Settembre - Dicembre, 1818.
[23,5] Quell'affetto nella lirica che cagiona l'eloquenza, e
abbagliando meno persuade e muove più, e più dolcemente massime nel tenero, non
si trova in nessun lirico, nè antico nè moderno se non nel Petrarca, almeno almeno in quel grado: e Orazio quantunque forse sia superiore
nelle immagini e nelle sentenze, in questo affetto ed eloquenza e copia non può
pur venire al paragone col Petrarca: il
cui stile ha in oltre (io non parlo qui solo delle canzoni amorose ma anche
singolarmente e nominatamente delle tre liriche: O aspettata in ciel beata e bella,
Spirto gentil che quelle membra
reggi, Italia
mia ec.) ha una semplicità e candidezza sua propria, che
però si piega e si accomoda mirabilmente alla nobiltà e magnificenza del dire,
(come in quel: Pon mente
al temerario ardir di Serse
ec.
*
) così in tutto il corpo e continuatamente, come nelle
varie parti e in quelle dove egli si alza a maggior sublimità e nobiltà che per
l'ordinario: si piega alle sentenze (come in quel: Rade volte addivien che a l'alte
imprese
*
ec.) quantunque di quelle spiccate non n'abbia
gran fatto in quelle tre canzoni: si piega ottimamente alle immagini delle quali
le tre canzoni abbondano e sono innestate nello stile e formanti il sangue di
esso ec. (come: Al qual
come si legge, Mario aperse sì
'l fianco
*
ec. Di lor vene ove il nostro ferro mise
*
ec.
Le man le avess'io
avvolte entro i capegli
*
ec.)
[23,6] Il Testi ha dicitura competentemente poetica ed elegante, non manca
d'immagini, ha anche qualche immaginetta graziosa (come dove dice di Davidde: E allor che in
Oriente il dì nascea Usciva a pascer l'agne Su la costa del monte o
lungo il rio
*
, nella Canzone Nelle squallide spiagge ove
Acheronte) ha sufficiente grandiosità ed anche qualche
eloquenza, le sentenze non sono mal collocate nè esposte, quantunque non nuove,
riesce anche benino assai nelle Canzoni filosofiche
all'Oraziana, imita spesso e qualche volta quasi traduce
Orazio, ma non ha l'animatezza la
scolpitezza, e la concisa nervosità e muscolosità ed energia e lo spirito del
suo stile, nè molta originalità e novità, nè proprio proprio sublimità di
concetti e d'invenzioni. Ma tutti i pregi che ho detto, salvo solamente la
grandiosità e l'eloquenza risplendono massimamente nelle Canz. della prima parte che sono per la più parte
filosofiche e Oraziane, {dove lo stile è castigato e non manca leggiadria di maniere e
di concetti,} perchè nelle altre parti, quantunque s'innalzi
maggiormente, e metta fuori più forza, e facondia, e più energiche immagini e in
somma sia più pindarico, è difficile trovar canzone che non sia malamente e
sporcamente e visibilmente e tenacemente imbrattata della pece del suo secolo,
che nella prima parte appena appena si scorge qua e là come macchiuzze, e forse
qualche canzona n'è libera affatto e può parere d'un altro secolo. In oltre la
dicitura
24 diventa meno elegante e pulita e {spesso le voci e le locuzioni le metafore i traslati sono
prosaici.} In somma si vede molto il febbricitante e {il} mal lavorato {e mal limato}
del seicento.
[24,1] Son propri esclusivamente del Petrarca in quanto all'affetto, non solo la copia, ma
anche quei movimenti pieni τοῦ πάϑους e quelle immagini affettuose (come: E la povera gente
sbigottita
*
ec.) e tutto quello che forma la vera e animata
e calda eloquenza. E dall'influsso che ha il cuore nella poesia del Petrarca viene la mollezza e quasi
untuosità come d'olio soavissimo delle sue Canzoni, (anche
nominatamente quelle sull'italia) e che le odi degli
altri appetto alle sue paiano asciutte e dure e aride, non mancando a lui la
sublimità degli altri e di più avendo quella morbidezza e pastosità che è
cagionata dal cuore.
[24,2] Il Filicaia va dietro al sublime e anche l'arriva, ma parlando sempre di
cose della nostra Religione ha tolto a imitare quel sommo sublime della scrittura, e per questo sommo sublime si fa
pregiare, che del resto, quando o non lo cerca o non lo arriva, non ha quasi
cosa ch'esca gran fatto dall'ordinario, non ha punto di leggiadria mai, non ha
in nessun modo la varietà del Testi ec. Ma anche dove ha quel sommo sublime di
stile simile allo scritturale e profetico, non è molto piacevole per cagione
della monotonia delle sue Canzoni e perchè {le
impressioni di} quel sommo sublime essendo troppo veementi non possono
durar gran tempo e si spengono, e il lettore ci si assuefà, sì che con quella
monotonia, viene a rendersi il sublime inefficace, e le odi stucchevolucce. Le
migliori sono quelle per l'assedio e la liberazione di
Vienna, e tra queste a mio giudizio quella che
incomincia Le corde
d'oro elette
*
. Sono anche queste macchiate qua e là del
seicentismo. Le parole, locuzioni, metafore prosaiche non mancano, come quello:
a tua Pietà
m'appello
*
della 1. Canzone, e nella seconda: E al tuo soldo arrolata è
la vittoria
*
.
[24,3] Nuova strada per gl'italiani s'aperse il Chiabrera, solo veramente Pindarico,
non escluso punto Orazio, sublime alla
greca Omerica e Pindarica, cioè dentro grandi ma giusti limiti, e non
all'orientale come il Filicaja
sublime, colla conveniente e greca semplicità, per mezzo dell'accozzamento τῶν λημμάτων
*
,
come dice Longino, cioè di certe parti della cosa che unite tutte insieme
formano rapidamente il sublime, e un sublime, come dico, rapido inaffettato e in
somma pindarico; robusto nelle immagini, {sufficientemente} fecondo nell'invenzione e nelle novità, facile
appunto come Pindaro a riscaldarsi
infiammarsi, sublimarsi anche per le cose tenui, e dar loro al primo tocco
un'aria grande ed eccelsa. Fu ardito {caldo veemente
urtantesi nelle cose, ardito} nelle voci (come instellarsi
inarenare) nelle locuzioni nelle costruzioni, nel
trarre dal greco e latino le forme così de' sentimenti, (come: Canz. 70. Eroica: Meco non vo' che vaglia sì sconsigliata voce
*
, e altrove:
A me non scenda
in cor sì ria parola
*
: e nota ch'io dico le forme de'
sentimenti e non i sentimenti) come delle parole, nel che alle volte fu felice,
come: Canz. Eroica 23:
Qual non fe scempio sanguinoso acerbo L'aspro cor dell'Eacide superbo
*
? Canz. eroica 71: Sol fe contrasto il gran sangue di Guisa
*
ec.
Imitò anche bene i greci e Pindaro e
Orazio nell'economia del
comportamento. E certo alle volte è nobilissimo tanto pel sentim. quanto per le
parole: ma pochissimi pezzi finiscono di piacere; non arriva quasi mai, non
ostante quello che s'è detto del suo stile estrinseco alla felicità
d'espressione, e alla bellezza della composizione delle parole d'Orazio, è oscuro assai spesso per le
costruz. gli equivoci (non già voluti, come i seicentisti, ma non avvertiti o
trascurati) la soppressione delle idee intermedie ne' passaggi (se ben questa è
naturale, perchè
25 il poeta fervido quantunque non passi
mai da un pensiero all'altro senza una qualche cagione e occasione che è come il
legame delle diverse idee, nondimeno questo legame essendo sottilissimo lo salta
facilmente, o anche non saltandolo affatto, il lettore non lo arriva a vedere) e
anche nel passare per es. dalle premesse alla conseguenza ec. insomma è sovente
sconnesso, (ma questa potrebbe anche essere una lode per la
verita[verità] dell'imitazione dell'affetto
e dell'estro, e tutto questo difetto dell'oscurità lo ha comune con Pindaro) ha qualche macchia di
seicentisteria, che però è rara e non farebbe gran caso; ha qualche metafora non
seicentesca affatto, ma troppo ardita, alla pindarica sì, ma soverchiamente
ardita, come Canz. Eroica 14. dice dell'armi di
Toscana: Elle non tra i
confin del patrio lito, Quasi belve in covili, Ma fero udir gentili Per
le strane foreste aspro ruggito
*
:
Canz.
Eroica 41. chiama le vele: le tessute penne;
*
(se ben quella
del ruggito si potrebbe difendere colla similitudine che precede, delle belve,
onde si riferisse a quella, cioè la metafora non fosse più semplicemente delle
armi ruggenti, ma cambiate in fiere o assomigliate alle fiere e così ruggenti,
per una enallage pindarica) fa forza alla lingua nelle voci (come le composte
alla greca: ondisonante ec. che la nostra lingua non
ama) nelle forme trasportate dal greco e lat. infelicemente, (giacchè non sempre
anzi non sovente è felice come ho detto di qualche volta) nelle locuzioni nelle
costruzioni; e quel ch'è più e che l'uccide, è disugualissimo ridondante di
pezzi deboli {pel sentimento} anzi anche di Canzoni o
intere o quasi; di stile per l'ordinario infelice lingua incolta (neglexit linguę
cultum
*
, dice il Gravina nella lettera latina al
Maffei, e così è) sì
che non sono se non rarissimi quei pezzi dei quali si possa dire tutto il bene,
e in cui, quando anche l'immagini e i sentimenti sieno perfetti il che non è
tanto raro, l'esteriore dello stile non abbia difetti che saltano
grandissimamente all'occhio e disgustano. Che s'egli avesse avuto scelta (delectum rerum et
limam amisit
*
, dice verissimamente il Gravina
l. c.) e lima (delle quali forse e
massime della seconda non era capace) sarebbe il più gran lirico pindarico che
abbia qualunque nazione antica e moderna, da non potersegli paragonare nè Orazio nè verun altro eccetto lo stesso
Pindaro. Questi difetti
principalmente (di scelta e di lima tanto per le cose che per le parole, giacchè
gli altri accennati di sopra non son tanto gravi, e già si sa che un gran poeta
deve aver grandi difetti, sì che se non fossero altro che quelli, io non
dubiterei di tenerlo tuttavia per un gran lirico) fecero che siccome era nato
{effettivamente} il suo lirico
all'Italia, così anche le venne meno, giacchè non si
può dire che sieno buone poesie liriche i versi del Chiabrera, ma solamente che questi fu vero poeta
lirico.
[25,1] Una considerazion fina intorno all'arte dello scrivere è
questa che alle volte, la collocazione, diremo, fortuita delle parole,
quantunque il senso dell'autore
26 sia chiaro tuttavia
{a} prima vista produca ne' lettori un'altra idea,
il che, quando massime quest'idea non sia conveniente bisogna schivarlo, massime
in poesia dove il lettore è più sull'immaginare e più facile a creder di vedere
{e che il poeta voglia fargli vedere} quello ancora
che il poeta non {pensa o anche non} vorrebbe. Ecco un
es. Chiabrera
Canz. lugubre
15. In morte di Orazio Zanchini che
comincia: Benchè di Dirce al fonte
*
, strofe 3.
verso della canz. 37. della strofa duodecimo e penultimo:
Ora il bel crin si frange, E sul tuo sasso
piange
*
. Si frange qui vuol dire
si percuote, e intende il poeta, colle mani ec. Il senso è chiaro, e quel si frange non ha che far niente con sul tuo sasso, e n'è distinto quanto meglio si può
dire. Ma la collocazione casuale delle parole è tale, ch'io metto pegno che
quanti leggono la Canz. del Chiabrera
colla mente così sull'aspettare immagini, a prima giunta si figurano
Firenze personificata (che di
Fir. personif. parla il Chiabrera) che percuota la testa e si franga il
crine sul sasso del Zanchini;
quantunque immediatamente poi venga a ravvedersi e a comprendere senza fatica
l'intenzione del poeta ch'è manifesta. Ora, lasciando se l'immagine ch'io dico
sia conveniente o no, certo è che non è voluta dal poeta, e ch'egli perciò deve
schivare questa illusione quantunque momentanea (bastando che queste parole del
Chiabr. servano d'esempio senza
bisogno che l'immagine sia sconveniente) eccetto s'ella non gli piacesse come
forse si potrebbe dare il caso, ma questo non dev'essere se non quando
l'immagine illusoria non nocia alla vera e non ci sia bisogna di ravvedimento
per veder questa seconda, giacchè due immagini in una volta non si possono
vedere, ma bensì una dopo l'altra il che quando fosse, potrebbe anche il poeta
lasciare e anche proccurare questa illusione, dove pure non noccia al restante
del contesto, perch'ella non fa danno, e d'altra parte è bene che il lettore
stia sempre tra le immagini. Quello che dico del poeta s'intenda
proporzionatamente anche degli altri scrittori. Anzi questa sarebbe la sorgente
di una grand'arte e di un grandissimo effetto proccurando quel vago e
quell'incerto ch'è tanto propriamente e sommamente poetico, e destando immagini
delle quali non sia evidente la ragione, ma quasi nascosta, e tale ch'elle
paiano accidentali, e non proccurate dal poeta in nessun modo, ma quasi ispirate
da cosa invisibile e incomprensibile e da quell'ineffabile ondeggiamento del
poeta che quando è veramente inspirato dalla natura dalla campagna e da
checchessia, non sa veramente com'esprimere quello che sente, se non in modo
vago e incerto, ed è perciò naturaliss. che le immagini che destano le sue
parole appariscano accidentali.
[26,1] Le più belle canzoni del Chiabrera non sono per la maggior parte altro che
bellissimi abbozzi.
[26,2] Che il Filicaja seguisse lo stile profetico (così
appunto dicevano quei due che ora citerò) lo
scrive anche il Redi nelle sue
lettere, e similmente del Guidi dice il Crescimbeni nella sua Vita che quantunque paia come il Chiabrera, aver bevuto ai fonti greci,
nondimeno .. molto sembra aver preso dall'Ebraico;
talchè la sua apparenza ha assai più del Profetico che del
Pindarico,
*
27 e soggiunge che in un certo libro si dice di lui che
da alcune forme di Dante, e del Chiabrera accoppiate con certi modi
delle Orientali favelle ha preso il suo
stile.
*
E aggiunge egli {subito}: E questa senza fallo è la cagione, per la
quale vien dato al carattere del Guidi il pregio di nuovo nel nostro
Idioma.
*
E finalmente riferisce l'intenzione dello
stesso Guidi, intesa dalla di lui
stessa bocca da esso Crescimbeni, e
massime rispetto alla traduzione delle sei Omelie che il Guidi fece per lasciare a' posteri
almeno in ombra l'imitazione
totale
*
del carattere profetico anche
rispetto agli argomenti; cioè un genere di Poesia sacra, che si
vedesse trattata col gusto Davidico, e con l'entusiasmo de'
Profeti.
*
[27,1] Emulo impotente di Pindaro il Guidi cercò la
grandezza e per trovarla si raccomandò anche agli Orientali e tolse più forme e
immagini dalla scrittura, ma gli mancò la forza sufficiente di fantasia, nè in
lui trovo nessuna novità se non per rispetto al suo secolo, avendo sfuggito
benchè non affatto le seicentisterie. Nudo intierissimamente d'affetto, in
verità non si può dire che abbia disuguaglianze perchè tutte quante le sue
canzoni sono coperte {si può dire} ugualmente di uno
strato di perfetta e formale mediocrità, e freddezza. Io non so come si possa
dire che abbia trasportato ne' suoi versi il fuoco e l'entusiasmo di Pindaro, (così la Biblioteca Italiana num. 8.
Bibliografia) quando io, lette tutte le sue canzoni mi trovo come un marmo: e si vede bene ch'egli
cerca di grandeggiare e d'innalzarsi, ma la sua grandezza nè si communica col
lettore innalzandolo, nè lo percuote e stordisce, restando non dico gonfia
(perchè in verità il suo difetto non è la turgidezza) ma vota e senza effetto e
questo per due cagioni. L'una la debolezza della sua fantasia, che non gli
suggeriva spontaneamente e copiosamente cose grandi, l'altra (che in parte o
tutta si riferisce alla prima e solamente è più speciale) che i suoi sublimi che
sono sparsi a larghissima mano per tutte le sue Canzoni non sono formati
rapidamente dalla scelta τῶν ἄκρων λημμάτων
*
, come dice Longino, come fa Pindaro e Omero e il Chiabrera, con
che vengono ad ἐπιπλήττειν il Lettore e te lo strascinano e sbalzano qua e là
stordito e confuso a voglia loro, ma è composto placidissimamente di lunghe
enumerazioni di cose di parti d'immagini accozzate e messe una dopo l'altra
ordinatamente e in simmetria senza rapidità di stile e freddamente sì che
quantunque le immagini {metafore} ec. stieno in regola
e però non ci sia turgidezza, contuttociò non fanno altro che un gran fresco
perchè il sublime non si può formare in quel modo. In somma ha bisogno di una
pagina per formare un quadro o pezzo qualunque sublime, dove Pindaro e il Chiabrera di pochi versi, questi come Dante è nel dipingere, quello com'è Ovidio. La dicitura non ha altro pregio che una
purgatezza competente, senz'ombra di proprietà nè d'efficacia;
28 nè anche ha quegli ardiri spessissimo infelici, ma pure alle volte
felici del Chiabrera, nè l'oscurità
nè veruno di quei difetti, che comunque tali pur paiono aver che fare colla
lirica ed esser quasi naturali a un vero lirico, sì come a Pindaro. Lo stesso dico dell'intrinseco dello stile,
tanto rispetto all'oscurità quanto all'ardire che nel Guidi non si trova {si può
dire} altro ardire se non qualche cosa presa dalla Scrittura, come di
sopra ho detto, e quanto a queste cose prese dalla Scrittura io parlo delle
canzoni, non della traduzione delle sei Omelie, dove prese un po' più, tenendo
dietro al testo di esse, anzi le scelse apposta per tener dietro allo stile
Davidico, (quantunque l'abbia fatto senz'ombra di forza annacquatissimamente)
che questa traduzione è un vero mostro (per motivo dei pensieri del modo ec.
mentre sono Omelie in versi, con citazioni di Padri debolissime stiracchiate
schifose) e non merita che se ne dica altro: {e pure son
l'ultima e più studiata cosa ch'egli facesse.} Del resto il verso è
sonante, e dico sonante perchè non posso dire armonioso se per armonia vogliamo
intendere la finezza dell'arte di verseggiare trovata {dagl'italiani} dopo, il ritmo analogo ai sentimenti, la varietà ec.
ec.
[28,1] Io solea dire ch'era una follia il credere e scrivere
che ci fosse o in italia o altrove qualche
poeta che somigliasse ad Anacreonte.
Ma leggendo il Zappi trovo in lui
veramente i semi di un Anacreonte, e
al tutto Anacreontica l'invenzione e in parte anche lo stile dei Sonetti 24. 34. 41. e dello
Scherzo: il Museo d'Amore. Anche le altre sue
poesie sono lodevoli non poco per novità de' pensieri (giacchè non c'è quasi
componimento suo dove non si veda qualche lampo di bella novità) con dignitoso
garbo e composta vivacità e certa leggiadria propria di lui {(così anche il Rubbi)} per la quale si può
chiamare originale, benche[benchè] di piccola
originalità. I Sonetti
Amorosi ed hanno le doti sopraddette, e {qual} più {qual} meno
s'accostano all'Anacreontico.
[28,2] Il Manfredi
non ha altro che chiarezza e facilità e gentilezza ed eleganza, senz'ombra ombra
di forza in nessun luogo, sì che quando il soggetto la richiede resta veramente
compassionevole e misero e impotente come nelle Quartine per Luigi XIV. Del resto
la gentilezza sua ch'io dico è diversa dalla grazia e {leggiadria e} venustà, ch'è cosa più interiore intima nel
componimento e indefinibile. Nè ha il Manfredi punto che fare coll'Anacreontico e la gentilezza sopraddetta
l'ha in ogni sorta di soggetti, gravi dolci leggiadri sublimi ec. Nei Canti del Paradiso
c'è mirabile chiarezza e facilità di esprimere e di spiegare e dare ad intendere
in versi lucidissimamente e senza dare nel prosaico o nel basso, cose
intralciate e difficili. Nelle Canzoni massimamente ha imitato il
Petrarca e anche affettatamente e
servilmente come dove dice: Canz.
O tra quante il sol mira altera e bella Pel giorno
natalizio di Ferdinando di Toscana
*
: Rade
volte addivien, ch'altrui sublimi Fortuna ad alto onor senza
contrasti
*
, (Rade volte addivien ch'all'alte
imprese Fortuna ingiuriosa non contrasti
*
. Petrarca
Spirto gentil ec.) e altrove.
[28,3] Dei quattro lirici ch'io ho mentovati di sopra oltre il
Manfredi e il Zappi che sono di un'altra classe, mentre questi
appartengono a quella de' Pindarici e Alcaici e Simonidei ed Oraziani, ossia
Eroici e Morali principalmente, io do il primo luogo al Chiabrera, il secondo al Testi de' quali se avessero avuto più studio e più
fino gusto, e giudizio più squisito quegli avrebbe potuto essere effettivamente
il Pindaro, e questi effettivamente
l'Orazio italiano. Tra il Filicaja e il Guidi non so a chi dare la preferenza; mi basta che
tutti e due sieno gli ultimi e a gran distanza degli altri due, mentre, secondo
me, quando anche fossero stati in tempi migliori, non aveano elementi di lirici
più che mediocri anzi forse non si sarebbero levati a quella fama ch'ebbero e in
parte hanno.
[29,1]
29 Tutto è o può esser contento di se stesso, eccetto
l'uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come
quella dell'altre cose.