18-20. Agosto 1820.
[213,1] Le illusioni per quanto sieno illanguidite e
smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la
massima parte della nostra vita. E non basta conoscer tutto per perderle,
ancorchè sapute vane. E perdute una volta, nè si perdono in modo che non ne
resti
214 una radice vigorosissima, e continuando a
vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta l'esperienza, e certezza
acquistata. Io ho veduto persone savissime, espertissime, piene di cognizioni di
sapere e di filosofia, infelicissime, perdere tutte le illusioni, e desiderar la
morte come unico bene, e augurarla {ancora} come tale,
agli amici loro: poco dopo, bensì svogliatamente, ma tuttavia riconciliarsi
colla vita, formare progetti sul futuro, impegnarsi per alcuni vantaggi
temporali di quegli stessi loro amici ec. {Nè poteva più
essere per ignoranza o non persuasione certa e sperimentale della nullità
delle cose.} Ed a me pure è avvenuto lo stesso {cento volte,} di disperarmi propriamente per non poter morire, e poi
riprendere i soliti disegni e castelli in aria intorno alla vita futura, e anche
un poco di allegria passeggera. E quella disperazione e quel ritorno, non
avevano cagion sufficiente di alternarsi, giacchè la disperazione era prodotta
da cause che duravano quasi intieramente nel tempo ch'io riprendeva le mie
illusioni. Tuttavia qualche piccolo motivo di consolarmi, bastava all'effetto,
ed è cosa indubitata che le illusioni
svaniscono nel tempo della sventura, {+(e perciò è verissimo, e l'ho provato anch'io, che chi
non è stato mai sventurato, non sa nulla. Io sapeva, perchè oggidì non si
può non sapere, ma quasi come non sapessi, e così mi sarei regolato nella
vita.)} e ritornano dopo che questa è passata, o mitigata dal tempo e
dall'assuefazione. Ritornano con più o meno forza secondo le circostanze, il
carattere, il temperamento corporale, e le qualità spirituali {tanto} ingenite {come}
acquisite. Quasi tutti gli scrittori di vero e squisito sentimentale, dipingendo
la disperazione e lo scoraggiamento totale della vita, hanno cavato i colori dal
proprio cuore, e dipinto uno stato nel quale
215 essi
stessi appresso a poco si sono trovati. Ebbene? con tutta la loro disperazione
passata, con tutto che scrivendo sentissero vivamente la natura e la forza di
quelle acerbe verità e passioni che esprimevano, anzi dovessero proccurarsene
attualmente una intiera persuasione ec. per potere rappresentare {efficacemente} quello stato dell'uomo, e per conseguenza
sentissero ed avessero quasi per le mani il nulla delle cose, tuttavia si
prevalevano del sentimento stesso di questo nulla per mendicar gloria, e quanto
più era vivo in loro il sentimento della vanità delle illusioni, tanto più si
prefiggevano e speravano di conseguire un fine illusorio, e col desiderio della
morte vivamente sentito, e vivamente espresso, {non}
cercavano {altro che} di proccurarsi alcuni piaceri
della vita. E così tutti i filosofi che scrivono e trattano le miserabili verità
della nostra natura e ch'essendo privi d'illusioni in fondo, non cercano poi
altro veramente col loro libro che di crearsi, e godersi alcuni illusorii
vantaggi della vita {(v.
Cic., pro
Archia. c. 11.).} Tant'è: la natura è così
smisuratamente più forte della ragione, che ancorchè depressa e indebolita oltre
a ogni credere, pure gli resta abbastanza per vincere quella sua nemica, e
questo negli stessi seguaci suoi, e in quello stesso momento in cui la predicano
e la divulgano; anzi con questo stesso predicare e divulgar {la ragione contro la natura,} la danno vinta alla natura sopra la
ragione.
216 L'uomo non vive d'altro che di religione o
d'illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: Tolta la religione
e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo alla prima facoltà
di ragionare (giacchè i fanciulli massimamente non vivono d'altro che
d'illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza nostra
sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita, e sostanziale. Ma
le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della ragione e del
sapere. È da sperare che durino anche in progresso: ma certo non c'è più dritta
strada a quello che ho detto, di questa presente condizione degli uomini,
dell'incremento {e divulgamento} della filosofia da una
parte, la quale ci va assottigliando e disperdendo tutto quel poco che ci
rimane; e dall'altra parte della mancanza positiva di quasi tutti gli oggetti
d'illusione, e della mortificazione reale, uniformità, inattività, {nullità} ec. di tutta la vita. Le quali cose se
ridurranno finalmente gli uomini a perder tutte le illusioni, e le dimenticanze,
a perderle per sempre, ed avere avanti gli occhi continuamente e senza
intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che
le ossa, come di altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è
possibile che l'uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre più
ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e
fruttifichi. Sogni
217 e visioni. A riparlarci di qui a
cent'anni. Non abbiamo ancora esempio nelle passate età, dei progressi di un
incivilimento smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torneremo
indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se
avranno posteri. (18-20. Agosto 1820.).