20. Sett. 1823.
[3479,1] Il poeta dee mostrar di avere un fine più serio che
quello di destar delle immagini e di far delle descrizioni. E quando pur questo
sia il suo intento principale, ei deve cercarlo in modo come s'e' non se ne
curasse, e far vista di non cercarlo, ma di mirare a cose più gravi; ma
descrivere fra tanto, e introdurre nel suo poema le immagini, come cose a lui
poco importanti che gli {scorrano} naturalmente dalla
peña[penna]; e, per dir così, descrivere e
introdurre immagini, con gravità, con serietà, senz'alcuna dimostrazione di
compiacenza e di studio apposito, {+e di
pensarci e badarci, nè di voler che il lettore ci si fermi.} Così
fanno Omero e Virgilio e
3480
Dante, i quali pienissimi di vivissime
immagini e descrizioni, non mostrano pur d'accorgersene, ma fanno vista di avere
un fine molto più serio che stia loro unicamente a cuore, ed al qual solo festinent continuamente, cioè il racconto dell'azioni
e l'evento o successo di esse. Al
contrario fa Ovidio, il quale non
dissimula, non che nasconda; ma dimostra e, per dir così, {confessa} quello che è; cioè a dir ch'ei non ha maggiore intento nè
più grave, anzi a null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare
immagini e pitturine, e figurare, e rappresentare continuamente. (20.
Sett. 1823.).