1. Luglio 1820.
[142,2]
Curae leves
loquuntur, ingentes stupent
*
sta per epigrafe
del n. 95 dello Spectator inglese, senza nome
d'autore.
[143,1]
143 Che vuol dire che fra tanti imitatori che si sono
trovati di opere e di scrittori classici, nessuno è pervenuto ad occupare un
grado {di fama} non dico uguale, ma neppur vicino a
quello dell'imitato? Non è già verisimile che essendo più facile l'inventis
addere, e il perfezionare una cosa inventata, che l'inventarla già perfetta, ed
essendoci stati molti imitatori di sommo ingegno, massimamente in italia in un
tempo dove l'imitare era cosa di moda, e perciò diveniva occupazione anche dei
migliori (come Sanazzaro imitator di
Virgilio, il Tasso del Petrarca ec.), non si sia mai data nessun'imitazione che almeno
agguagli l'opera imitata, e per conseguenza meritasse un posto compagno a quello
dell'originale. Ma il fatto sta che in materia di letteratura o di arti, basta
accorgersi dell'imitazione, per metter quell'opera infinitamente al di sotto del
modello, e che in questo caso, come in molti altri, la fama non ha tanto
riguardo al merito assoluto ed intrinseco dell'opera, quanto alla circostanza
dello scrittore o dell'artefice. Laonde, o imitatori qualunque vi siate,
disperate affatto di arrivare all'immortalità, quando bene le vostre copie
valessero effettivamente molto più dell'originale.
[143,2] Nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo
stesso stadio che lo spirito umano in generale. Da principio il mio forte era la
fantasia, e i miei versi erano pieni d'immagini, e delle mie letture poetiche io
cercava sempre di profittare riguardo alla immaginazione. Io era bensì
sensibilissimo anche agli affetti, ma esprimerli in poesia non sapeva. Non aveva
ancora meditato intorno alle cose, e della filosofia non avea che un barlume, e
questo in grande, e con quella solita illusione che {noi} ci facciamo, cioè che nel mondo e nella vita ci debba esser
sempre un'eccezione a favor nostro. Sono stato sempre sventurato, ma le mie
sventure d'allora erano piene di vita, e mi disperavano perchè mi pareva (non
veramente alla ragione, ma ad una saldissima immaginazione) che m'impedissero la
felicità, della quale gli altri credea che godessero. In somma il mio stato era
allora in tutto e per tutto come quello degli antichi.
144 Ben è vero che anche allora, quando le sventure mi stringevano e mi
travagliavano assai, io diveniva capace anche di certi affetti in poesia, come
nell'ultimo canto della Cantica. La mutazione totale in me, e il passaggio dallo
stato antico al moderno, seguì si può dire dentro un anno, cioè nel 1819. dove
privato dell'uso della vista, e della continua distrazione della lettura,
cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai
ad abbandonar la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose (in questi
pensieri ho scritto in un anno il doppio quasi di quello che avea scritto in un
anno e mezzo, e sopra materie appartenenti sopra tutto alla nostra natura, a
differenza dei pensieri passati, quasi tutti di letteratura), a divenir filosofo
di professione (di poeta ch'io era), a sentire l'infelicità certa del mondo, in
luogo di conoscerla, e questo anche per uno stato di languore corporale, che
tanto più mi allontanava dagli antichi e mi avvicinava ai moderni. Allora
l'immaginazione in me fu sommamente infiacchita, e quantunque la facoltà
dell'invenzione allora appunto crescesse in me grandemente, anzi quasi
cominciasse, verteva però principalmente, o sopra affari di prosa, o sopra
poesie sentimentali. E s'io mi metteva a far versi, le immagini mi venivano a
sommo stento, anzi la fantasia era quasi disseccata (anche astraendo dalla
poesia, cioè nella contemplazione delle belle scene naturali ec. come ora ch'io
ci resto duro come una pietra); bensì quei versi traboccavano di sentimento.
(1. Luglio 1820). {{Così si può ben dire che
in rigor di termini, poeti non erano se non gli antichi, e non sono ora se
non i fanciulli, o giovanetti, e i moderni che hanno questo nome, non sono
altro che filosofi. Ed io infatti non divenni sentimentale, se non quando
perduta la fantasia divenni insensibile alla natura, e tutto dedito alla
ragione e al vero, in somma filosofo.}}