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7. Dei vizi letterari in cui sono caduti gli scrittori de' buoni secoli e classici, prima che essi vizi divenissero comuni ne' secoli di corruzione.

On the literary vices of scholars from the good and classical centuries, before they became common vices in the centuries of corruption.

5

[5,1]   5 Come i fanciulli e giovinetti benchè di buona indole pure per la malizia naturale, di quando in quando scappano in qualche difetto e non per tanto sono differentissimi dagli uomini grandi e cattivi, così gli antichi senza conoscere nè amare i vizi {delle arti}, per la naturale tendenza dell'ingegno alla ricercatezza e cose tali di quando in quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, e non per tanto infinitamente differivano dagli adulti artefici del 600 e 700 radicati nella corruzione. E adesso chiunque, per pochissimo che abbia studiato a prima giunta vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno errato. P. E. chi non vede adesso che è cosa ridicola e affettatissima il lamento d'Olimpia ec. nell'Ariosto, quello d'Erminia ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti perchè l'arte era giovane e senza esperienza in buona fede cascavano in questi errori, e noi perchè siamo vecchi nell'arte col nostro senno e coll'esperienza de' tempi corrotti, ce ne ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e questa esperienza sono la morte della poesia ec. Come però si dovrà dire che l'Ariosto per esempio avesse somma arte se cadeva spessissimo in difetti che il più meschino artefice d'oggidì conosce a prima vista? Non avea somma arte ma sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto, e meno poi ripulito.

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