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29. Aprile. 1822.

[2402,3]  La natura vieta il suicidio. Qual natura? Questa nostra presente? Noi siamo di tutt'altra natura da quella ch'eravamo. Paragoniamoci colle nazioni naturali, e vediamo se quegli uomini si possono stimare d'una stessa razza con noi. Paragoniamoci con noi medesimi fanciulli, e avremo lo stesso risultato. L'assuefazione è una seconda natura, massime l'assuefazione così radicata, così lunga, e cominciata in sì tenera età, com'è quell'assuefazione (composta d'assuefazioni infinite e diversissime) che ci fa esser tutt'altri che uomini naturali, o conformi alla prima natura dell'uomo, e alla natura generale degli esseri terrestri.  2403 Basti dire che volendo con ogni massimo sforzo rimetterci nello stato naturale, non potremmo, nè quanto al fisico, che non lo sopporterebbe in verun modo, nè posto che si potesse quanto al fisico ed esternamente, si potrebbe quanto al morale ed internamente; il che viene ad esser tutt'uno, non potendo noi esser più partecipi della felicità destinata all'uomo naturalmente, perchè l'interno nostro, che è la parte principale di noi, non può tornar qual era, per nessuna cagione o arte. Che ha dunque a fare in questa quistione del suicidio, e in ogni altra cosa che ci appartenga, la legge o l'inclinazione di una natura, che non solo non è nostra, ma anche volendo noi e proccurandolo per ogni verso, non potrebbe più essere? Il punto dunque sta qual sia l'inclinazione e il desiderio di questa seconda natura, ch'è veramente nostra e presente. E questa invece d'opporsi al suicidio, non può far che non lo consigli, e non lo brami intensamente: perchè anch'ella odia soprattutto l'infelicità, e sente che non la può fuggire se non colla morte, e non tollera che la tardanza di questa allunghi i suoi patimenti.  2404 Dunque la vera natura nostra, che non abbiamo da far niente cogli uomini del tempo di Adamo, permette, anzi richiede il suicidio. Se la nostra natura, fosse la prima natura umana, non saremmo infelici, e questo inevitabilmente, e irrimediabilmente; e non desidereremmo, anzi abborriremmo la morte. (29. Aprile, 1822.). {+La natura nostra presente è appresso a poco la ragione. La quale anch'essa odia l'infelicità. E non v'è ragionamento umano che non persuada il suicidio, cioè piuttosto di non essere, che di essere infelice. E noi seguiamo la ragione in tutt'altro, e crederemmo di mancare al dover di uomo facendo altrimenti.}