Dicembre 1818.
[29,3] Ottimamente il Paciaudi come riferisce e loda l'Alfieri nella sua propria
vita, chiamava la prosa la nutrice del verso, giacchè uno che per far versi si
nutrisse solamente di versi sarebbe come chi si cibasse di solo grasso per
ingrassare, quando il grasso degli animali è la cosa meno atta a formare il
nostro, e le cose più atte sono appunto le carni succose ma magre; e la sostanza
cavata dalle parti più secche, quale si può considerare la prosa rispetto al
verso.
[29,4] Una giovane {nubile} educata
parte in monastero parte in casa con massime da monastero, esortava la sorella
di un giovane parimente libero, a volergli bene, e le ripeteva questo più volte,
e con premura, cosa {di} ch'io informato credetti che
questo potesse essere un artifizio dell'amore che non potendo a cagione della di
lei educazione monastica operare direttamente, operava
ĩdirettamente[indirettamente] facendole
consigliare altrui un amor lecito, verso quell'oggetto, ch'ella forse si sentiva
portata ad amare con amore ch'ella avrà stimato illecito.
[29,5] Un villano del territorio di Recanati avendo portato
un suo bue, già venduto, al macellaio compratore per essere ammazzato, e questo
sul punto dell'operazione, da principio dimorò sospeso e incerto di partire o di
restare, di guardare o di torcere il viso, e finalmente avendo vinto la
curiosità, e veduto stramazzare il bue, si mise a piangere dirottamente. L'ho
udito da un testimonio di vista.
[29,6] Chi mi chiedesse qual sia secondo me il più eloquente
pezzo italiano, direi le due canzoni del Petrarca Spirto gentil ec. e Italia
mia ec. se concedessi qualche cosa al Tasso ch'era in verità eloquente, e principalmente
parlando di se stesso, ed eccetto il Petrarca, è il solo {italiano veramente}
eloquente. La sventura in gran parte lo fece tale, e l'occorrergli spessissimo
di difendersi ec. o in qualunque modo parlar di se, perch'io sosterrò sempre che
gli uomini grandi quando parlano di se diventano maggiori di se stessi, e i
piccoli diventano qualche cosa, essendo questo un campo dove le passioni e
l'interesse e la profonda cognizione ec. non lasciano campo all'affettazione e
alla sofisticheria cioè alla massima corrompitrice dell'eloquenza e della
poesia, non potendosi cercare i luoghi comuni quando si parla di cosa propria,
dove necessariamente detta la natura e il cuore, e si parla di vena, e di
pienezza di cuore. Onde quello che si dice della utilità derivante agli
scrittori dal trattare materie presenti, a miglior dritto si dee dire del
parlare di se stesso comunque paia a prima vista che il parlar di se non debba
interessar gran fatto gli uditori,
30 cosa falsissima:
e si veda nel migliore e più celebre
pezzo del Bossuet, quello in fine
all'Oraz. di Condé che effetto fa l'introduzione di se
stesso, al qual pezzo io paragono quello di Cic. nella Miloniana
(ch'è forse la sua migliore Orazione come questo è forse il più gran pezzo di
essa) il quale si combina parimente ch'è nel fine, dove per intenerire i giudici
introduce menzione di se stesso, e mi par che faccia un effetto incredibile,
come e più di quello che fa il Bossuet, tanto può l'introdurre se stesso nei discorsi eloquenti, al
contrario di quello che si crede.
[30,1] La duttilità della lingua francese si riduce a potersi
fare intendere, la facilità di esprimersi nella lingua italiana ha di più il
vantaggio di scolpir le cose coll'efficacia dell'espressione, di maniera ch'il
francese può dir quello che vuole, e l'italiano può metterlo sotto gli occhi,
quegli ha gran facilità di farsi intendere, questi di far vedere. Però quella
lingua che purchè faccia intendere non cerca altro nè cura la debolezza
dell'espressione, la miseria di certi tours (per li
quali la lodano di duttilità) che esprimono la cosa ma freddissimamente e
slavatissimamente e annacquatamente è buona pel matematico e per le scienze;
nulla per l'immaginazione la quale è la vera provincia della lingua italiana:
dove però è chiaro che l'efficacia non toglie la precisione anzi l'accresce, mettendo quasi sotto i sensi quello che i
francesi mettono solo sotto l'intelletto, ond'ella non è men buona per
le scienze che per l'eloquenza e la poesia, come si vede nella precisa
efficacacia[efficacia] e scolpitezza evidente del Redi del Galilei ec.
[30,2] Nella quistione se debba dire be ce
de ec. o bi ec. e però abbiccì o abbeccè della quale v. il Manni
Lez. di ling.
toscana, io senza cercare l'uso di qual città debba far legge
ma quale sia più ragionevole preferisco l'abbeccè ch'è
anche nostro marchegiano, per ragioni cavate dalla natura la quale pare che quel
riposo vocale per la cui necessità soltanto si dà il nome alle consonanti,
lasciando le vocali sole come sono, (quantunque gli antichi {greci ebrei ec} nominassero anche le vocali) l'abbia ristretto
all'e onde provatevi a pronunziar sola {una consonante} p. e. l'f o l'n: (metto queste sulle
quali non cade la quistione nè l'uso di pronunziare piuttosto in un modo che in
un altro) vedrete che la pronunzia non potendo star sospesa e finita nella pura
consonante, e dove[dovendo] cascare in
vocale vi casca nell'e: così vediamo che i fanciulli
nel leggere e chiunque strascina la pronunzia delle parole, a quelle lettere che
non hanno vocale dopo aggiunge un mezzo e, come in aredenetemenete
ine
pace ec. Però gli ebrei (e credo che così sia in tutte
le lingue orientali) ponendo sempre un riposo dopo ogni consonante o espresso o
sottinteso, quando manca la vocale, ci mettono o ci suppongono lo sceva tanto in
mezzo che in fine delle parole, il quale talora si pronunzia talora no, e in
genere si può molto propriamente rassomigliare all'e
muta dei francesi, i quali non hanno altra vocale muta che l'e, nuova prova di quel ch'io dico.
[30,3] Io {#1. Vedi a questo
proposito la pag. 3441.}
per esprimere l'effetto indefinibile che fanno in noi le odi di Anacreonte non so trovare
similitudine ed esempio più adattato di un
31 alito
passeggero di venticello fresco nell'estate odorifero e ricreante, che tutto in
un momento vi ristora in certo modo e v'apre come il respiro e il cuore con una
certa allegria, ma prima che voi possiate appagarvi pienamente di quel piacere,
ovvero analizzarne la qualità, e distinguere perchè vi sentiate così refrigerato
già quello spiro è passato, conforme appunto avviene in Anacreonte, che e quella sensazione indefinibile è
quasi istantanea, e se volete analizzarla vi sfugge, non la sentite più, tornate
a leggere, vi restano in mano le parole sole e secche, quell'arietta per così
dire, è fuggita, e appena vi potete ricordare in confuso la sensazione che
v'hanno prodotta un momento fa quelle stesse parole che avete sotto gli occhi.
{Questa sensazione mi è parso di sentirla, leggendo
(oltre Anacreonte) il solo Zappi.}
[31,1] Il gusto presente per la filosofia non si dee stimare
passeggero nè casuale, come fu varie volte anticamente p. e. appresso i greci al
tempo di Platone dopo Socrate, e appresso i Romani in
altri tempi ancora, ma fra i nobili e gli scioli come presentemente al tempo di
Luciano, quando mantenevano il
filosofo come ingrediente di corte e di famiglia illustre, e si trattenevano
benchè scioccamente con lui ec. V. Luciano fra le altre opere nel
trattato De mercede conductis.
In questi tali tempi era effetto di moda, e non avendo il suo principio radicale
nello stato dei popoli poteva passare e passava come ogni altra moda, sicch'era
cosa accidentale che sopravvenisse questo gusto piuttosto che un altro. Ma
presentemente il commercio scambievole dei popoli, la stampa ec. e tutto quello
che ha tanto avanzato l'incivilimento cagiona questo amore dei lumi e per
conseguenza della filosofia, e questo gusto filosofico che si manifesta nelle
opere più alla moda e quello spirito senza il quale si può dire che
nessun[nessuna] opera moderna incontra: onde
questo gusto avendo la sua ferma radice nella condizione presente dei popoli si
dee stimare durevole e non casuale nè passeggero e molto differente da una
moda.
[31,2] La prosa per esser veramente bella (conforme era quella
degli antichi) e conservare quella morbidezza e pastosità {composta anche fra le altre cose di} nobiltà e dignità, che
comparisce in tutte le prose antiche e in quasi nessuna moderna, bisogna che
abbia sempre qualche cosa del poetico, non già qualche cosa particolare, ma una
mezza tinta generale, onde ci sono certe espressioni tecniche p. e. che essendo
bassissime nella poesia sono basse nella prosa; (giacchè qui non parlo di quelle
che son basse e plebee assolutamente le quali anche talvolta sconverranno meno
alla buona prosa di quelle ch'io dico qui) come altre che sono basse nella
poesia, alla prosa non disconvengono affatto: p. e. quei versi del Voltaire:
Je chante le héros qui régna sur
la France Et par droit de conquête, et par droit de
naissance
*
. Quel tecnicismo pessimo in questi versi, non
disdice in prosa. Da questo ch'io ho detto si vede quanto debba diventare come
infatti diventa {geometrica} arida sparuta dura, asciutta ossuta, e dirò
così, somigliante a una persona magra che abbia le punte dell'ossa tutte in
fuori, quella prosa tutta sparsa d'espressioni metafore frasi locuzioni modi
tecnici che usa presentemente massime in Francia, e quanto lontana
da quella freschezza e carnosità morbida sana vermiglia {vegeta} florida, e da {quella pieghevolezza e
da} quella dignità che s'ammira in tutte quelle prose che sanno
d'antico.
[32,1]
32 La tartaruga lunghissima nelle sue operazioni ha
lunghissima vita. Così tutto è proporzionato nella natura, e la pigrizia della
tartaruga di cui si potrebbe accusar la natura non è veramente pigrizia assoluta
cioè considerata nella tartaruga ma rispettiva. Da ciò si possono cavare molte
considerazioni.
[32,2] Che il popolo latino non chiamasse testam il capo, come
il nostro lo chiama burlescamente la Coccia, e da
questo {non} sia venuta la voce italiana testa e la francese tête?
[32,3] Quello che dice il Metastasio negli Estratti della poet. d'Aristot., {il Gravina nel trattato della tragedia dove parla del numero cap.
26.} e ho detto io nel Discorso
sul Breme intorno alla materia dell'imitazione la quale può esser ad
arbitrio, come imitare in marmo in bronzo in verso in prosa ec. è vero: e quello
che ho detto io specialmente mi par che sia vero senza eccezione: ma quanto al
Metastas. poich'egli lo dice per
difender l'Opera, bisogna notare che gli elementi della materia non debbon esser
discordanti, che allora la imitazione è barbara: come forse si può dir
dell'Opera dove da una parte è l'uomo vero e reale per imitar l'uomo, cioè la
persona rappresentata, dall'altra è il canto in bocca dell'uomo, per imitare non
il canto ma il discorso della {stessa} persona. Questa
osservazione, (considerazione) si può estendere a molte altre materie
d'imitazione mal composte. Quanto al canto però si osservi che anche gli antichi
cantavano le tragedie come dice il loro nome, se ben questo fu forse ne' primi
tempi quando la tragedia era veramente in mano di gentaglia sua sciocca
inventrice e il costume o non durò, o se durò, fu perchè avea cominciato così e
non si ardì o non si volle mutare, e questa forse fu la cagione ancora che fece
fare la tragedia e la commedia in verso, di maniera che da questa pratica venuta
da vile origine non si dee stimare il giudizio de' greci e degli antichi su
questo particolare: i quali forse avrebbero fatto ambedue in prosa se l'una o
l'altra fosse stata invenzione del gusto, e non parto stentato di diversissime
circostanze e usanze vecchie ec.