Navigation Settings

Manuscript Annotations:
interlinear {...}
inline {{...}}
attached +{...}
footnote #{...}
unattached {...}
Editorial Annotations:

Correction Normalization

8. Luglio 1821.

[1292,1]  Alla p. 1242. Non è dunque da maravigliarsi che la lingua italiana fra le moderne sia tenuta la più ricca. (Monti.) Ho già mostrato come la vera fonte della ricchezza delle lingue antiche, consistesse nella gran facoltà dei derivati e de' composti, e come questa sia la principal fonte della ricchezza di qualsivoglia lingua, e quella che ne manca o ne scarseggia, non possa esser mai ricca. La lingua italiana la quale cede alla greca e latina nella facoltà de' composti (colpa più nostra che sua), abbiamo veduto  1293 e si potrebbe dimostrare con mille considerazioni, che nella facoltà dei derivati, e nell'uso che finora ha saputo fare di tal facoltà, piuttosto vince dette lingue, di quello che ne sia vinta. Sarà dunque vero che la lingua italiana sia la più ricca delle moderne, e questa superiorità sua, che una volta fu effettiva (e per le dette ragioni), non passerà come parecchie altre, se noi non la spoglieremo di quelle facoltà che la producono, e sole la possono {principalmente} produrre; e che per l'altra parte sono proprie della sua indole. Cioè se non la spoglieremo della facoltà di crear nuovi composti e derivati, disfacendo quello che fecero i nostri antichi. Giacchè l'impedire alla lingua {+(e ciò per legge costante) che non segua ad} che non esercitare le facoltà generative datele da quelli che la formarono, {è lo stesso che spogliarnela, e quindi} si chiama disfare e non conservare l'opera dei nostri maggiori.
[1293,1]  Dilatate quest'ultimo pensiero, dimostrando come il voler togliere alla lingua l'esercizio delle sue facoltà creatrici, proprie della sua indole, sia appunto l'opposto di quello che si crede, cioè allontanarla dalla sua indole, e dalla sua condizione primitiva in luogo di mantenercela. La condizione primitiva della lingua era di esser viva: ora il ridurla allo stato  1294 assoluto di morta, si chiamerà conservarla qual ella era, e quale ce la trasmisero i suoi formatori? Dunque conservare una parola, una forma, un significato, un suono {antico,} ec. e sbandire una voce o modo barbaro, una cattiva ortografia, un significato male applicato ec. tutte cose particolari ed accidentali, e quel ch'è più mutabili, tutto questo si chiamerà conservare la lingua. E lo spogliarla delle sue facoltà generali, ed essenziali, e immutabili, non si chiamerà guastarla o alterarla, ma anzi conservarla? Dico immutabili, fin tanto ch'ella non muti affatto qualità, e di viva diventi morta. Il solo immutabile nella lingua sono le facoltà che costituiscono il suo carattere, parimente immutabile. Le parole, i modi, i significati, le ortografie, le inflessioni ec. niente di questo è immutabile, ma tutto soggetto all'uso per propria natura. Così che i nostri bravi puristi vogliono eternare nella lingua la parte mortale, e distruggere l'immortale, o quella che tale dev'essere, se non si vuol mutare la lingua. E l'uso di tali facoltà {creatrici, ch'io dico} immortali, deve essere perpetuo finchè una lingua vive, appunto perchè la novità delle cose e delle idee (alle quali serve la lingua)  1295 è perpetua. Che se non fosse perpetua, la lingua potrebbe allora perdere dette facoltà, e vivere nello stato delle lingue morte. Ma essendo la novità delle cose perpetua, ripeto che non si può conservare la lingua senza mantenerle intieramente le sue primitive facoltà creatrici, e che lo spogliarla di queste è lo stesso che ridurla necessariamente alla barbarie; giacch'ella barbara o no, finch'è parlata e scritta non può morire; e non potendo vivere nella sua prima condizione, cioè durando la novità delle cose senza ch'ella possa più esprimerle del suo proprio prodotto, vivrà nella barbarie. (8. Luglio 1821.).