23. Giugno 1821.
[1207,1]
1207 Quante cose si potrebbero dire circa l'infinita
varietà delle opinioni e del senso degli uomini, rispetto all'armonia delle
parole. Lascio i diversissimi e contrarissimi giudizi dell'orecchio sulla
bellezza esterna delle parole, secondo le diversissime lingue, climi, nazioni,
assuefazioni; {+ed intorno alla dolcezza,
alla grazia, sì delle parole, che delle lettere e delle pronunzie ec. In un
luogo parrà graziosa una pronunzia forestiera, in un altro sgraziata quella,
e graziosa un'altra pur forestiera; secondo i differenti contrasti colle
abitudini di ciascun paese o tempo, contrasti che ora producono il senso
della grazia, ora l'opposto ec. ec. V. p. 1263.} Lascio le differentissime armonie de' periodi
della prosa parlata o scritta, secondo, non solamente le diverse lingue e
nazioni e climi, ma anche i diversi tempi, e i diversi scrittori o parlatori
d'una stessa lingua e nazione, e d'un medesimo tempo. Osserverò solo alcune cose
relative all'armonia de' versi. Un forestiero o un fanciullo balbettante,
sentendo versi italiani, non solo non vi sente alcun diletto all'orecchio, ma
non si accorge di verun'armonia, nè li distingue dalla prosa; se pure non si
accorge e non prova qualche piccolo, anzi menomo diletto nella conformità
regolare della loro cadenza, cioè nella rima. La quale sarebbe sembrata
spiacevolissima e barbara agli antichi greci e latini, ec. alle cui lingue si
poteva adattare niente meno che alle nostre, ed a quelle stesse forme di versi
che usavano, che bene spesso o somigliano, o sono a un dipresso le medesime che
parecchie delle nostre, massimamente italiane. E di più sarebbe stata loro più
facile, stante il maggior numero di consonanze che avevano, ed anche
1208 il maggior numero di parole, considerando se non
altro (per non entrare adesso nel paragone della ricchezza) l'infinita copia e
varietà delle inflessioni di ciascun loro verbo o nome ec. Così che avrebbero
potuto usar la rima meglio di noi, e più gradevolmente, cioè più naturalmente,
forzando meno il senso, il verso, l'armonia della sua struttura, il ritmo, ec. E
nondimeno la fuggivano tanto quanto noi la cerchiamo, ed a noi stessi, avvezzi
all'armonia de' loro versi, parrebbero barbari e disgustosi ponendovi la
rima.
[1208,1] Se esistesse un'assoluta armonia, cioè a dire
un'assoluta convenienza e relazione fra i suoni articolati, e se i versi
italiani (che è pur la lingua e la poesia stimata la più armonica del mondo)
fossero assolutamente armoniosi, lo sentirebbe tanto il forestiero e il
fanciullo ignorante della lingua, quanto l'italiano adulto nè più nè meno. E se
quest'assoluta armonia, e questi versi assolutamente armonici fossero assoluta e
natural cagione di diletto per se stessi, lo sarebbero universalmente, e non più
all'italiano che allo straniero e al fanciullo.
[1208,2] Tutti coloro che non sanno il latino o il greco, di
qualunque nazione sieno, non sentono armonia veruna ne' versi latini o greci, se
pur non sono assuefatti lungamente ad udirne per qualsivoglia circostanza,
1209 ed allora notandone appoco le minute parti, e le
minute corrispondenze, e relazioni, e regolarità, non si formano l'orecchio a
sentirne e gustarne l'armonia. Il qual processo è necessario anche a chi meglio
intenda il latino ed il greco.
[1209,1] Il nostro volgo trova una certa armonia negl'inni
ecclesiastici ec. e nessuna ne troverebbe in Virgilio. Perchè? perchè gl'inni ecclesiastici somigliano sì per la
struttura, l'andamento e il metro, sì bene spesso per la rima, ai versi italiani
che il volgo pure è avvezzo a udire e cantare per le strade. E poi, perch'egli è
avvezzo ad udire appunto quei tali barbari versi e metri latini.
[1209,2] Un italiano assai colto, ma non avvezzo a legger
poesia nostra, leggendogli una canzone del Petrarca, mi disse quasi vergognandosi, che trovava privo d'armonia
quel metro, e che il suo orecchio non ne era punto dilettato. Il qual metro
somiglia a quello delle odi greche composte di strofe, di antistrofe, e d'epodo,
ed ha un'armonia così nobile e grave, ed atto alla lirica sublime. Soggiunse
ch'egli non sentiva il diletto dell'armonia fuorchè nelle ottave, e in qualcuno
de' nostri metri che chiamiamo anacreontici. Notate ch'egli non aveva punto
1210 quell'orecchio che si chiama cattivo.
[1210,1] Domandate a un francese, ancorchè bene istruito
dell'italiano o dell'inglese, s'egli sente verun'armonia ne' versi sciolti più
belli, o ne' versi bianchi degl'inglesi.
[1210,2] Ciascuna nazione ha avuto ed ha i suoi metri
particolari, tanto per la struttura di ciascun verso, quanto per la loro
combinazione, disposizione e distribuzione, ossia per le strofe ec. {+E questi in proporzione della differenza
maggiore o minore de' climi, opinioni, assuefazioni, tempi (giacchè le
stesse nazioni altri n'avevano anticamente, altri poi, altri oggi) ec. ec.
sono diversissimi, e spesso affatto {o inarmonici,
o} disarmonici per gli stranieri, secondo la misura dell'essere
straniero, come noi verso i francesi dall'una
parte, dall'altra verso gli orientali ec. ec.} È impossibile allo
straniero il sentirvi armonia nè diletto, senza una di queste condizioni 1.
lungo uso di quella lingua; ma non basta, anzi è nullo quest'uso, se non vi si
aggiunge il lungo uso di quella poesia. 2. somiglianza o affinità di quei metri
co' metri della propria nazione; come fra quelli degl'italiani e degli
spagnuoli. La difficoltà del sentire l'armonia de' versi stranieri è maggiore o
minore in proporzione ch'ella e[è] più o meno
diversa dall'armonia de' nostrali, o da quella o quelle a cui siamo avvezzi. 3.
abito fatto ad altre armonie forestiere affini a quella di cui si tratta. 4.
orecchio esercitato a tante e sì diverse armonie, che mediante una forza
riflessiva, osservativa, e comparativa straordinariamente accresciuta, sia in
grado di avvertire e conoscere o subito o ben presto la natura di quelle
combinazioni forestiere, {+gli elementi
di quell'armonia, e il ritorno de' loro regolati rapporti rispettivi; sia in grado di assuefar presto l'orecchio, ed abbia una facilità di contrarre
abitudine, ch'è propria degli animi e degl'ingegni pieghevoli e adattabili,
cioè in somma de' grandi ingegni;} ec. ec. e {possa} in poco tempo arrivare a
1211
scoprire e discernere {in detta armonia} quello che i
nazionali ci scuoprono.
[1211,1] È impossibile al nazionale avvezzo, e formato
l'orecchio all'armonia de' suoi metri, per quanto sia chiamata barbara, dura,
dissonante ec. dagli stranieri, il non sentirla meglio, e il non trovarla più
dilettevole di qualunque altra armonia forestiera, ancorchè giudicata bellissima
ec. Fuorchè formando (che è difficilissimo e forse non accade mai)
un'assuefazione nuova che vinca la passata.
[1211,2] Chi di noi sente l'armonia de' versi orientali, o
delle strofe loro? Non parlo de' versi tedeschi o inglesi, o della prosa tedesca
misurata ec. in ordine agl'italiani. I quali molto più presto e facilmente
riconoscono un'armonia ne' versi francesi, perchè lingua ed armonia più affine
alla loro.
[1211,3] Si pretende, ed è probabilissimo che parecchi libri
scritturali sieno metrici. Ma in quali metri sieno composti nessuno l'ha
trovato, benchè molti l'abbiano cercato. E non si potrà mai trovare se non a
caso, non essendoci regola che c'insegni qual fosse quella che agli Ebrei pareva
armonia rispetto alle parole. E ciò per qual altra ragione, se non perchè non
esiste armonia assoluta? Se esistesse, la regola sarebbe trovata, massime
esistendo tutte intere e ordinate quelle parole, che si pretendono aver formato
un'armonia.
1212
(23. Giugno 1821.). {{V. p. 1233.
fine.}}