20. Ott. 1823.
[3738,1]
3738
Alla p. 3409.
Similmente la lettura di que' nostri classici (e son quasi tutti) che hanno
arricchita la lingua col derivar prudentemente vocaboli e modi dal latino, dal
greco, dallo spagnuolo o donde che sia, ci giova sommamente ad arricchirci nella
lingua, non in quanto noi con tale lettura apprendiamo que' vocaboli e modi come
usati da quegli scrittori, e perciò come usabili da noi ancora, per esser quegli
scrittori, autentici in fatto di lingua; chè questa sarebbe maniera di utilità
pedantesca, e nel vero se quei vocaboli e modi {riuscissero} nell'italiano latinismi e spagnolismi ec. non dovremmo
imitar quelli che gli usarono, benchè classici ed autentici scrittori, nè
l'autorità loro ci gioverebbe presso i sani, quando noi volessimo usar di nuovo
quelle voci e quei modi. Ma detta lettura {ci} giova in
quanto ella ci ammonisce per l'esperienza presente che ne veggiamo negli
scrittori, la lingua italiana esser capacissima di quelle voci e maniere;
perocchè noi veggiamo sotto gli occhi, che sebben forestiere di origine, elle
3739 stanno in quelle scritture come native del
nostro suolo, ed hanno un abito tale che non si distinguono dalle italiane
native di fatto, e vi riescono come proprie della lingua, e così sono italiane
di potenza, come l'altre lo sono di fatto, onde il renderle italiane di fatto
non dipende che da chi voglia e sappia usarle; e per esperienza veggiamo che
quegli scrittori, trasportandole nell'italiano, le hanno benissimo potute
rendere, e le hanno effettivamente rese, italiane di fatto, come lo erano in
potenza, e come lo sono l'altre italiane natie. Or questo medesimo è quello che
nello studio delle lingue altrui dee fare in noi, in luogo dell'esperienza,
l'ingegno e il giudizio nostro; cioè mostrarci, non per prova, come fanno gli
scrittori nostri classici, ma per discernimento e {{forza di
penetrazione, e}} finezza e giustezza di sentimento, {benchè sprovveduto di prova pratica,} che tali e tali
vocaboli e modi sono italianissimi per potenza, onde a noi sta il renderli tali
di fatto, sieno o non sieno ancora stati resi tali dall'uso, o da parlatore, o
da scrittore veruno; chè ciò a' soli pedanti dee far differenza, e soli
3740 essi ponno disdire o riprendere che tali voci e
forme (greche, latine, spagnuole, francesi, o anche tedesche ed arabe ed indiane
d'origine, di nascita e di fatto) italianissime per potenza, si rendano italiane
di fatto, senza l'esempio di scrittori d'autorità; siccome essi soli ponno
concedere e lodare che mille e mille vocaboli e modi niente italiani per
potenza, (qualunque sia la loro origine), pur si usino, perchè usati da
scrittori classici che infelicemente li derivarono d'altronde, o dalle italiane
voci e maniere, o le[li] inventarono. Questi mai
non furono nè saranno veramente italiani di fatto (se non quando l'uso e
l'assuefazione {+appoco appoco} li
rendesse tali ancor per potenza); quelli per solo accidente sono nati in
francia o in ispagna o in
grecia ec. piuttosto che in
italia, ma per {propria
loro} natura non sono manco italiani che spagnuoli ec. nè manco
italiani di quelli che nacquero in italia (e di quelli
che dall'italia altrove passarono), e forse talora ancor
più di alcuni di questi, che per solo accidente nacquero tra noi. Siccome per
solo accidente e contro la lor natura vennero tra noi que' vocaboli
3741 e modi che nell'italiano son latinismi o
francesismi ec., o che i classici scrittori, o che i mediocri, o che i cattivi,
o che la corrotta favella gli abbia introdotti e usati, chè queste differenze
altresì sono affatto accidentali, e nulle per la ragione. (20. Ott.
1823.).
[3741,1] Della bassa opinione in cui fino nel 500 era tenuta
la lingua italiana (detta allora, quasi per disprezzo, volgare) e la sua
capacità {e nobiltà e degnità ed efficacia e ricchezza}
e potenza e possibilità di crescere ec. e il suo stato d'allora (ch'era pur
certo assai più potente {ed efficace e forte ed espressivo e
ricco} e nobile e capace ed idoneo, che non fu {prima nè} poscia e non è oggi, {+dopo sì lungo tempo e tanto accrescimento del numero e
varietà degli scrittori che la trattarono, e delle materie che vi si
trattarono, e delle idee che vi furono e sono, tuttodì in maggior copia e
varietà, significate.} non solo rispetto a letteratura, ma a filosofia
e politica, e maneggi e trattati civili, e storie, ed arti e scienze d'ogni
maniera; onde questa lingua in quel tempo fu meno stimata in ch'ella più valse
per ogni verso che in qualsivoglia altra età e ch'ella sia forse mai per
valere), vedi il Dialogo delle
Lingue dello Speroni,
tutto, ma particolarmente dal principio del Discorso tra il Lascari e il Peretto, sino al fine del Dialogo.
(20. Ott. 1823.).