12. Gen. 1821.
[494,1]
Hic sive invidia deum, sive fato, rapidissimus procurrentis
imperii cursus parumper Gallorum Senonum incursione subprimitur.
*
Floro. I. 13. principio,
entrando a raccontare la prima guerra gallica.
[494,2]
Floro I. 13. {ed.
Manhem.}
Adeo tum quoque in ultimis religio
publica privatis adfectibus antecellebat.
*
Perchè
tum quoque? Forse ne' tempi seguenti, e massime in
quelli di Floro, cioè di Traiano, la religione pubblica fu più a
cuor de' Romani, che ne' primi tempi di Roma? O non più
tosto ella venne indebolendo a proporzione del tempo, e all'età di Floro, era, si può dire, estinta nel
fatto?
495 E non solo ai Romani, ma a tutti i popoli è
sempre avvenuto e avviene lo stesso. Questa era cosa confessata da tutti anche
allora, e la somma religiosità dell'antica Roma era
notissima e famosissima. Leggi: Adeo
tum in ultimis quoque
*
: allora anche nell'infima plebe la religione pubblica
prevaleva alle affezioni private
*
, laddove in seguito fu
tutto l'opposto. Io credo però che in ultimis
l'abbiano inteso per in ultimis rebus o casibus, negli estremi frangenti, e così abbiano
spiegato: Tanto anche in quel tempo, cioè nell'ultima
calamità. Male. In ultimis vuol dire negl'infimi, come apparisce dalle parole di Floro che precedono. V. il Forcellini, e le ult. edizioni di Floro. {{V. p. 510. capoverso
2.}}
[495,1]
Floro I. 13.
{avendo detto} che i Romani distrussero la gente dei
Galli Senoni in maniera che hodie
nulla Senonum vestigia supersint,
*
soggiunge con breve
intervallo: ne quis exstaret in ea
gente, quae incensam a se Romam urbem
gloriaretur.
*
Che vada letto qui
per quae non par da dubitare, e sarà già osservato. Ma
e così,
496 e in ogni modo, come avea da restare alcuno
in quella gente, se questa era tutta distrutta?
Leggo: ex ea gente: acciò non restasse nessuno di quella gente. Chiunque ha senso o
di latinità o solamente di ragione, conoscerà che la preposizione in qui non ha luogo. (12. Gen.
1821.).