20. Agosto 1820.
[217,1] Ripetono tutto giorno i francesi che Bossuet ha soggiogato la sua lingua al
suo genio. Io dico che il suo genio è stato soggiogato dalla lingua costumi
gusti del suo paese. I francesi che scrivono sempre come conversano, timidissimi
per conseguenza, o piuttosto codardi, come dev'esser quella nazione presso cui
un tratto di ridicolo scancella qualunque più grave e seria impressione, e fa
più romore degli affari e pericoli di Stato, si maravigliano d'ogni minimo
ardire, e stimano sforzi da Ercole
quelli che in italia e nel resto
d'Europa sono {soltanto}
deboli argomenti d'ingegno robusto, libero, inventore e originale. E per una
parte hanno ragione, perchè l'osar poco in francia, dove
la regola è di vivre et faire comme tout monde, costa
assai più che l'osar molto altrove. Ma in fatti poi cercando in Bossuet questo grande ardire, e questa
robustissima eloquenza, trovate piuttosto impotenza che forza, e vedrete che
appena alzato si abbassa. Questo senza fallo è il
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sentimento ch'io provo sempre leggendolo; appena mi ha dato indizio di un
movimento forte, sublime, e straordinario, ed io son tutto sulle mosse per
seguitarlo, trovo che non c'è da far altro, e ch'egli è già tornato a parler comme tout le monde. Cosa che produce una
grande pena e disgusto e secchezza nella lettura. Questo non ha che fare colle
inuguaglianze proprie dei grandi geni. Nessun genio si ferma così presto come
Bossuet. Si vede propriamente
ch'egli è come incatenato, e fa sforzi più penosi che grandiosi per liberarsi. E
il lettore prova appunto questo medesimo stato. E perciò volendo convenire che
Bossuet sia stato veramente un
genio, bisogna confessare che tentando di domar la sua lingua e la sua nazione,
n'è stato domato. Me ne appello a tutti gli stranieri e italiani. Se non che la
voce di tutta la francia ha tanta forza, che forma il
giudizio d'Europa. E il ridirsi è quasi impossibile.
Sicchè queste parole intorno a Bossuet
sieno dette inutilmente. (20. Agosto 1820.).