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79. Perchè quelli che temono sogliano cantare. Falso coraggio di molti consistente in dissimularsi o diminuirsi nella immaginazione i mali. Εὐφημία de' greci, dei latini e degl'italiani.

Why those who are afraid tend to sing. The false courage of many consists in dissimulating or diminishing suffering in their imagination. The eὐφημία of the Greeks, the Latins and the Italians.

43-44

[43,6]  Il cantare che facciamo quando abbiamo paura non è per farci compagnia da noi stessi come comunemente si dice, nè per distrarci puramente, ma (come trovo incidentemente e finissimamente notato anche nella 2.da lett. del Magalotti contro gli Atei) per mostrare e dare ad intendere a noi stessi di non temere. La quale osservazione potrebbe forse applicarsi a molte cose, e dare origine a parecchi pensieri. E già è manifesto che all'aspetto del male noi cerchiamo d'ingannarci e di credere che non sia tale, o minore che non è, e però cerchiamo chi se ne mostri o ne sia persuaso, e per ultimo grado, per persuaderlo a noi stessi, fingiamo d'esserne già persuasi, operando e discorrendo tra noi come tali. E questo è quello che accade nel caso detto di sopra. E già {è} costume di moltissimi è il detrarre quanto più possono colle parole e colla fantasia a' mali che loro sovrastanno, e con ciò si consolano e fortificano, mendicando il coraggio non dal disprezzo del male, ma dalla sua immaginata falsità o piccolezza, onde son molti che non si sgomentano se non di rarissimo perchè quando vien loro annunziato o prevedono qualche male, prima non lo credono affatto, (cioè si nascondono o impiccolissimo[impiccoliscono] tutti i motivi di credere) e così se il male non ha luogo effettivamente essi non han temuto, e altri sì, e con ragione; poi lo scemano immaginando quanto possono, e così non temono se non in quei rari casi nei quali sopraggiunge un male così evidente e reale e che li tocchi in modo che non possano ingannarsi, giacchè anche sopraggiunto che sia, molte volte non lo credono affatto male, cioè non lo voglion credere. E questi che  44 forse spesso passano per coraggiosi, sono i più vigliacchi che mai, giacchè non sanno sostenere non solo la realtà ma neppur l'idea dell'avversità, e quando hanno sentore di qualche disgrazia che loro sovrasti o sia accaduta, subito corrono col pensiero, ad arroccarsi {e trincerarsi} e chiudersi e incatenacciarsi poltronescamente in dire fra se che non sarà nulla. Onde si vede alla prova delle evidenti disgrazie, come sieno codardi e si disperino, e dieno in frenesie e smanie da femminucce con urli pianti preghiere, tutte cose vedute e notate effettivamente da me in uno di cui ho e naturalmente doveva avere una gran pratica, del quale per l'altra parte è un perfettissimo e appropriatissimo ritratto quello che ho detto di sopra. Del resto è cosa pur troppo evidente che l'uomo inclina a dissimularsi il male, e a nasconderlo a se stesso come può meglio, onde è nota l'εὐϕημία degli antichi greci che nominavano le cose dispiacevoli τὰ δεινά con nomi atti a nascondere o dissimulare questo dispiacevole, (del che v. Elladio appo il Meursio) la qual cosa certo non faceano solamente per cagione del mal augurio. E anche in italiano si dice, se Dio facesse altro di me, per dire, s'io morissi, (v. la Crusca in Altro) e in latino in questo istesso caso, si quid humanum paterer, mihi accideret etc. e così in cento altri casi.

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