Bologna. 13. Luglio. 1826.
[4185,2] Pare affatto contraddittorio nel mio sistema sopra
la felicità umana, il lodare io sì grandemente l'azione, l'attività,
l'abbondanza della vita, e quindi preferire il costume e lo stato antico al
moderno, e nel tempo stesso considerare come il più felice o il meno infelice di
tutti i modi di vita, quello degli uomini i più stupidi, degli animali meno
animali, ossia più poveri di vita, l'inazione e la infingardaggine dei selvaggi;
insomma esaltare sopra tutti gli stati quello di somma vita, e quello di tanta
morte quanta è compatibile coll'esistenza animale. Ma in vero queste due cose si
accordano molto bene insieme, procedono da uno stesso principio, e ne sono
conseguenze necessarie non meno l'una
4186 che l'altra.
Riconosciuta la impossibilità tanto dell'esser felice, quanto del lasciar mai di
desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza
della vita dell'anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che
l'infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro nè
deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il
suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto
maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è più
sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado
possibile d'infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta
tendenza. Le specie e gl'individui {animali} meno
sensibili, {men vivi} per natura loro, hanno il minor
grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi
di minor vita dell'animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli
stati umani. Tale è quello del primitivo o selvaggio. Ecco perchè io preferisco
lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno
lo sviluppo dell'animo, è impossibile il farlo tornare indietro, impossibile,
tanto negl'individui che nei popoli, l'impedirne il progresso. Gl'individui e le
nazioni d'europa e di una gran parte del mondo, hanno da
tempo incalcolabile l'animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio
e[è] impossibile. Intanto dallo
4187 sviluppo e dalla vita del loro animo, segue {una} maggior sensibilità, quindi un maggior sentimento
della suddetta tendenza, quindi maggiore infelicità. Resta un solo rimedio: La
distrazione. Questa consiste nella maggior somma possibile di attività, di
azione, che occupi e riempia le sviluppate facoltà e la vita dell'animo. Per tal
modo il sentimento della detta tendenza sarà o interrotto, o quasi oscurato,
confuso, coperta e soffocata la sua voce, ecclissato. Il rimedio è ben lungi
dall'equivalere allo stato primitivo, ma i suoi effetti sono il meglio che
resti, lo stato che esso produce è il miglior possibile, da che l'uomo è
incivilito. - Questo delle nazioni. Degl'individui similmente. P. e. il più
felice italiano è quello che per natura {e per abito} è
più stupido, meno sensibile, di animo più morto. Ma un italiano che o per natura
o per abito abbia l'animo vivo, non può in modo alcuno acquistare o ricuperare
la insensibilità. Per tanto io lo consiglio di occupare quanto può più la sua
sensibilità. - Da questo discorso segue che il mio sistema, in vece di esser
contrario all'attività, allo spirito di energia che ora domina una gran parte di
europa, {+agli
sforzi diretti a far progredire la civilizzazione in modo da render le
nazioni e gli uomini {sempre} più attivi e più
occupati,} gli è anzi direttamente e fondamentalmente favorevole
(quanto al principio, dico, di attività {+e quanto alla civilizzazione considerata come aumentatrice di occupazione,
di movimento, di vita reale, di azione, e somministratrice dei mezzi
analoghi}), non ostante e nel tempo stesso che esso sistema considera
lo stato selvaggio, l'animo il meno sviluppato, il meno sensibile, il meno
attivo, come la miglior condizione possibile
4188 per
la felicità umana. (Bologna 13. Luglio
1826.).