24. Giugno 1820.
[133,1] Dice Luciano
nelle Lodi della
Patria (t. 2. p. 479.), καὶ τοὺς κατὰ τὸν τῆς ἀποδημίας χρόνον λαμπροὺς γενομένους ἢ διὰ
χρημάτων κτῆσιν, ἢ διὰ τιμῆς δόξαν
*
(vel ob honoris
gloriam), ἢ διὰ παιδείας μαρτυρίαν, ἢ δι᾽
ἀνδρίας[ἀνδρείας] ἔπαινον, ἔστιν
ἰδεῖν ἐς τὴν πατρίδα {πάντας}
ἐπειγομένους
*
(properantes) ὡς οὐκ ἂν ἐν
ἄλλοις βελτίοσιν ἐπιδειξομένους τὰ αὐῶν καλά. καὶ τοσούτῳ γε μᾶλλον
ἕκαστος σπεύδει λαβέσθαι τῆς πατρίδος ὅσῳπερ ἂν ϕαίνηται μειζόνων παρ᾽
ἄλλοις ἠξιωμένος
*
. Questo è vero, e quando anche tu viva in
una città molto maggiore della tua patria, non ostante il gran cambiamento delle
opinioni antiche a questo riguardo, desidererai anche adesso, se non altro che
la gloria o qualunque altro bene che tu hai acquistato sia ben noto, e faccia
romore particolare nella tua patria. Ma la cagione non è mica l'amor della
patria, come stima Luciano, e come
pare a prima vista. E infatti stando nella tua stessa patria, tu provi lo stesso
effetto
134 riguardo alla {tua}
famiglia, e a' tuoi più intimi conoscenti. La ragione è che noi desideriamo che
i nostri onori o pregi siano massimamente noti a coloro che ci conoscono più
intieramente, e che ne sieno testimoni quelli che sanno più per minuto le nostre
qualità, i nostri mezzi, la nostra natura, i nostri costumi ec. E come non ti
contenteresti di una fama anonima, cioè di esser celebrato senza che si sapesse
il tuo nome, perchè quella fama, ti parrebbe piuttosto generica che tua propria,
così proporzionatamente desideri ch'ella sia sulle bocche di quelli presso i
quali, conoscendoti più intimamente e particolarmente, la tua stima viene ad
essere più individuale e propria tua, perchè si applica a tutto te, che sei loro
noto minutamente. E viene anche ciò dalla inclinazione che tutti abbiamo per li
nostri simili, onde non saremmo soddisfatti di una fama acquistata appresso una
specie di animali diversa dall'umana, e così venendo per gradi, poco ci
cureremmo di esser famosi fra i Lapponi o gl'irocchesi, essendo ignoti ai popoli
colti, e non saremmo contenti di una celebrità francese o inglese, essendo
sconosciuti ai nostri italiani, e così finalmente arriveremo ai nostri propri
cittadini, e anche alla nostra famiglia. Aggiungete le tante relazioni che si
hanno o si sono avute colle persone più attenenti alla nostra, le emulazioni, le
gare, le invidie, le contrarietà avute, le amicizie fatte ec. ec. alle quali
cose tutte applichiamo il sentimento che ci cagiona la nostra gloria, o
qualunque vantaggio acquistato. In somma
135 la cagione
è l'amore {immediato} di noi stessi, e {non} della nostra patria. {{V. p. 536,
capoverso 2.}}
[135,1] Io non credo molto a quello che dice Montesquieu
Dialogue de Sylla et d'Eucrate, particolarmente p.
293-295. per ispiegare il carattere e le azioni di Silla. Questo è il solito errore di creder che gli
uomini si formino da principio un piano seguito di condotta, e seguano sempre un
filo di azioni, quando la nostra natura composta di cento passioni, è sempre
piena d'incongruenze, secondo che questa passione o quell'altra piglia il di
sopra. E anche i ragionamenti dell'uomo sono pieni di variazioni, per cui ora ci
par conveniente uno scopo, ed ora un altro, o volendo arrivare allo stesso
scopo, cambiamo strada del continuo. Solamente serve a mostrar l'ingegno dello
scrittore il condurre tutte le azioni disparatissime di un personaggio famoso,
come tante linee a uno stesso punto, e per {questo}
capo è stimabile e ingegnoso il celebre Manuscrit
venu de Sainte-Helène, attribuito alla Staël. Io credo che Silla avesse veramente una grandissima ambizione, e
questa di comandare, come tutti gli altri, poi, siccome il fantasma della gloria
era ancor grande e potente nelle menti romane, stimò più ambizioso il rinunziare
al comando che il ritenerlo, e così volle andare allo stesso fine per un'altra
strada. Forse ancora il pensiero di farsi tiranno della patria, non era per
anche maturo negli animi romani, nutriti in così smisurato amore e pregio della
libertà: ma la passione di Silla, fu
l'odio civile, e la ferocia
136 verso i suoi
competitori, e per isfogarla, volle il supremo comando, non ostante che per se
stesso non lo bramasse, e che dopo sfogata lo deponesse. Perchè il piacere della
vendetta, e del calpestare i suoi nemici, e vederli intieramente oppressi domati
e annientati, è un piacere anzi un'ambizione che in molti può più che quella del
comando in genere. E così Silla
contraddisse ai suoi principii romani e liberali, {e diede un
esempio fatale alla libertà,} per soddisfare a una passione
particolare. (24. Giugno 1820.).