5. Gen. 1821.
[474,2] Dai tempi di Giulio Cesare in poi, Velleio
nel tracciare, come suole, i caratteri delle persone illustri che descrive,
trovate spessissimo che dopo aver detto come quel tale era pazientissimo de'
travagli e de' pericoli, attivo nei negozi, vigilante al bisogno, atto alla
guerra, o ai maneggi politici, soggiunge poi, che nell'ozio era molle ed
effeminato, o almeno si compiaceva anche dell'ozio, e dei diletti pacifici, e
insomma delle frivolezze, e che tanto era pigro e voluttuoso nell'ozio, quanto
laborioso diligente e tollerante nel negozio. V. il libro II. c. 88. sect. 2. c. 98. sect. 3. c. 102.
sect. 3. c. 105. sect. 3. Dappertutto fa menzione dell'ozio, e sempre
li trova inclinati anche a questo e non poco, sebbene sieno gli uomini più
attivi di quel secolo. Cosa ignota agli antichi Eroi romani, i quali nell'ozio
non trovavano nè potevano trovare nessun piacere. E infatti questo lineamento
475 nei ritratti sbozzati da Velleio non si trova prima del detto tempo che fu
l'epoca della decisa e sviluppata corruzione de' Romani. Di Lucullo e di Antonio è cosa ben nota in questo proposito. (Di Scipione Emiliano parla bensì Velleio riguardo all'ozio, I. 13. sect. 3. ma molto diversamente) Notate
dunque gli effetti dell'incivilimento e della corruzione. Notate quanto ella
porti per sua natura all'inazione, all'ozio, e alla pigrizia: che anche gli
uomini più splendidi e attivi, in questa condizione della società, inclinano
naturalmente all'inazione. La causa è il piacere che nell'antico stato di
Roma non si poteva trovar nell'ozio, e perciò l'uomo
desiderando il piacere {e la vita} si dava
necessariamente all'azione: e così accade in tutte le nazioni non ancora o
mediocremente incivilite. La causa è pure l'egoismo, per cui l'uomo non si vuole
scomodare a profitto altrui, se non quanto è necessario, o quanto giova a se
stesso. La causa è la mancanza delle illusioni, delle idee di gloria, di
grandezza di virtù di eroismo, ec. tolte le quali idee, deve sottentrar quella
di non far nulla, lasciar correre le cose, e godere del presente. La causa
476 per ultimo nelle monarchie (come sotto Augusto) è la mancanza non solo delle
illusioni, ma del principio di esse, non solo della vita dell'animo, ma della
vita delle cose, cioè la mancanza di cose che realizzino e fomentino queste
illusioni; la difficoltà o impossibilità di far cose grandi o importanti, e di
essere o considerarsi come importante; la nullità, o piccolezza, e ristretta
esistenza del suddito ancorchè innalzato a posti sublimi. Del resto paragonate
questo tratto del carattere Romano a quei tempi, col carattere francese oggidì,
nazione snervata dall'eccessiva civiltà, col carattere de' loro uomini più
insigni per l'azione; e ci troverete un'evidente conformità. (5. Gen.
1821). {{V. p. 620. fine. e p. 629. capoverso
1.}}