4. ottobre 1820.
[259,2] Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando
anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino
evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando
anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che
si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e
scoraggimento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e
forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione,
260 raccendono l'entusiasmo, e non trattando nè
rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella
vita che aveva perduta. E così quello che veduto nella realtà delle cose, accora
e uccide l'anima, veduto nell'imitazione o in qualunque altro modo nelle opere
di genio (come p. e. nella lirica che non è propriamente imitazione), apre il
cuore e ravviva. Tant'è, siccome l'autore che descriveva e sentiva così
fortemente il vano delle illusioni, pur conservava un gran fondo d'illusione, e
ne dava una gran prova, col descrivere così studiosamente la loro vanità (v. p. 214. 215.), nello stesso modo
il lettore quantunque disingannato, e per se stesso e per la lettura, pur è
tratto dall'autore, in quello stesso inganno e illusione nascosta ne' più intimi
recessi dell'animo, ch'egli provava. E lo stesso conoscere l'irreparabile vanità
e falsità di ogni bello e di ogni grande è una certa bellezza e grandezza che
riempie l'anima, quando questa conoscenza si trova nelle opere di genio. E lo
stesso spettacolo della nullità, è una cosa in queste opere, che par che
ingrandisca l'anima del lettore, la innalzi, e la soddisfaccia di se stessa e
della propria disperazione. (Gran cosa, e certa madre di piacere e di
entusiasmo, e magistrale effetto della poesia, quando giunge a fare che il
lettore acquisti maggior concetto di se, e delle sue disgrazie, e del suo stesso
abbattimento e annichilamento di spirito). Oltracciò
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il sentimento del nulla, è il sentimento di una cosa morta e mortifera. Ma se
questo sentimento è vivo, come nel caso ch'io dico, la sua vivacità prevale
nell'animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire, e l'anima riceve
vita (se non altro passeggiera) dalla stessa forza con cui sente la morte
perpetua delle cose, e sua propria. Giacchè non è piccolo effetto della
cognizione del gran nulla, nè poco penoso, l'indifferenza e insensibilità che
inspira ordinarissimamente e deve naturalmente ispirare, sopra lo stesso nulla.
Questa indifferenza e insensibilità è rimossa dalla detta lettura o
contemplazione di una tal opera di genio: ella ci rende sensibili alla nullità
delle cose, e questa è la principal cagione del fenomeno che ho detto.
[261,1] Osserverò che il detto fenomeno occorre molto più
difficilmente nelle poesie tetre e nere del Settentrione, massimamente moderne,
come in quelle di Lord Byron, che nelle
meridionali, le quali conservano una certa luce negli argomenti più bui,
dolorosi e disperanti; e la lettura del Petrarca, p. e. de' trionfi, e
della conferenza di Achille e di Priamo, dirò ancora di Verter, produce questo effetto molto più che il Giaurro, o il
Corsaro ec. non ostante che {trattino e}
dimostrino la stessa infelicità degli uomini, e vanità delle cose. (4.
8bre 1820.). Io so che letto Verter
mi sono trovato caldissimo nella mia disperazione letto Lord Byron, freddissimo, e senza entusiasmo nessuno;
molto meno consolazione.
262 E certo Lord Byron non mi rese niente più sensibile alla mia
disperazione: piuttosto mi avrebbe fatto più insensibile e marmoreo.