[102,2] Ci sono tre maniere di vedere le cose. L'una e la più
beata, di quelle[quelli] per li quali esse
hanno anche più spirito che corpo, e voglio dire degli
103 uomini di genio e sensibili, ai quali non c'è cosa che non parli
all'immaginazione o al cuore, e che trovano da per tutto materia di sublimarsi e
di sentire e di vivere, e un rapporto continuo delle cose coll'infinito e
coll'uomo, e una vita indefinibile e vaga, in somma di quelli che considerano il
tutto sotto un aspetto infinito e in relazione cogli slanci dell'animo loro.
L'altra e la più comune di quelli per cui le cose hanno corpo senza aver molto
spirito, e voglio dire degli uomini volgari (volgari sotto il rapporto
dell'immaginazione e del sentimento, e non riguardo a tutto il resto, p. e. alla
scienza, alla politica ec. ec.) che senza essere sublimati da nessuna cosa,
trovano però in tutte una realtà, e le considerano quali elle appariscono, e
sono stimate comunemente e in natura, e secondo questo si regolano. Questa è la
maniera naturale, e la più durevolmente felice, che senza condurre a nessuna
grandezza, e senza dar gran risalto al sentimento dell'esistenza, riempie però
la vita, di una pienezza non sentita, ma sempre uguale e uniforme, e conduce per
una strada piana e in relazione colle circostanze dalla nascita al sepolcro. La
terza e[è] la sola funesta e miserabile, e
tuttavia la sola vera, di quelli per cui le cose non hanno nè spirito nè corpo,
ma son tutte vane e senza sostanza, e voglio dire dei filosofi e degli uomini
per lo più di sentimento che dopo l'esperienza e la lugubre cognizione delle
cose, dalla prima maniera passano di salto a quest'ultima senza toccare la
seconda, e trovano e sentono da per tutto il nulla e il vuoto, e la vanità delle
cure umane e dei desideri e delle speranze e di tutte le illusioni inerenti alla
vita per modo che senza esse non è vita. E qui voglio notare come la ragione
umana di cui facciamo tanta pompa sopra gli altri animali, e nel di cui
perfezionamento facciamo consistere quello dell'uomo, sia miserabile e incapace
di farci non dico felici ma meno infelici, anzi di condurci alla stessa
saviezza, che par tutta consistere nell'uso intero della ragione. Perchè chi si
fissasse nella considerazione e nel sentimento continuo del nulla verissimo e
certissimo delle cose, in maniera
104 che la successone
e varietà degli oggetti {e dei casi} non avesse forza
di distorlo da questo pensiero, sarebbe pazzo assolutamente e per ciò solo,
giacchè volendosi governare secondo questo incontrastabile principio ognuno vede
quali sarebbero le sue operazioni. E pure è certissimo che tutto quello che noi
facciamo lo facciamo in forza di una distrazione e di una dimenticanza, la quale
è contraria direttamente alla ragione. E tuttavia quella sarebbe una verissima
pazzia, ma la pazzia la più ragionevole della terra, anzi la sola cosa
ragionevole, e la sola intera e continua saviezza,
dove le altre non sono se non per intervalli. Da ciò si vede come la saviezza
comunemente intesa, e che possa giovare in questa vita, sia più vicina alla
natura che alla ragione, {stando fra ambedue e non} mai
come si dice volgarmente con questa sola, e come essa ragione pura e senza
mescolanza, sia fonte {immediata e per sua natura} di
assoluta e necessaria pazzia.
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