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8. Gen. 1820.

[101,1]   101 La cagione per cui gli uomini di gusto e di sentimento provano una sensazione dolorosa nel leggere p. e. le continuazioni o le imitazioni dove si contraffanno le bellezze gli stili ec. delle opere classiche, (v. quello che dice il Foscolo della continuazione del Viaggio di Sterne) è che queste in certo modo avviliscono presso noi stessi l'idea di quelle opere, per cui ci eravamo sentiti così affettuosi, e verso cui proviamo una specie di tenerezza. Il vederle così imitate e spesso con poca diversità, e tuttavia in modo ridicolo, ci fa quasi dubitare della ragionevolezza della nostra ammirazione per quei grandi originali, ce la fa quasi parere un'illusioni[un'illusione], ci dipinge come facili triviali e comuni quelle doti che ci aveano destato tanto entusiasmo, cosa acerbissima di vedersi quasi in procinto di dover rinunziare all'idolo della nostra fantasia, e rapire in certo modo, e denudare, e avvilire agli occhi nostri l'oggetto del nostro amore e della nostra venerazione ed ammirazione. Perchè in ogni sentimento dolce e sublime entra sempre l'illusione, ch'è il più acerbo dolore il vedersi togliere e svelare. Perciò quelle tali imitazioni ci sarebbero gravi quando anche gareggiassero cogli originali, togliendoci l'inganno di quell'unico e impareggiabile che forma il {caro} prestigio dell'amore e della maraviglia. Nella stessa guisa che ci riesce dolorosissimo il vedere o porre in ridicolo, o travisare, o imitare gli oggetti de' nostri sentimenti del cuore; (v. Staël Corinne liv. penult. ch. edizione quinta di Parigi) cosa che ci fa o dubitare o certificare della loro vanità reale, e della nostra illusione, e ci strappa a quei soavi inganni che costituiscono la nostra vita: nè c'è cosa che abbia questa forza più della precisa imitazione o somiglianza di un altro oggetto che non possiamo pregiare nè amare (sia per qualche grado di inferiorità reale, di ridicolo, di travisamento ec. sia anche quando la somiglianza non abbia niente  102 o poco d'inferiore) con quello che pregiamo ed amiamo, e che occupa il cuore e l'immaginazione nostra in modo che ne siamo gelosissimi e paurosi, e cerchiamo in tutti i modi di custodirlo. (8. Gen. 1820.)