23. Luglio 1821.
[1372,1] È verissimo che la chiarezza dell'espressione
principalmente deriva dalla chiarezza con cui lo scrittore o il parlatore
concepisce ed ha in mente quella tale idea. Quel metafisico il quale non veda
ben chiaro in quel tal punto, quello storico il quale non conosca bene quel
fatto ec. ec. riusciranno oscurissimi al lettore, come a se stessi. Ma ciò
specialmente accade quando lo scrittore non vuole nè confessare, nè dare a
vedere {che} quella cosa non l'intende chiaramente,
perchè anche le cose che noi vediamo oscuramente possiamo, fare che il lettore
la[le] veda nello stesso modo, e ci
esprimeremo sempre con chiarezza, se faremo vedere al lettore qualunque idea tal
quale noi la concepiamo, e tal quale sta e giace nella nostra mente. Perchè
l'effetto della chiarezza non è propriamente far concepire al lettore un'idea
chiara di una cosa in se stessa, ma un'idea chiara dello stato preciso della
nostra mente, o ch'ella veda chiaro, o veda scuro; giacchè
1373 questo è fuor del caso, e indifferente alla chiarezza della
scrittura o dell'espressione propriamente considerata, e in se stessa.
[1373,1] Ora io dico, che tolta la detta mala fede, e tolta
l'ignoranza e incapacità di esprimersi, la quale influisce tanto sulle idee
chiare di chi scrive o parla, quanto sulle oscure; il veder chiaro (se non
altro, assai spesso) pregiudica alla chiarezza dell'espressione, in luogo di
giovarle. Chi non vede chiarissimo, p. e. un filosofo il quale non sia ancora
pienamente assuefatto alla sottigliezza delle idee, purchè non abbia la detta
mala fede, e possieda l'arte dell'espressione, si studia in tutti i modi di
rischiarar la materia, non solo al lettore, ma anche a se stesso, e se non ha
parlato chiarissimamente, se non ha per ogni parte espresso lo stato delle sue
concezioni, non è contento, perch'egli stesso non s'intende, e quindi sente
bene, che non sarà inteso, il che nessuno {scrittore}
precisamente vuole, se non in caso di mala fede, o in qualche straordinaria
circostanza.
[1374,1]
1374 Ma quando il filosofo (per seguire collo stesso
esempio) è pienamente entrato nel campo delle speculazioni, quando s'è avvezzato
a veder la materia da capo a fondo, n'è divenuto padrone, e vi si spazia
coll'intelletto a piacer suo, {+o almeno
vi passeggia per entro con franchezza,} trova chiarezza in ogni cosa,
s'è abituato alla lettura degli scritti più sottili, a penetrarli intimamente a
quel gergo filosofico ec: allora ha bisogno di una particolare e continua
avvertenza per riuscir chiaro, e gli si rende più difficile e più lontana
dall'uso la chiarezza, perchè intendendosi egli subito, crede che subito sarà
inteso, misura l'altrui mente dalla sua, {+ed essendo sicuro delle sue idee, non ha più bisogno di
fissarle e dichiararle in certo modo anche a se stesso; preterisce quelle
proposizioni, quelle premesse, quelle circostanze, quelle legature de'
ragionamenti, quelle prove o confermazioni o dilucidazioni, quelle minuzie,
che perchè a lui son ovvie, crede che da tutti saranno sottintese;}
abusa di quel gergo (necessario però in se stesso ec. ec.). Questo può accadere,
e spesso accade, anzi tutto giorno, in una particolar materia, dove lo scrittore
o parlatore abbia un'assoluta chiarezza, padronanza, abito di concezione.
ec.
[1374,2] E di quanto dico si può vedere quotidianamente
l'esempio ne' discorsi delle persone colte, illuminate, e ben capaci di
esprimersi. Ponete due persone di questo genere, e vedrete ordinariamente che
quella la quale possiede quella materia alquanto meno, spiega perfettamente le
sue idee, e le rischiara molto negli altri; quella che l'
1375 ha tutta sulle dita, lascia molto più a desiderare, benchè non
volendo, e benchè capacissimo di chiarezza nelle altre cose. E quindi è
giornaliero il lagnarsi della oscurità con cui ragionano delle loro discipline
ec. quelli che le professano. Il che si può considerare anche sotto questo
aspetto.
[1375,1] Coloro che non fanno professione, o non sono
pienamente pratici e versati in qualche facoltà, credono obbligo loro, e si
propongono nel trattarla, di parlare o scrivere a tutti. Ma quelli che le
professano, intendono (anche senza determinata volontà) di parlarne o scriverne
ai professori. Il che se può comportarsi in altre scienze o discipline, non deve
aver luogo nella filosofia morale o metafisica ec. e in tutte quelle cognizioni
che benchè astratte o sottili ec. devono però esser trattate non per una
particolar classe di persone, ma per tutti, anzi più per quelli che le ignorano,
o poco le conoscono, che per li periti.
[1375,2] È anche cosa osservabile che dei maestri i quali non
siano assolutamente insigni in una facoltà, spesso sono adattati a insegnarla, e
riescono a darla bene ad intendere, purchè
1376 abbiano
le altre qualità necessarie o proprie del bene insegnare, e indipendenti dalla
cognizione della materia. Ma quegli uomini che si distinguono in questa
cognizione, di rado assai troverannosi adattati a insegnarla, e gli scolari
partiranno dalla scuola dell'uomo il più dotto, senz'aver nulla partecipato alla
sua dottrina: eccetto il caso (raro) ch'egli abbia quella forza d'immaginazione,
e quel giudizio che lo fa astrarre {interamente} dal
suo proprio stato, per mettersi ne' piedi de' suoi discepoli, il che si chiama
comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon
maestro e la più utile, non è l'eccellenza in quella tal dottrina, ma
l'eccellenza nel saperla comunicare.
[1376,1] E quello che ho detto accade perchè pochi fra gli
stessi più dotti, sono capaci di rintracciare minutamente, ed avere esattamente
presenti le origini, i progressi, il modo dello sviluppo, insomma la storia
delle loro {proprie} cognizioni e pensieri, del loro
sapere, del loro intelletto. Questo è proprio solamente de' sommi spiriti, i cui
progressi benchè derivati necessariamente dalle assuefazioni, dalle circostanze,
e dal caso, pur furono
1377 meno materiali e casuali
che quelli degli altri anche insigni. E l'immaginazione necessaria alla
comunicativa è sempre propria dei geni, anche filosofici, anche metafisici,
anche matematici. V. altro mio pensiero p. 58 sulla
comunicativa degli scrittori, bisognosi di tenere a questo fine, alquanto di
spirito poetico. (23. Luglio 1821.).