Bologna. 19. Aprile. - 22. Apr. 1826.
[4174,2] Tutto è male. Cioè tutto quello che {è,} è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna
cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine
dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale
dell'universo non sono altro che male, nè diretti ad altro che al male. Non v'è
altro bene che il non essere; non v'ha altro di buono che quel che non è; le
cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il
complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un
bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e
generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa
imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perchè tutti i mondi che
esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente
infiniti nè di numero nè di grandezza, sono per conseguenza infinitamente
piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il
tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir
così, del non esistente, del nulla.
[4174,3] Questo sistema, benchè urti le nostre idee, che
credono che il fine non possa essere altro che il bene, sarebbe forse più
sostenibile di quello del Leibnitz, del Pope ec. che
tutto è bene. Non ardirei però
estenderlo a dire che l'universo esistente è il peggiore degli universi
possibili, sostituendo così all'ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i
limiti della possibilità?
[4175,1]
4175 Si potrebbe esporre e sviluppare questo sistema in
qualche frammento che si supponesse di un filosofo antico, indiano ec.
[4175,2] Cosa certa e non da burla si è che l'esistenza è un
male per tutte le parti che compongono l'universo (e quindi è ben difficile il
supporre ch'ella non sia un male anche per l'universo intero, e più ancora {difficile si è} il comporre, come fanno i filosofi, Des malheurs de chaque être un bonheur
général.
*
Voltaire, épître sur le désastre de
Lisbonne. Non si comprende come dal male di tutti
gl'individui senza eccezione, possa risultare il bene dell'universalità; come
dalla riunione e dal complesso di molti mali e non d'altro, possa risultare un
bene.) Ciò è manifesto dal veder che tutte le cose al lor modo patiscono
necessariamente, e necessariamente non godono, perchè il piacere non esiste
esattamente parlando. Or ciò essendo, come non sì dovrà dire che l'esistere è
per se un male?
[4175,3] Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e
sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli
animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non
gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.
[4175,4] Entrate in un giardino di piante, d'erbe, di fiori.
Sia pur quanto volete ridente. {+Sia
nella più mite stagione dell'anno.} Voi non potete volger lo sguardo
in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di
vegetali è in istato di souffrance, qual individuo
più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si
corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un'ape,
nelle sue parti più sensibili, più vitali.
4176 Il
dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, {buone,} virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre
delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell'albero è
infestato da un formicaio, quell'altro da bruchi, da mosche, da lumache, da
zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall'aria {o
dal sole} che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle
radici; quell'altro ha più foglie secche; quest'altro è roso, morsicato nei
fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo,
questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco.
L'una patisce incomodo {e trova ostacolo} e ingombro
nel crescere, nello stendersi; l'altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica
e stenta per arrivarvi. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio
peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento,
una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via.
{In tutto il giardino tu non trovi
una pianticella sola in istato di sanità perfetta.} Intanto tu strazi
le erbe co' tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi,
le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e
infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra
sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna. 19. Aprile.
1826.). Certamente queste piante vivono; alcune perchè le loro
infermità non sono mortali, altre perchè ancora con malattie mortali, le piante,
e gli animali altresì, possono durare a vivere qualche poco di tempo. Lo
spettacolo di tanta copia di vita all'entrare in questo giardino ci rallegra
l'anima, e di qui {è} che questo ci pare essere un
soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è trista e infelice, ogni giardino
è quasi un vasto ospitale (luogo ben più deplorabile che un cemeterio), e se
questi esseri
4177 sentono, o vogliamo dire,
sentissero, certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che
l'essere. (Bologna. 22. Apr. 1826.).