1-2. Settembre. 1823.
[3318,1]
3318 Un francese, un inglese, un tedesco che ha
coltivato il suo ingegno, e che si trova in istato di pensare, non ha che a
scrivere. Egli trova una lingua nazionale moderna già formata, stabilita e
perfetta, imparata la quale, ei non ha che a servirsene. Nè dal principio della
loro letteratura in poi, è stato mai bisogno ad alcuno scrittore di queste
nazioni, qual ch'ei si fosse, il formarsi una lingua moderna, cioè tale che
volendo scrivere, come ognun deve, alla moderna, ei potesse col di lei mezzo
esprimere i suoi concetti in qualsivoglia genere. Come dal principio delle loro
letterature in poi, quelle nazioni non hanno mai intermesso di coltivar esse
medesime gli studi in esse introdotti; o creando e inventando nuovi generi o
discipline, con esse hanno naturalmente e sin dal loro principio creato o
formato il linguaggio che loro si conveniva; o accettando generi o discipline
forestiere, non mai per ancora in esse nazioni conosciute o trattate, insieme
con essi generi e discipline accettarono senza contrasto alcuno quei modi e quei
vocaboli, ancorchè forestieri, che con esse erano congiunte, e che a volerle
trattare indispensabilmente si richiedevano; così non è stato mai tempo alcuno
in
3319 cui gli scrittori di quelle nazioni, avendo che
scrivere, non avessero come scrivere; mai tempo alcuno in cui quelle nazioni non
avessero lingua nazionale moderna per qualunque genere di letteratura e per
qualsivoglia disciplina da loro trattata.
[3319,1] Ben diverso è oggidì il caso
dell'italia. Come noi non abbiamo se non letteratura
antica, e come la lingua illustre e propria ad essere scritta, non è mai
scompagnata dalla letteratura, e segue sempre le vicende di questa, e dove
questa manca o s'arresta, manca essa pure e si ferma; così fermata tra noi la
letteratura, fermossi anche la lingua, e siccome della letteratura, così pur
della lingua {illustre} si deve dire, che noi non {ne} abbiamo se non antica. Sono oggimai più di
centocinquant'anni che l'italia nè crea, nè coltiva per
se verun genere di letteratura, perocchè in niun genere ha prodotto scrittori
originali dentro questo tempo, e gli scrittori che ha prodotto, non avendo mai
fatto e non facendo altro che copiare gli antichi, non si chiamano coltivatori
della letteratura, perchè non coltiva
3320 il suo campo
chi per esso passeggia e sempre diligentemente l'osserva, lasciando però le cose
come stanno; nè per rispetto di questi scrittori verun genere della nostra
letteratura s'è per niuna parte avanzato o migliorato, niun genere nuovo
introdotto; la nostra letteratura è d'allora in poi, quanto a questi scrittori,
affatto stazionaria; or questo si chiamerà aver coltivato la nostra letteratura?
potremo dir che sia stata coltivata senza profitto alcuno: ciò viene a esser la
stessa cosa.
[3320,1] In questo spazio di tempo la letteratura francese e
la tedesca sono nate, la letteratura inglese si è primieramente formata e
stabilita. Queste tre letterature, quante elle sono e quanto abbracciano,
s'includono, si può dir, tutte, quanto al tempo, ne' centocinquant'anni della
immobilità della nostra letteratura. La depravazione e quindi il cominciamento
dell'ozio e della inoperosità della letteratura italiana furono quasi il segnale
alle altre letterature più famose d'europa di sorgere e
comparire
3321 nel mondo. Elle sono sorte, e in breve
spazio hanno avanzato e passato i termini da noi già tocchi, e il progresso
universale della letteratura e delle cognizioni umane ne' centocinquant'anni
ultimi è stato così rapido e così grande, ch'{egli}
equivale per così dire a quello fatto per tutti i secoli addietro infino
all'epoca nominata. Ciò singolarmente si può dire in quanto alla filosofia, la
quale rinata dopo la detta epoca, e tutta nuova, fa parere più che pigmea la
filosofia di tutti gli altri secoli insieme. Ella è divenuta la scienza, il
carattere, la proprietà de' moderni; ella regge, domina, vivifica, anima tutta
la letteratura moderna; ella n'è la materia e il subbietto; ella in somma è il
tutto oggidì negli studi, e in qualsivoglia genere di scrittura; o certo nulla è
senza di lei.
[3321,1] Fra queste generali vicende e questo progresso della
letteratura, l'italia, come di sopra dissi, nulla ha
fatto per se. Gli scrittori alquanto originali ch'ella {ha} prodotti in questo tempo, gli scrittori che posson meritar nome
di moderni, non
3322 sono stati sufficienti nè per
originalità nè per numero, a darle una lingua nazionale moderna, nello stesso
modo ch'ei non sono stati sufficienti a fare ch'ella avesse una letteratura
moderna nazionale.
[3322,2] E quanto alla lingua, l'insufficienza loro a far che
l'italia n'avesse una moderna sua propria, è venuta
principalmente da questa cagione. Trovando interrotta in
italia la letteratura, essi hanno trovato interrotta
la lingua illustre; antica quella, antica ancor questa. Una lingua antica non
può esser buona a dir cose moderne, e dirle, come devesi, alla moderna: nè la
nostra lingua in particolare era buona ad esprimere le nuove cognizioni, a
somministrare il bisognevole a tanta e sì vasta novità. Introducendosi fra noi
appoco appoco la notizia delle letterature e discipline straniere, que' pochi
italiani ch'eccitati da queste nuove cognizioni si trovarono un capitale di
mente da poter loro aggiungere qualche cosa di loro; quei molti più che
invaghiti della novità, o mossi da qualunque altro motivo, deliberarono,
3323 senza però aver nulla di proprio da scrivere,
d'introdurre o divulgare, come si doveva, in italia i
nuovi generi, le nuove letterature e discipline, {la nuova
filosofia, anzi per meglio dire, la filosofia,} non bastando a ciò la
lingua italiana antica, intieramente la dismessero, e come di facoltà e di
pensieri, così di lingua andarono a scuola dagli stranieri; e da cui toglievano
le cose, sia per solamente ripeterle, sia pur talora per accrescerle e in
qualche parte migliorarle, da essi tolsero anche le voci e le maniere e le forme
del favellare e scrivere. {+1. Gli
scienziati propriamente detti, rispetto ai quali la nostra nazione non fu
quasi per alcun tempo seconda a verun'altra, sempre però poco curanti della
lingua, seguirono la barbarie venuta in uso, come il linguaggio ch'era loro
alla mano, e come indifferentemente avrebbero seguito qualunque altro
linguaggio o puro o impuro che avessero avuto in pronto e che fosse stato
comune, il che sempre avevano fatto qui ed altrove.}
[3323,1] Tristo veramente e difficile era il caso loro, ma
peggio il partito a cui s'appigliarono. Difficile il caso, perocchè quanto è
facile il continuare a una nazione la sua lingua illustre insieme colla sua
letteratura, tanto è difficile, interrotta per lungo spazio la letteratura, e
dovendo quasi ricrearla, riannodare la lingua a lei conveniente colla già
antiquata lingua illustre della nazione, colla lingua che fu propria della
nazionale letteratura prima che questa fusse totalmente interrotta.
[3324,1]
3324 In questo caso non si trovò forse mai nazione
veruna (se non se oggidì la spagnuola quando ella intraprendesse di ristorare la
sua quasi spenta letteratura). Ma questo appunto è il caso nel quale si trova
oggi l'italia.
[3324,2] Noi abbiamo una lingua; antica bensì, ma
ricchissima, vastissima, bellissima, potentissima, insomma colma d'ogni sorta di
pregi; perocchè abbiamo una letteratura, antica ancor essa, ma vasta, varia,
bellissima, abbondantissima di generi e di scrittori, splendidissima di
classici, durata per ben tre secoli e più, tale che rispetto all'età ch'ella
aveva quando fu tralasciata, l'età che hanno presentemente l'altre letterature,
è affatto giovanile. Per queste cagioni e per altre che ora non accade
specificare, questa lingua italiana che noi ci troviamo, supera di ricchezza, di
potenza, di varietà tutte le lingue moderne, salvo forse la tedesca; di bellezza
avanza d'assai tutte queste lingue senza eccezione nè dubbio alcuno; d'altri
pregi è superiore, non solamente a esse lingue, ma alle antiche eziandio. Tale
si è
3325 la lingua italiana per se ed intrinsecamente.
Ma ella è antica; cosa estrinseca; ed essendo antica non basta, nè si adatta tal
quale ella è, a chi vuole scriver cose moderne in maniera moderna. Perciò forse
potrà un uomo sano volere o concedere che una tal lingua si gitti e dimentichi
come divenuta del tutto inutile, e che dando all'italia
una letteratura moderna propria, se le debba dare con essa insieme una lingua
affatto nuova, come finora s'è fatto, o pigliandola dagli stranieri, ch'è pur
quel che s'è fatto, o creandola di pianta, quasi niuna, o solo una
imperfettissima e debole e scarsa e spregevole lingua, avesse avuto
l'italia per lo passato.
[3325,1] Ma certo, come questo è assurdissimo, e siccome per
prova veggiamo, dannosissimo; così quello è necessario, evidente e certo, che
volendo dare alla moderna italia una moderna {letteratura,} conviene non già mutare la sua antica
lingua, nè disfarla, nè rinnovarla, ma salvi i suoi fondamenti, l'indole e
proprietà sua, e tutti i suoi pregi secondo le loro speciali e proprie qualità,
rimodernarla, e fare in modo che la lingua
3326 moderna
italiana illustre sia propriamente una continuazione, una derivazione
dell'antica, anzi la medesima antica lingua continuata, niente meno che la
francese dell'ultima metà del passato secolo, e quella del presente, non sono
altra che quella del tempo di Luigi XIV.
continuata di mano in mano.
[3326,1] Or questo ai francesi fu facile, perchè la loro
letteratura non fu interrotta per alcun tempo, da Luigi in poi; laonde la loro lingua fu sempre
continuata naturalmente e senza sforzo, e sempre {successivamente} modificandosi secondo i tempi, fu in ciascun tempo
moderna, ma una in tutti i tempi considerati insieme. A noi bisogna far forza
alle cose, {e} quasi scancellare {e
annullare o nascondere} il fatto, cioè governarci in modo che quel che
fu, apparisca non essere stato, e la lingua italiana sembri non essere stata per
alcun tempo interrotta, ma continuamente avanzata e modificata sino a divenir
propria {e conforme e conveniente} all'odierna
italia ed alla sua moderna letteratura.
[3326,2] Quindi si consideri le grandissime difficoltà ed
ostacoli che si attraversano, le angustie
3327 che
stringono, la vera infelicità della condizione in cui si trova oggidì l'italiano
che aspiri ad esser scrittor classico, cioè pensare originalmente, dir cose
proprie del tempo, dirle in modo proprio del tempo, e {perfettamente} adoperare la sua lingua, senza le quali condizioni, e
una sola che ne manchi, non si può mai nè pretendere giustamente, nè
ragionevolmente sperare l'immortalità letteraria. (Alla quale, e sia detto per
incidenza, ben raro o niuno è che giungesse per mezzo di opere scritte in lingua
non sua; come se noi spaventati dalle difficoltà che ho detto e son per dire,
volessimo scrivere in francese piuttosto che in italiano.)
[3327,1] Un italiano ancorchè pienamente istruito in tutto
ciò che si richiede oggidì {in qualsivoglia luogo} a un
perfetto uomo di lettere, ancorchè sommamente ricco d'immaginazione e di cuore,
ancorchè fecondissimo e gravido di pensieri propri, importantissimi,
profondissimi, novissimi, d'invenzioni, d'idee d'ogni genere convenientissime al
tempo; ancorchè osservatore, meditatore, ragionatore senza pari; ancorchè
peritissimo di tutte l'arti e artifizi dello
3328
stile; volendo perfettamente scrivere in italiano, ed essendo, per ogni altro
riguardo, capacissimo di perfettamente scrivere; si trova mancare affatto della
lingua in cui possa farlo, non solo perfettamente, ma pur mediocrissimamente. A
questo tale è duopo apprestarsi prima di tutto una lingua colle sue mani. Ma
questa in qual modo? Manco difficile sarebbe il crearsela. Se
l'italia non avesse che una lingua imperfettissima,
{ristrettissima} e bambina, manco difficile sarebbe
a un grande ingegno il perfezionarla, {l'arricchirla, il
dilatarla,} il condurla a maturità. Ma l'italia
ha una lingua altrettanto perfetta quanto immensa; bensì da lungo tempo
dismessa, e però impropria a' di lui bisogni, a' quali ella non fu ancor mai per
alcuno adattata nè adoperata. Conviene adunque indispensabilmente che l'ingegno
da noi supposto, innanzi di porsi a scrivere, perfettamente impari questa lingua
infinita, che tutta l'abbracci, che la si converta in succo e sangue, che se
{ne} renda risolutissimo {e} pienissimo {possessore e} padrone, che
n'abbia per le dita e il tutto e fino alle menome parti franchissima e
speditissimamente.
3329 Come senza ciò potrebb'egli
derivarne e farne nascere e pullulare in guisa che paia del tutto spontanea, una
lingua conforme alla natura e a' bisogni de' moderni tempi e delle moderne
cognizioni, la qual sembri {e sia} onninamente una
coll'antica? come commettere insieme quella con questa per modo che nulla appaia
la commissura? Ma questa lingua essendo antica, egli non la può già imparar
dalla balia, ma gli conviene apprenderla per istudio; essendo infinita {e in se diversissima,} egli non la può apparare con
istudio nè breve nè leggero, ma solo con lunghissimi sudori, e profonde ricerche
sulle sue proprietà, e continuo esercizio di leggerla e di scriverla, e assiduo
ed attentissimo studio de' suoi classici che sono in grandissimo numero. E così
facendo, troverà, e sempre più si persuaderà, che siccome della lingua greca si
dice, così della italiana si può dire, lei essere veramente infinita, e tale
ch'egli è impossibile di tutta abbracciarla, e mai non viene quel giorno che
nuove conoscenze intorno a essa lingua non si possano
3330 acquistare, nè che il cammino sia terminato. Ma senza andare agli
eccessi; sebbene nulla v'ha qui d'esagerato; senza però voler conservare una
troppo grande esattezza nel ragionamento; supponendo ancora, {com'è il vero,} che un grande e felice ingegno possa arrivare a
comprender coll'animo e possedere, se non tutta quanta la nostra lingua, {pur} tanta parte di lei che la cognizione e la
domestichezza d'essa parte, gli basti a poter sulle fondamenta, sull'ordine, sul
disegno dell'antica lingua fabbricare come una continuazione d'edificio la
moderna; veggasi quanto a costui convien travagliare innanzi di poter far uso
de' suoi pensieri. Ella è cosa certa che la vera cognizione e padronanza di una
lingua come l'italiana, domanda, per non dir troppo, quasi una metà della vita,
e dico di quella cognizione e padronanza ch'è indispensabile a chiunque debba
veramente ristorarla. Ma la scienza, la sapienza, lo studio dell'uomo, non
domandano tutta la vita? e quella immensa moltiplicità di cognizioni piccole e
grandi, quella universalità che
3331 si richiede oggidì
quasi generalmente a ogni uomo di lettere, ma ch'è sommamente necessaria al
filosofo; la cognizione ed uso e pratica di tante altre lingue antiche e moderne
e de' loro autori, letterature ec. domandano poca parte di tempo? Certo è
veramente dura e deplorabile {oggidì} la condizione
dell'italiano il quale avesse nella sua mente cose degne d'essere scritte e
convenienti a' nostri tempi; perocch'egli, anche volendo usare la maggior
semplicità del mondo, non avrebbe una lingua naturale in cui scrivere (come
l'hanno i francesi ec. atta a potervi subito scrivere, com'ei l'abbiano
competentemente coltivata e studiata), nè il modo di bene esprimere i suoi
concetti gli correrebbe mai alla penna spontaneo, ma converrebbe ch'{egli} si fabbricasse l'istrumento con cui significar le
sue idee. E d'altronde ella è ben ardua e difficile la condizione di un ingegno
quantunque si voglia grande e colto, al quale oltre la grande impresa di
ristorare la letteratura italiana, e dare {o mostrare}
all'italia una letteratura propria moderna,
3332 quasi ciò fosse poco, converrebbe in prima
necessariamente aprirsi la via col ristorare la lingua italiana e dare
all'italia una lingua nazionale moderna, quasi questa
ancora non fosse per se sola un'impresa sufficiente a una vita intera e ad un
eccellente ingegno.
[3332,1] Tanta è la difficoltà di condurre a termine due
imprese di questa sorta, il che dovrebb'esser pure necessariamente lo scopo e
l'istituto di qualunque letterato italiano degno di questo nome; e d'altronde
egli è così vero che la letteratura e la lingua mai non si scompagnano, nè l'una
dall'altra si dissomigliano, e ch'egli è quasi impossibile di scrivere
perfettamente, e in forma che paia spontanea, una lingua per solo studio
apparata o fabbricatasi; che io siccome so certo che
l'italia non avrà propria letteratura moderna
finch'ella non avrà lingua moderna nazionale, così mi persuado che tal lingua
ella non avrà mai finchè non abbia tale letteratura: onde (se pur dobbiamo
sperarlo) nata una letteratura
3333 moderna italiana,
seco a paro nascerà una moderna lingua, e quindi di mano in mano cresceranno
ambedue appoco appoco, l'una insieme coll'altra e in virtù dell'altra
scambievolmente, ma più la lingua in virtù della letteratura, che questa per
l'aiuto di quella. E così con mio dispiacere predíco che seppur avremo mai più
lingua moderna propria, questa non nascerà dall'antica nè a lei corrisponderà,
ma nascendo dalla nuova letteratura, a questa sarà conforme: ed essendo di
origine straniera, ci si verrà appoco appoco appropriando e pigliando forme
nazionali (quai ch'elle saranno per essere; non già le antiche) a proporzione
che la nuova letteratura diverrà nazionale, e metterà radici in
italia, e si nutrirà e crescerà del nostro terreno, e
produrrà frutti propri italiani. A questo mi conduce il considerare che nè i
nostri antichi scrittori nè i moderni o antichi di nazione alcuna presente o
passata, furono mai pensatori, originali ec. scrivendo in altra lingua che in
quella del loro secolo e in quella usata generalmente
3334 da' nazionali, {e che loro veniva alla penna
spontanea,} ben da loro assai volte (come da Cic.) raffinata, riformata, accresciuta, perfezionata,
ma non mai per solo studio appresa, per solo studio quasi ricreata. Al quale
immenso travaglio, ed alla continua difficoltà di scrivere e perfettamente
scrivere in una tal lingua ancor dopo appresa, formata e posseduta, è {quasi} impossibile trovare un pensatore originale, un
gran filosofo, un uomo di genio e di grande immaginazione, che si assoggetti; o
che assoggettandocisi, si conservi in se stesso e ne' suoi scritti, pensatore,
filosofo, originale; senza di che sarebbe inutile l'esservisi assoggettato. Non
altrimenti che siaõ[siano] inutili allo scopo
di dare all'italia lingua e letteratura moderna propria,
coloro che oggi si sforzano di scrivere in buono italiano, da' quali è rimota
ogni sorta di pensiero, non solo nuovo
ma moderno, e che avendo a nominar qualche cosa moderna, la nominano o accennano
copertamente, e avendo talvolta a mostrare qualche conoscenza, qualche idea di
quelle che i nostri antichi non avevano, si fanno un pregio e un dovere di non
farlo che dissimulatamente, fingendosi
3335 il più che
possono ignoranti di quanto gli antichi ignoravano. E non altrimenti che inutili
al sopraddetto scopo sieno oggidì coloro che tra noi pur pensano qualche cosa
(ben pochi e poco), o che da' paesi di fuori recano a noi qualche pensiero ec. i
quali tutti non iscrivono italiano ma barbaro. E questa separazione e
distinzione di gente che scrive in italiano (vero o preteso), e gente che pensa,
stimo per le suddette ragioni, che sempre sia per durare in
italia; mentre questi non prevagliano a quelli,
formando finalmente appoco appoco un nuovo italiano {illustre} e rendendolo universale tra noi in vece dell'antico. Dal
che siamo ancora ben lontani, massime oggidì, che il numero e il valore di
quelle ombre di filosofi che ha veduto fin qui l'italia,
va pur sempre notabilissimamente scemando; e sempre per lo contrario crescendo,
non il valore, ma il numero di quelli che pretendono e aspirano a scrivere il
buon italiano; onde l'italia è quasi tutta rivolta di
nuovo alla sua antica lingua, e di pensieri oramai nulla più pensa nè
3336 cura nè richiede; propriamente nulla.
[3336,1]
{Puoi vedere il Dialogo Delle Lingue dello Speroni dalla p. 121. in poi,
cioè tutto il discorso tra il Lascari e il Peretto, sino alla fine del Dialogo.}
[3336,2] Mala cosa per certo si è l'interruzione degli studi,
dovunque ella accada, sì per mille altri danni, sì perchè colla letteratura ella
antiqua la lingua illustre. Di modo che risorgendo essa letteratura, l'è
grandissimo impedimento e indugio a poter crescere e formarsi la mancanza di
lingua a lei conveniente {+e il tempo e
l'industria che bisogna spendere in fornirnela.} Quanto crediamo noi
che ritardasse gli avanzamenti dello spirito umano (non in una sola nazione ma
in tutta l'europa) dopo il risorgimento degli studi, la
mancanza di lingue proprie alle nuove lettere? La qual mancanza non da altro
provenne che dalla diuturna interruzione della letteratura in
europa. Perocchè la lingua latina non avrebbe cessato
di esser parlata e propria degli europei, se fosse durata la letteratura latina.
Ben si sarebbe sempre modificata secondo i tempi, di modo ch'ella oggidì sarebbe
diversa dall'antica; ma sarebbe pur lingua latina; e in
europa si parlerebbe e scriverebbe il latino come
lingua propria, {+come moderna, come
conveniente a' nostri tempi (quale infatti ella sarebbe);} e lo
spirito umano sarebbe più oltre ch'ei non è,
3337
perchè sarebbe stato impiegato nel coltivar la sapienza e le lettere quel tempo
che fu dovuto spendere nel formare delle lingue convenienti a queste, e ai
costumi e al carattere de' moderni secoli. Il che volendo evitare e risparmiare
i primi cultori de' risuscitati studi, si ostinarono a volere scrivere in
latino; ma il latino era lingua antica, nè mai in una lingua antica si potranno
scriver cose moderne nè scriverle modernamente. E molto nocque una tale
ostinazione al progresso de' lumi e della coltura e alla formazione dello
spirito nazionale e moderno. Il quale non mai si sarebbe formato se non fossero
state formate e stabilite le lingue moderne in vece della latina. Siccome per lo
contrario si vede che queste non prima furono formate e stabilite di quel che lo
spirito nazionale e moderno pigliasse una consistenza e una certa forma e
fisonomia {propria,} prima in
italia, poscia in ispagna,
indi in francia e in inghilterra,
ultimamente in Germania, che ultima di tutte queste
nazioni lasciò l'uso della lingua latina come letterata e illustre, e le
sostituì
3338 la nazionale. E questo esempio
dell'europa si deve {proporzionatamente} applicare {e paragonare}
al caso dell'odierna italia, e dedurne delle congetture,
certo assai verisimili e solide, circa {il futuro}
esito delle nostre presenti circostanze. (1-2. Settembre.
1823.).