23. Ott. 1821.
[1978,1] Il suicidio è contro natura. Ma viviamo noi secondo
natura? Non l'abbiamo al tutto abbandonata per seguir la ragione? Non siamo
animali ragionevoli, cioè diversissimi dai naturali? La ragione non ci mostra ad
1979 evidenza l'utilità di morire? Desidereremmo
noi di ucciderci, se non conoscessimo altro movente, altro maestro della vita
che la natura, e se fossimo ancora, come già fummo, nello stato naturale? Perchè
dunque dovendo vivere contro natura, non possiamo morire contro natura? perchè
se quello è ragionevole, questo non lo è? perchè se la ragione ci ha da esser
maestra della vita, l'ha da determinare, regolare, predominare, non l'ha da
essere, non può far altrettanto della morte? Misuriamo noi il bene o il male
delle nostre azioni dalla natura? no ma dalla ragione. Perchè tutte le altre
dalla ragione, e questa dalla natura?
[1979,1] Non c'è che dire. La presente condizione dell'uomo
obbligandolo a vivere {e pensare ed operare} secondo
ragione, e vietandogli di uccidersi, è contraddittorio[contraddittoria.] O il suicidio non è contro la morale sebben contro
natura, o la nostra vita, essendo contro natura, è contro la morale. Questo no,
dunque neppur quello.
[1980,1]
1980 Accade del suicidio come della medicina. Essa non
è naturale. Il tirar sangue, tanti farmachi velenosi, tante operazioni dolorose
ec. sono ignote a' popoli naturali, e sono contro natura. Ma lo stato fisico
dell'uomo essendo oggi e sempre più divenendo lontanissimo dal naturale, è
conveniente e necessaria un'arte e dei mezzi non naturali per rimediare
agl'incomodi di un tale stato. (V. Celso
sull'orig. della medicina).
[1980,2] Ovvero: il tirar sangue è contro natura. Ma
l'inconveniente che lo esige essendo un accidente di cui l'ordine naturale non è
colpevole nè responsabile, il rimedio è conveniente ancorchè non naturale, ma è
conveniente per accidente.
[1980,3] Or nello stesso modo, questo grande accidente che
contro l'ordine naturale, ha mutato la condizione dell'uomo; quell'accidente, di
cui la natura non è colpevole, o che non potea esser preveduto nè provveduto, ma
che contro l'ordine naturale, ci fa desiderar la morte, rende conveniente il
suicidio per contrario
1981 che sia alla natura.
[1981,1] Non v'è dunque che la religione che possa condannare
il suicidio. L'esser contrario alla natura, nel presente stato dell'uomo, non è
prova nessuna ch'egli non sia lecito.
[1981,2] Che bello e felice stato dev'esser dunque quello, il
quale quanto a se rende lecita, e domanda la cosa la più contraria all'essenza
di qualunque cosa, la più contraddittoria coll'esistenza {e
co' suoi principii,} quella che ridotta ad atto distruggerebbe tutto
ciò che vive, e sovvertirebbe l'ordine di tutto ciò che ne dipende o vi ha
relazione!
[1981,3] Da tutto ciò si vede che {il
progresso della} ragione tende essenzialmente, non solo a rendere
infelice, ma a distruggere la specie umana, i viventi, o esseri capaci di
pensiero, e l'ordine naturale. Non v'è che la Religione (assai più favorita e
provata dalla natura che dalla ragione) la quale puntelli il misero e crollante
edifizio della presente vita umana, ed entri di mezzo
1982 per metter d'accordo alla meglio questi due incompatibili ed
irreconciliabili elementi dell'umano sistema, ragione e natura, esistenza e
nullità, vita e morte. (23. Ott. 1821.)