21. Gen. 1821.
[536,3] È degna di esser veduta, consultata, e anche
537 tradotta e riportata all'occasione, la bella disputazione di Tullio (Lael. sive de Amicitia c. 13. Nam quibusdam
*
etc. sino alla fine) contro quei
filosofi greci i quali dicevano caput esse ad beate vivendum, securitatem; qua frui non possit
animus, si tanquam parturiat unus pro pluribus:
*
e
quindi venivano a prescrivere il curam fugere,
*
e l'honestum rem actionemve, ne
sollicitus
sis, aut non suscipere, aut susceptam
deponere.
*
La qual filosofia, è presso a poco la
filosofia dell'{inazione e del} nulla, la filosofia
perfettamente ragionevole, la filosofia de' nostri giorni. E quella disputazione
di Tullio si può avere per una
disputazione contro l'egoismo, sebbene, a quei tempi, ancora ignoto di nome.
Quę est enim ista securitas?
*
dice Cicerone; e segue facendo vedere a che cosa
porti. Ma il principale è, che non solamente porta a mille assurdità e
scelleraggini (secondo natura, non secondo ragione, ma Cic. chiama la
natura, optimam bene vivendi
ducem.
*
c. 5.): ma non ottiene neanche il suo
fine, ch'è la felicità dell'individuo
538 in qualunque
modo ottenuta. Anzi al contrario, l'impedisce, e la toglie di natura sua, ed è
contraddittoria e incompatibile colla felicità dell'individuo nello stato
sociale. Eccoci tutti seguaci di quella setta o dogma che Cicerone impugna. Eccoci tutti filosofi a quella
maniera. Eccoci tutti egoisti. Ebbene? siamo noi felici? che cosa godiamo noi?
Tolto il bello, il grande, il nobile, la virtù dal mondo, che piacere, che
vantaggio, che vita rimane? Non dico in genere, {e nella
società,} ma in particolare, e in ciascuno. Chi è o fu più felice? Gli
antichi coi loro sacrifizi, le loro cure, le loro inquietudini, negozi,
attività, imprese, pericoli: o noi colla nostra sicurezza, tranquillità, non
curanza, ordine, pace, {inazione}, amore del nostro
bene, e non curanza {di quello} degli altri, o del
pubblico ec.? Gli antichi col loro eroismo, o noi col nostro egoismo? (21.
Gen. 1821.).