22. Sett. 1823.
[3491,3]
Alla p.
precedente. I timidi (cioè paurosi della vergogna, soggetti alla
δυσωπία, mauvaise honte) non solo sono capaci di non
temere nè fuggire il pericolo, il danno, il sacrifizio, ma eziandio di cercarlo,
di desiderarlo, {di amarlo,} di bramar la morte, di
proccurarsela colle proprie mani. Le stesse qualità morali o fisiche che portano
{sovente} alla timidezza (ciò sono {fra l'altre,} la riflessione, la delicatezza
3492 e profondità di spirito ec. {#1. Veggansi le pagg. 3186-91.} onde Rousseau era strabocchevolmente e invincibilmente
timido), portano ancora alla noia della vita, al disinganno, all'infelicità, e
quindi alla disperazione. È veramente mirabile e tristo, non men che vero, come
un uomo che non solo non teme nè fugge, ma desidera supremamente la morte, un
uomo ch'è disperato di se stesso, che conta già la vita e le cose umane per
nulla, un uomo ch'è risoluto eziandio di morire, tema ancor tuttavia l'aspetto
degli uomini, si perda di coraggio nella società, si spaventi del rischio di
essere ridicolo (rischio ch'egli ha sempre davanti agli occhi, e il cui pensiero
e timore si è quello che lo rende timido), e non abbia coraggio d'intraprender
nulla per migliorare o render meno penosa la sua condizione, e ciò per tema di
peggiorar quella vita della quale egli non fa più caso alcuno, della quale ei
dispera, che non può parergli possibile a divenir peggiore, odiandola già egli
tanto da desiderar sommamente d'esserne liberato, o da volere determinatamente
gittarla via. È mirabile che un uomo desideroso o
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risoluto di morire, un uomo che ripone il suo meglio nel non essere, che non
trova per lui miglior cosa che il rinunziare a ogni cosa; stimi ancora di aver
qualche cosa a perdere, e cosa tanto importante, ch'egli tema sommamente di
perderla; e che questa opinione e questo timore gli renda impossibile la
franchezza, e il gittarsi disperatamente nella vita ch'ei nulla stima; ch'egli
ami meglio rinunziare decisamente a ogni cosa e perdere ogni cosa, che mettersi,
com'ei si crede, al pericolo di perdere quella tal cosa, cioè {quella} riputazione e quella stima altrui che l'uomo
timido teme a ogni momento di perdere, conversando nella società, e ch'egli sa
però bene di non avere, o di perderla, mostrandosi timido; ma contuttociò lo
rende incapace di franchezza il timore continuo di perdere, e la continua e
affannosa cura di conservare, quello ch'ei comprende di non possedere, quello
ch'ei ben s'avvede o di perdere necessariamente o di non mai potere acquistare
{se non deponendo} quel continuo ed eccessivo
timore, quella continua ed eccessiva cura. {Tutte}
Queste misere e strane contraddizioni
3494 e tutti
questi accidenti hanno luogo (proporzionatamente più o meno ec.) nelle persone
timide, e più quanto elle sono di spirito più delicato ec. delicatezza che bene
spesso è la sola o la principal cagione della timidità. Ma quanto al temere
{ancora} la vergogna desiderando la morte o essendo
disposto di proccurarsela, si spiega col vedere che quel coraggio il quale non
nasce da cause fisiche, nè da atto o abito naturale o acquisito d'irriflessione,
ma per lo contrario nasce da riflessione accompagnata col sentimento d'onore, e
da delicatezza d'animo (non da grossezza, come quell'altro) preferisce
effettivamente la morte alla vergogna, e tanto è più pauroso di questa che di
quella, che ad occhi aperti e deliberatamente sceglie {in
fatto} la prima piuttosto che la seconda, e antepone il non vivere
alla {pena di} vergognarsi vivendo. (22. Sett.
1823.).