza farò un
breve commento applicandolo in particolare alla poesia. Steriliscono le facoltà
ridotte ad arte, vale a dire gli uomini non trovano altro che le amplifichi,
come trovavano quando ell'erano ancora informi, e senza nome e senza leggi
proprie ec. e di ciò mi sovvengono
(verbo usato in questo significato dal Tasso) 4. ragioni. La 1. che {quasi} nessuno
pensa più ad accrescere una facoltà già stabilita ordinata composta e che si ha
per perfetta, perchè ognuno si contenta e si acquieta stimando la cosa già
compita il che non accadeva prima della sua riduzione ad arte; ma ciascuno che
capitava a coltivare questa facoltà, si lambiccava il cervello per ampliarla
perchè non avea nome d'esser arte; quando l'ha avuto quando anche in fatti non
sia più ricca di prima, par ch'ell'abbia già il tutto. La 2. (e questa è
relativa particolarmente alla poesia) perchè moltissimi anzi quasi tutto il
volgo di quelli che si applicano alla poesia (dite lo stesso proporzionatamente
delle altre facoltà) non ardiscono di violare nessuna delle regole stabilite di
mettere il piede un dito fuori della traccia segnata dai predecessori, credendo
pedantescamente che il poetare non si possa eseguire senza stare a quelle leggi,
insomma la 2.da ragione è la pedanteria. La 3. più comune alle persone di senno
e giudiziose {e capaci, e anche esimie} è il costume e
l'abitudine dal quale non si sanno staccare parte relativamente a se, parte agli
altri. A se, perchè coll'abito preso di leggere di sentire di scrivere quella
tal sorta di poemi di tragedie ec. non sanno fare altrimenti quantunque non
siano ritenuti da nessuna superstizione. Agli altri, perchè non ardiscono di
abbandonare le[la] consuetudine corrente, e
quantunque non sieno schiavi dei pregiudizi tuttavia dovendo comporre qualche
poesia non si risolvono a parere stravaganti ideando cose non più sentite,
dovendo pubblicare un'azione drammatica ed esporla agli occhi del popolo, se la
facessero di capriccio e senz'adattarsi alla forma usata crederebbero meritarsi
le risa o il biasimo universale, se componessero un poema epico di forma
differente da quella che si costuma da tutto il mondo stimano e in certo modo
con ragione che dovrebbero essere ripresi d'aver barattati i nomi, non
ricevendosi per poema epico se non quello che è in questa forma consueta. E così
è in fatti che se uno intitola la sua opera tragedia, il pubblico si aspetta
quello che si suole intendere per tragedia, e trovando cosa tutta differente se
ne ride. Nè senza ragione perchè il danno dell'età nostra è che la poesia sia
già ridotta ad arte, in maniera che per essere veramente originale bisogna
rompere violare disprezzare lasciare da parte intieramente i costumi e le
abitudini e le nozioni di nomi di generi ec. ricevute da tutti, cosa difficile a
fare, e dalla quale si astiene ragionevolmente anche il savio, perchè le
consuetudini vanno rispettate massimamente nelle cose fatte pel popolo come sono
le poesie, nè va ingannato il pubblico con nomi falsi.
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E dare una nuova poesia senza nome affatto {e} che non
possa averne dai generi conosciuti è ragionevole bensì, ma di un ardire
difficile a trovarsi, e che anche ha infiniti ostacoli reali, e non solamente
immaginari nè pedanteschi. La 4. e la più forte, e la più considerabile, che
quando anche un bravo poeta voglia effettivamente astrarre da ogni idea ricevuta
da ogni forma da ogni consuetudine, e si metta a immaginare una poesia tutta sua
propria, senza nessun rispetto, difficilissimamente riesce ad essere veramente
originale, o almeno ad esserlo come gli antichi, perchè a ogni momento anche
senz'avvedersene, senza volerlo, sdegnandosene ancora, ricadrebbe in quelle
forme, in quegli usi, in quelle parti, in quei mezzi, in quegli artifizi, in
quelle immagini, in quei generi ec. ec. come un riozzolo d'acqua che corra per
un luogo dov'è passata altr'acqua: avete bel distornarlo, sempre tenderà e
ricadrà nella strada ch'è restata bagnata dall'acqua precedente. Giacchè la
natura somministra ben da se idee sempre differenti e sempre nuove, e se un
poeta non fosse stato conosciuto dall'altro appena si sarebbero trovati due
poeti che avessero fatti poemi somiglianti {perchè questo non
sarebbe stato se non opera del caso, il quale difficilmente produce simili
combinazioni che ognuno vede quanto sian rare in ogni genere.} Perciò
quando gli esempi erano o scarsi o nulli, Eschilo per es. inventando ora una ora un'altra tragedia senza forme
senza usi stabiliti, e seguendo la sua natura, variava naturalmente a ogni
composizione. Così Omero scrivendo i
suoi poemi, vagava liberamente per li campi immaginabili, e sceglieva quello che
gli pareva giacchè tutto gli era presente effettivamente, non avendoci esempi
anteriori che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la vista. In questo
modo i poeti antichi difficilmente s'imbattevano a non essere originali, o piuttosto erano sempre
originali, e s'erano simili era caso. Ma ora con tanti usi con tanti esempi, con
tante nozioni, definizioni, regole, forme, con tante letture ec. per quanto un
poeta si voglia allontanare dalla strada segnata a ogni poco ci ritorna, mentre
la natura non opera più da se, sempre naturalmente e necessariamente influiscono
sulla mente del poeta le idee acquistate che circoscrivono l'efficacia della
natura e scemano la facoltà inventiva, la quale se ciò non fosse, malgrado i
tanti poeti che ci sono stati, saprebbe ben da se ritrovar naturalmente e senza
sforzo (parlo della facoltà inventiva di un vero poeta) cose sempre nuove, e non
tocche da altri, almeno non in quella maniera ec.
[41,2] Quello che ho detto {qui sopra}
della difficoltà d'astenersi dall'imitare è confermato e dall'esempio del Metastasio che se è vero quello che dice
il Calsabigi
{nella lettera all'Alfieri} non volle mai leggere tragedie francesi,
e da quello che scrive l'Alfieri di se nella sua vita, e tra l'altro del Caluso che gli negò una
tragedia del Voltaire ch'egli volea
leggere mentre stava per comporne un'altra sullo stesso argomento.