11. Marzo. 1824.
[4044,8] In tutta l'Europa (massime in
italia, dove tutti gli assurdi e gl'inconvenienti
sociali sono maggiori che altrove) non reca infamia l'essere
4045 o essere stato vizioso, nè l'aver commesso delitti (massime
trattandosi di alcuni tali vizi e delitti, certi dei quali, anche atroci, fanno
piuttosto onore, stima, e rispetto, che altro); ma bensì l'essere o l'essere
stato punito di qualsivoglia vizio o misfatto, anzi pure della virtù o di azioni
virtuose e degne di lode e di premio.
{Certo la punizione porta seco più infamia che
la colpa.} Negli Stati Uniti
d'America l'opinione pubblica non attacca veruna infamia alla
punizione, e il colpevole che è stato punito e rientra nella società, v'è tanto
più esente da obbrobrio che l'impunito che in essa si aggira, quanto che 1. si
considera ch'egli ha espiato colla pena subita il suo fallo, e riparato e data
soddisfazione del torto fatto alla società, e pagato il debito contratto seco
lei: 2. si giudica, come in fatti ordinariamente succede, che la pena, la quale
colà si considera e si chiama penitenza (le prigioni si chiamano case di
penitenza), e le cure che nel tempo di essa espressamente si usano per curare
con rimedi sì fisici che morali il morale del colpevole, abbiano corretto e
riformato il suo carattere, i suoi costumi, le sue inclinazioni, i suoi
principii, e ridottolo alla buona strada, con che e di diritto e di fatto e di
opinione egli torna intieramente a paro e a livello degli altri cittadini o
forestieri. Vedi il racconto sulle
prigioni di Nuova York nell'Antologia di Firenze
num. 37. Gen. 1824. e in particolare la pag. 54. (11. Marzo.
1824.)
