Marzo - Settembre, 1818.
[21,3]
Sì come dopo la procella oscura
Canticchiando* gli augelli escon del loco
Dove cacciogli il vento (nembo) e la paura;
E il villanel che presso al patrio foco
Sta sospirando il sol, si riconforta (si rasserena)
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Sentendo il dolce canto e il dolce gioco;
[21,4] Grandissima parte dell'opere utili proccurano il piacere
mediatamente, cioè mostrando come ce lo possiamo proccurare: la poesia
immediatamente, cioè somministrandocelo.
[21,5] Cercava Longino
{(nel fine del trattato del
Sublime)} perchè al suo tempo ci fosse tanta
scarsezza di anime grandi e portava per ragione parte la fine delle repubbliche
e della libertà, parte l'{avarizia, la} lussuria e
l'ignavia. Ora queste non sono madri ma sorelle di quell'effetto di cui
parliamo. E questo e quelle derivano dai progressi della ragione e della
civiltà, e dalla mancanza o indebolimento delle illusioni, senza le quali non ci
sarà quasi mai grandezza di pensieri nè forza e impeto e ardore d'animo, nè
grandi azioni che per lo più sono pazzie. Quando ognuno è bene illuminato in
vece dei diletti e dei beni vani come sono la gloria l'amor della patria la
libertà ec. ec. cerca i solidi cioè i piaceri carnali osceni
22 ec. in somma terrestri, {cerca l'utile suo
proprio sia consistente nel danaro o altro,} diventa egoista
necessariamente, nè si vuol sacrificare per sostanze immaginarie nè comprometter
se per gli altri nè mettere a ripentaglio un bene maggiore come la vita le
sostanze ec. per un minore, come la lode ec. (lasciamo stare che la civiltà fa
gli uomini tutti simili gli uni agli altri, togliendo e perseguitando la
singolarità, e distribuendo i lumi {e le qualità buone}
non accresce la massa, ma la sparte, sì che ridotta in piccole porzioni fa
piccoli effetti) Quindi {l'avarizia, la} lussuria e
l'ignavia, e da queste la barbarie che vien dopo l'eccesso dell'incivilimento. E
però non c'è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle
illusioni producono la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato non diventa
mica civilissimo, come sognano i filosofi del nostro tempo, la Staël ec. ma barbaro: al che noi
c'incamminiamo a gran passi e quasi siamo arrivati. La più gran nemica della
barbarie non è la ragione ma la natura: (seguìta però a dovere) essa ci
somministra le illusioni che quando sono nel loro punto fanno un popolo
veramente civile, e certo nessuno chiamerà barbari i Romani combattenti i
Cartaginesi, nè i Greci alle Termopile, quantunque quel
tempo fosse pieno di ardentissime illusioni, e pochissimo filosofici presso
ambedue i popoli. Le illusioni sono in natura, inerenti al sistema del mondo,
tolte via affatto o quasi {affatto,} l'uomo è
snaturato; ogni popolo snaturato è barbaro, non potendo più correre le cose come
vuole il sistema del mondo. La ragione è un lume; La natura vuol essere
illuminata dalla ragione non incendiata. Come io dico accadde appresso i Greci e
i Romani: al tempo di Longino già
erano quasi barbari, eppure non c'era stata nessuna irruzione straniera; dalla
terra stessa loro nacque la barbarie, da quelle civilissime terre, perchè la
civiltà era eccessiva. Cicerone era il
predicatore delle illusioni. Vedete le Filippiche principalmente, ma poi
tutte le altre Orazioni sue politiche; sempre sta in persuadere i Romani a
operare illusamente, sempre l'esempio de' maggiori, la gloria, la libertà, la
patria, meglio la morte che il servizio; che vergogna è questa: Antonio un tiranno di questa razza
ancora vive ec. E intanto Antonio che
sarebbe stato pugnalato nel foro o nella curia in altri tempi, tiranno
vergognosissimo, non si poteva ottenere in Roma,
essendoci tante armate contro di lui, tanto motivo di sperare che sarebbe vinto,
che fosse dichiarato nemico della patria: calcolavano cercavano ec. quello che
in altri tempi senza un istante di deliberazione sarebbe stato deciso a pieni
voti: Cicerone predicava indarno, non
c'erano più le illusioni d'una volta, era venuta la ragione, non importava un
fico la patria la gloria il vantaggio {degli altri} dei
posteri ec. eran fatti egoisti, pesavano il proprio utile, consideravano quello
che in un caso poteva succedere, non più ardore non impeto, non grandezza
d'animo, l'esempio de' maggiori era una frivolezza
23 in
quei tempi tanto diversi: così perderono la libertà, non {si
arrivò a} conservare e difendere quello che pur Bruto per un avanzo d'illusioni aveva fatto, vennero
gl'imperatori, crebbe la lussuria e l'ignavia, e poco dopo con tanto più
filosofia, {libri} scienza esperienza storia, erano
barbari.
[23,1] E la ragione facendo naturalmente amici dell'utile
proprio, e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie
assolutamente la società, e inferocisce le persone.
[23,2]
{Anche} l'amore della maraviglia par che si debba
ridurre all'amore dello straordinario e all'odio della noia ch'è prodotta
dall'uniformità.
[23,3] Vedendo meco viaggiar la luna.
[23,4] Non è favoloso ma ragionevole e vero il porre i tempi
Eroici tra gli antichissimi. L'eroismo e il sagrifizio di se stesso e la
gloriosa morte {ec.} di cui parla il Breme
Spettatore p. 47. finiscono
colle illusioni, e non è un minchione che le voglia {in
se}, in tempi di ragione e di filosofia, come sono questi, ch'essendo
tali, sono anche quello ch'io dico cioè privi affatto di eroismo. ec.