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Bologna. 10. Maggio. 1826.

[4179,4]  Già è gran tempo che nè i principi nominano, nè ai principi si nomina, sia lodandoli, sia consigliandoli, sia in qualsivoglia discorso, la loro patria. È gran tempo che {le città e le nazioni} hanno cessato di esser le patrie dei principi. Esse sono i loro stati, o nativi o no che i principi sieno. Ciò è tanto vero che anche in Inghilterra, anche in Francia, dove, ed esiste una patria, ed i principi, vogliano o non vogliano, sono per li sudditi, e non i sudditi pel principe, pure nè essi nè altri parlando o scrivendo ad essi (e di raro anche, di essi), chiamano o l'Inghilterra o la Francia, loro patria. Si crederebbe abbassarli, offenderli, se si pronunziasse loro questo nome che mostra di avere una certa superiorità sopra di essi. I principi già da gran tempo si stimano, e da molti sono stimati essere, la patria essi medesimi. Distinguendoli dalla patria, si crederebbe oltraggiarli. Non così gli antichi. I Neroni e i Domiziani con nome falso, e di più superbo, ma che pur conservava l'idea della patria, s'intitolavano P. P. pater patriae (nelle medaglie, iscrizioni ec.). (Bologna 10. Maggio. 1826.).