Agosto, 1817 - Febbraio, 1818.
[1,3] Una Dama vecchia avendo chiesto a un giovane di leggere
alcuni suoi versi pieni di parole antiche, e avutili, poco dopo
rendendogliele[rendendoglieli] disse che non
gl'intendeva perchè quelle parole {non s'usavano} al
tempo suo. Rispose il giovane: Anzi credea che s'usassero perchè sono molto
antiche.
[1,5] Dal niente in letteratura si passa al mezzo e al vero,
quindi al raffinamento: da questo non c'è esempio che si sia tornato al vero.
Greci latini italiani. Lo squisito gusto del volgo de' letterati non può essere
se non quando ei non è ancora corrotto. P. E. i cinquecentisti volgari non
peccavano d'altro che di poco, non di troppo, e però erano attissimi a giudicar
bene del molto, o sia del vero bello, come faceano.
[1,6] Il trecento fu il principio della nostra letteratura, non
già il colmo imperocchè non ebbe se non tre scrittori grandi: il quattrocento
non fu corruzione nè
2 raffinamento del trecento, ma un
sonno della letteratura (che avea dato luogo all'erudizione) la quale restava
ancora incorrotta e peccava ancora più tosto di poco. Poliziano, Pulci. Il cinquecento fu vera continuazion del trecento e il colmo
della nostra letteratura. Di poi venne il raffinamento del seicento, che nel
settecento s'è solamente mutato in corruzione d'altra specie, ma il buon gusto
nel volgo dei letterati non è tornato più, nè tornerà secondo me, perchè dal
niente si può passare al buono, ma dal troppo buono o sia dal corrotto stimo che
non si possa.
[2,1] Non il Bello ma il Vero o sia l'imitazione della Natura
qualunque, si è l'oggetto delle Belle arti. Se fosse il Bello, piacerebbe più
quello che fosse più bello e così si andrebbe alla perfezion metafisica, la
quale in vece di piacere fa stomaco nelle arti. Non vale il dire che è il solo
bello dentro i limiti della natura, perchè questo stesso mostra che è
l'imitazione della natura dunque che fa il diletto delle belle {arti,} imperocchè se fosse il bello per se, vedesi che
dovrebbe come ho detto più piacere il maggior bello, e così più piacere la
descrizione di un bel mondo ideale che del nŕo[nostro.] E che non sia il solo bello naturale lo scopo delle B.
A.[Belle Arti] vedesi in tutti i poeti
specialmente in Omero, perchè se questo
fosse, avrebbe dovuto ogni gran poeta cercare il più gran bello naturale che si
potesse, dove Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di
quello che potea farlo, e così gli Dei ec. e sarebbe maggior poeta Anacreonte che Omero. ec. e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec. Passioni
morti tempeste ec. piacciono egregiamente benchè sian brutte per questo solo che
son bene imitate, e se è vero quel che dice il Parini nella Oraz. della poesia, perchè
l'uomo niente tanto odia quanto la noia, e però gli piace di veder qualche
novità ancorchè brutta. Tragedia. Commedia. Satira han per oggetto il brutto ed
è una mera quistion di nome il contrastar se questa {sia} poesia. Basta che tutti la intendono per poesia Aristot. e Orazio singolarmente e che io dicendo poesia intendo
anche questi generi. {{V. Dati, pittori ed. Siena 1795. p. 57. 66.}}
[2,2] Il brutto come tutto il resto deve star nel suo luogo: e
nell'Epica e lirica avrà luogo più di raro ma spessissimo nella
Commed.[Commedia]
Trag.[Tragedia]
Sat.[Satira] ed è quistion di parole ec. come
sop.[sopra]. Il vile di raro si dee
descrivere perchè di raro può star nel suo luogo nella poesia (eccetto nelle
Sat.[Satira]
Commed.[Commedia] e poesia bernesca) non perchè non possa
essere oggetto della poesia. Ancora potendo esser molti generi di una cosa e
questi qual più qual meno degno,
3 niente vieta che dei
diversi generi di poesia altro abbia per oggetto più particolarmente il bello
altro il doloroso altro anche il brutto e il vile, {e però
qual sia più nobile e degno qual meno} e non per tanto tutti sieno
generi di poesia, nè ci sia oggetto di veruno di essi che non possa essere
oggetto della poesia e delle arti imitative ec.
[3,1] La perfezione di un'opera di B.[Belle] Arti non si misura dal più Bello ma dalla più
perfetta imitazione della natura. Ora se è vero che la perfezione delle cose in
sostanza consiste nel perfetto conseguimento del loro oggetto, quale sarà
l'oggetto delle B.[Belle] Arti?
[3,2] L'utile non è il fine della poesia benchè questa possa
giovare. E può anche il poeta mirare espressamente all'utile o ottenerlo (come
forse avrà fatto Omero) senza che però
l'utile sia il fine della poesia, come può l'agricoltore servirsi della scure a
segar biade o altro senza che il segare sia il fine della scure. La poesia può
esser utile indirettamente, come la scure può segare, ma l'utile non è il suo
fine naturale, senza il quale {essa} non possa stare,
come non può senza il dilettevole, imperocchè il dilettare è l'ufficio naturale
della poesia.
[3,3]
Sentìa del canto risuonar le valli
D'agricoltori ec.
[3,4] Più ci diletterebbe una pianta o un animale veduto nel
vero che dipinto o in altro modo imitato, perchè non è possibile che nella
imitazione non resti niente a desiderare. Ma il contrario manifestamente
avviene: da che apparisce che il fonte del diletto nelle arti non è il bello, ma
l'imitazione.
[3,5] Il quattrocento restò dal fare, ma conservava l'idea del
bello incorrotta; però benchè non facesse, pure apprezzava il fatto anzi lo
cercava: quindi l'infinito studio de' Classici e l'erudizione dominante nel
secolo. Il cinquecento col capitale acquistato nel 400. e coll'istradamento del
300 tornò a fare. Ma il seicento perchè era non debole ma corrotto, non
solamente non sapea far bene, ma disprezzava il ben fatto anzi gli dispiacea.
Quindi la dimenticanza di Dante del Petrarca ec. che non si stampavano più.
Nel principio del settecento ripigliammo non le forze, ma solo il buon gusto e
l'amore degli studi classici, e la prima metà di questo secolo somiglia però al
quattrocento, nè si fa molto conto di quest'epoca di risorgimento perchè non
produsse (come il 400) nessun lavoro d'arte fuorchè la
Merope, e durò tanto poco che un uomo stesso potè aver veduto il
tempo di corruzione il risorgimento e il ricadimento. Ricadute le nostre lettere
(nella imitazione e studio degli stranieri) son comparsi nella {seconda} metà del 700 e principio dell'800 i nostri
4 ultimi lavori d'arte. Questi sono di quegli {scrittori} che nella corruzione si conservano illesi,
non possono essere stimati da molti ec. Ma adesso l'arte è venuta in un
incredibile accrescimento, tutto è arte e poi arte, non c'è più quasi niente di
spontaneo, la stessa spontaneità si cerca a tutto potere ma con uno studio
infinito senza il quale non si può avere, e senza il quale a gran pezza l'aveano
(spezialmente nella lingua) Dante il
Petrarca l'Ariosto ec. e tutti i bravi trecentisti e
cinquecentisti. Questo avviene perchè ora si viene da un tempo corrotto
(oltrechè si sta pure tra' corrotti) e bisogna porre il più grande studio per
evitare la corruzione, principalmente quella del tempo la quale prima che
abbiamo pensato a guardarcene s'è impadronita di noi, e poi quella dei tempi
passati, perchè adesso conosciamo tutti i vizi delle arti e ce ne vogliamo
guardare, e non siamo più semplici come erano i greci e i latini e i
300ti[trecentisti] e i
500ti[cinquecentisti] perchè siamo passati
pel tempo di corruzione e siamo divenuti astuti nell'arte, e schiviamo i vizi
con questa astuzia e coll'arte non colla natura come faceano gli antichi i quali
senza saperne più che tanto pure perchè l'arte era in sul principio e non ancora
corrotta nongli schivavano ma non ci cadevano. Erano come fanciulli che non
conoscono i vizi, noi siamo come vecchi che li conosciamo ma pel senno e
l'esperienza gli schiviamo. E però abbiamo moltissimo più senno e arte che gli
antichi, i quali per questo cadevano in infiniti difetti (non conoscendoli) in
cui adesso non cadrebbe uno scolaro. Vizi d'Omero concetti del Petrarca
grossezze di Dante, seicentisterie
dell'Ariosto del Tasso del Caro
traduzione dell'Eneide ec. E però adesso le
nostre opere grandi (pochissime perchè ancora siamo nella corruzione onde
pochissimi emergono) saranno tutte senza difetti, perfettissime, ma in somma non
più originali, non avremo più Omero
Dante l'Ariosto. Esempio manifesto del Parini
Alfieri
Monti ec.. Onde apparisce quel che io
disopra ho detto che dopo che le arti di fanciulle e incorrotte si son fatte
{mature} e corrotte, (come gli uomini di mezza età
viziosi) invecchiando e ravvedendosi, non potranno più ripigliare il vigore
della fanciullezza e giovinezza. Le arti presso i Greci e i latini corrotte una
volta non risorsero più presso noi van risorgendo. primo esempio finora al
mondo, dal quale solo si possono cavare le prove pratiche della mia sentenza. Se
non che i poeti e altri scrittori grandi d'oggi stanno in certo modo agli
antichi del 300 e 500 come i greci dei secoli d'Augusto
{e degli imperatori} p. e. Dionigi Alicarnasseo, Dione, Arriano ad Erodoto
Tucidide
Senofonte: ma questi eran passati
{per un'età} e si trovavano ancora in un'età più
tosto di debolezza che di corruzione.
[5,1]
5 Come i fanciulli e giovinetti benchè di buona indole
pure per la malizia naturale, di quando in quando scappano in qualche difetto e
non per tanto sono differentissimi dagli uomini grandi e cattivi, così gli
antichi senza conoscere nè amare i vizi {delle arti},
per la naturale tendenza dell'ingegno alla ricercatezza e cose tali di quando in
quando vi cadeano non riflettendo che fossero vizi, e non per tanto
infinitamente differivano dagli adulti artefici del 600 e 700 radicati nella
corruzione. E adesso chiunque, per pochissimo che abbia studiato a prima giunta
vede che quelli sono errori e che gli antichi hanno errato. P. E. chi non vede
adesso che è cosa ridicola e affettatissima il
lamento d'Olimpia ec. nell'Ariosto, quello d'Erminia ec. nel Tasso? E pure questi grandissimi poeti
perchè l'arte era giovane e senza esperienza in buona fede cascavano in questi
errori, e noi perchè siamo vecchi nell'arte col nostro senno e coll'esperienza
de' tempi corrotti, ce ne ridiamo e li fuggiamo. Ma questo senno e questa
esperienza sono la morte della poesia ec. Come però si dovrà dire che l'Ariosto per esempio avesse somma arte se
cadeva spessissimo in difetti che il più meschino artefice d'oggidì conosce a
prima vista? Non avea somma arte ma sommo ingegno, pulitissimo, ma non corrotto,
e meno poi ripulito.
[5,2] Per guardarci dai vizi e dalla corruzione dello scrivere
adesso è necessario un infinito studio e una grandissima imitazione dei
Classici, molto molto maggiore di quella che agli antichi non bisognava, senza
le quali cose non si può essere insigne scrittore, e colle quali non si può
diventar grande come i grandi imitati.
[5,3] Come il cocchiere fa guidando i cavalli per la china, che
poco concede loro perchè troppo non gli rapiscano.
[5,4]
*
Padron, se con lamenti e con rammarichi
Si rimediasse a le nostre miserie,
Bisognerebbe comperar le lagrime
A peso d'or: ma queste tanto possono
Le disgrazie scemar, quanto le prefiche
Svegliare i morti con le loro istorie:
Ne' guai non ci vuol pianto ma consiglio.
[6,1]
6 Messer tale domandato da alcuni che disputavano sopra
una statua antica di Giove in terra
cotta che ne sentisse, rispose: Maravigliomi come non vi siate accorti che
questo è un Giove in Creta: volendo dire in
terra cotta, ma in sembianza, nell'isola di Creta, dove Giove fu allevato.
[6,2]
Sistema di Belle Arti.
Fine - il diletto; secondario alle volte, l'utile. - Oggetto o mezzo di
ottenere il fine - l'imitazione della natura, non del bello
necessariamente. - Cagione {primaria} del fine
prodotto da questo oggetto o sia con questo mezzo - la maraviglia: forza
del mirabile e desiderio di esso innato nell'uomo: tendenza a credere il
mirabile: la maraviglia così è prodotta dalla imitazione del bello come
da quella di qualunque altra cosa reale o verisimile: quindi il diletto
delle tragedie ec. prodotto non dalla cosa imitata ma dall'imitazione
che fa maraviglia - Cagioni secondarie e relative ai diversi oggetti
imitati - la bellezza, la rimembranza, l'attenzione che si pone a cose
che tuttogiorno si vedono senza badarci ec. - Cagione primitiva del
diletto destato dalla maraviglia ec. e però conseguentemente del diletto
destato dalle belle arti - l'orrore della noia naturale all'uomo;
ricerche sopra le cagioni di quest'orrore ec. - Cagioni dei difetti
nelle belle arti - Sproporzione, sconvenevolezza, cose poste fuor di
luogo, al che solo (contro l'opinione di chi pensa che provenga
dall'avere le arti per oggetto il bello) si riducono i difetti della
bassezza della bruttezza deformità crudeltà sporchezza tristizia tutte
cose che rappresentate o impiegate nei loro luoghi non sono difetti
giacchè piacciono e per mezzo dell'imitazione producono la maraviglia,
ma sono difetti fuor di luogo p. e. in un'anacreontica l'imagine di un
ciclopo, (per lo più) in un'epopea per lo più la figura di un deforme
ec. Altri difetti e vizi; affettazione ec. quasi tutti si riducono alla
sconvenevolezza e inverisimiglianza che proviene dallo sconvenirsi {tra loro} in natura quegli attributi della cosa
inverisimile, onde la mente che comprende la
7
sconvenienza degli attributi concepisce l'inverisimiglianza - Diversi
rami della imitazione che formano i diversi oggetti delle belle arti e i
diversi generi p. e. di poesia, i quali tanto più son degni e nobili
quanto più degni ec sono gli oggetti, onde un genere che abbia per
oggetto il deforme, sarà un genere poco stimabile e da non mettersi p.
e. coll'epopea, benchè anch'esso sia un genere di poesia destando la
maraviglia e quindi il diletto col mezzo dell'imitazione -
[7,1]
Del Bello
Epopea, Lirica ec. vari rami del bello. Bello delicato - grazioso - ameno
- elegante. V. Martignoni ec. Annali di scienze e lettere n. 8.
p. 252-54. Ci può essere il bello delicato e il non delicato.
Ercole
Apollo. {{Bello sublime. Giove.}}
[7,2]
Del Sublime
Lirica, Epopea ec.
[7,3]
Del terribile
Tragica ec.
[7,4]
Del ridicolo e vizioso ec.
Commedia Satira poesia Bernesca ec.
[8,1]
8 Provatevi a respirare artificialmente, e a fare
pensatamente qualcuno di quei moltissimi atti che si fanno per natura; non
potrete, se non a grande stento e men bene. Così la tropp'arte nuoce a noi: e
quello che Omero diceva ottimamente per
natura, noi pensatamente e con infinito artifizio non possiamo dirlo se non
mediocremente, e in modo che lo stento più o meno quasi sempre si scopra. {{V. p. 461.}}
[8,2] Difficoltà d'imitare: più facile il far più che quel
medesimo: quanto sia difficile l'essere uguale: quanto rara in natura
l'uguaglianza perfetta: quindi la maraviglia nata dall'imitazione e il diletto
nato dalla maraviglia. V. Quintiliano I. 10, c. 11.
{quindi la maggior facilità di esprimere un bello ideale che
il proprio bello naturale anche minore dell'ideale.}
[8,3] Due gran dubbi mi stanno in mente circa le belle arti. Uno
se il popolo sia giudice ai tempi nostri dei lavori di belle arti. L'altro se il
prototipo del bello sia veramente in natura, e non dipenda dalle opinioni e
dall'abito che è una seconda natura. Della prima quistione se mi verrà in mente
qualche pensiero lo scriverò poi: della seconda, osservo che a noi par
conveniente a un soggetto (e la bellezza sta tutta si può dire nella
convenienza) quello che siamo assueffatti a vederci, e viceversa sconveniente
ec. e però ci par bello quello che ha queste tali cose e brutto o difettoso
quello che non le ha: benchè in natura {non} debba
averle o viceversa. p. e. ci par deforme una certa razza di cani quando ha
l'orecchie non tagliate ec. potenza della moda specialmente intorno alla
bellezza delle donne ec. Mi pare che in natura non ci siano quasi altro che i
lineamenti del bello, come sono l'armonia la proporzione e cose tali che secondo
il solo lume naturale debbono trovarsi in ogni cosa bella: e che l'ombreggiare
gli oggetti belli dipenda tutto dalle nostre opinioni. Per questo si possono
addurre infiniti esempi. E li distinguo in due classi: l'una di quelli che
provano la diversità di opinioni intorno agli oggetti in natura; l'altra ec.
intorno agli oggetti nell'imitazione ossia nelle belle arti.
Natura
Occhi azzurri belli tra' greci: neri tra noi. Capelli biondi belli in
Italia nel 500. neri al presente. Diversissime opinioni de'
barbari intorno alla bellezza che pur mostrano che in natura non ce n'è
idea fissa. V. Camper
Diss. sur le beau
physique. Cavalli scodati. Cani colle orecchie
tagliate. Opinione e senso de' nostri contadini circa la bellezza, e v.
quelle descritte nella Beca e nella
Nencia non già da scherzo, ma
perchè di quella sorta piacciono ai villani. Bello ideale
ch'esprimerebbe p. e. un pittore moro di qualunque genio ed entusiasmo
si fosse. Il bello ideale non è
9 altro che l'idea
della convenienza che un artista si forma secondo le opinioni e gli usi
del suo tempo, e della sua nazione. Barba, e capelli tagliati o no.
Belle Arti
Pittura ec. de' cinesi. Musica de' turchi. V. Martignoni
annal. di Scienze e lett. n. 8.
p. 245. nota ove anche della musica francese e italiana.
Presso noi non disdicono le fabbriche a mattoni nudi, anzi son ridicole
imbiancate e colorite. Il contrario de' Cinesi ai quali le nostre
facciate parrebbero cosa affatto greggia e rozza.
[9,1] I francesi hanno certe esagerazioni familiari così usitate
che sono vere frasi proprie della lingua e non di questo o di quello scrittore o
parlatore; le quali danno un'idea della {sempiterna}
affettazione e del tuono esaltato quando in uno quando in altro modo, con cui
sono scritti si può dir tutti i loro libri. Giammai persona non fu più fedele
al suo re.
Nessun altro fu sì ricordevole del benefizio. (Aucun ne fut ec.)
Non si vide mai tanto amore nè tanta costanza. E nota che questo
medesimo lo diranno a un bisogno di due o tre persone o più in uno stesso libro.
Troverai spessissimo che parlando di qualche scrittore dozzinale ti diranno per
esempio: egli ha tutta la tenerezza di Racine e tutto lo spirito di Voltaire, egli è sublime come Corneille e semplice come La
Fontaine, egli stringe come Bourdaloue, commuove come Massillon, trasporta come Bossuet: e ti maraviglierai come uno scrittore in cui si trovano
unite le qualità principali di più altri (secondo loro) grandi, che ne hanno
ciascheduno, una sola, non sia più grande di questi, nè celebre presso tutta la
nazione, e forse tu ne legga il nome per la prima volta.
[9,2] In molte opere di mano dove c'è qualche pericolo (o di
fallare o di rompere ec.) una delle cose più necessarie perchè riescano bene è
non pensare al pericolo e portarsi con franchezza. Così i poeti antichi non
solamente non pensavano al pericolo in cui erano di
10
errare, ma (specialmente Omero) appena
sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si diportavano, con quella
bellissima negligenza che accusa l'opera della natura e non della fatica. Ma noi
timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre {avanti} gli occhi l'esempio di chi ha errato e di chi
erra, e però pensando sempre al pericolo (e con ragione perchè {1.} vediamo il gusto corrotto del secolo che
facilissimãnte[facilissimamente] ci
trasporterebbe in sommi errori, 2. osserviamo le cadute di molti che per certa
libertà di pensare e di comporre partoriscono mostri, come sono al presente p.
e. i romantici) non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall'esempio degli
antichi e dei Classici, che molti pur sapranno abbandonare, ma da quelle regole
(ottime e Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in
voli bassi, nè mai osiamo di alzarci con quella negligente e sicura e non
curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere
dell'arte, onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attentiamo di farne
delle ottime, e ne facciamo delle mediocri, non dico già mediocri di quella
mediocrità che riprende Orazio
[Horace, Ars poetica 265–74], e che in
poesia è insopportabile, ma mediocri nel genere delle buone cioè lavorate,
studiate, pulitissime, armonia espressiva, bel verso, bella lingua, Classici
ottimamente imitati, belle imagini, belle similitudini, somma proprietà di
parole, (la quale soprattutto tradisce l'arte) insomma tutto, ma che non son
quelle, non sono quelle cose secolari e mondiali, insomma non c'è più Omero
Dante l'Ariosto, insomma il Parini il Monti sono bellissimi ma non hanno nessun difetto. {{V. p. 461.}}
[10,1] In Plauto il
sommo pregio è quello della forza comica che non è altro se non quella certa
vivacità dei personaggi ottenuta col mezzo del ridicolo, che nel mentre che
vivifica l'azione (a differenza delle Commedie di terenzio dove c'è gran serietà e però dice Cesare ch'egli manca di forza comica, a ragione, perchè
l'azione importando poco per se e non avendo la importanza della tragedia, se
non è continuamente rallegrata e rinforzata dal ridicolo, resta debole, e come
morta) ottiene il fine della Commedia che è di distogliere
11 dal vizio il che principalmente è operato dal ridicolo. Ma i
costumi ἤϑη presso Plauto sono poco
insigni. Ciascuno opera è vero come dee (almeno per l'ordinario) ma 1. tutte le
fisonomie si rassomigliano: sempre appresso a poco è lo stesso parassito, lo
stesso padre, lo stesso servo traditore, lo stesso figlio scapestrato, la stessa
meretrice, ec. 2. i tratti che qualche volta distinguono un volto dall'altro
sono grossolani: per esempio questa innamorata sarà leale, quest'altra perfida;
questo padre pieghevole, questo duro; questo figlio temperante quest'altro
lussurioso, ed ecco tutto; ec. 3. c'è qualche volta molta naturalezza ora in
qualche scena bellissima che innamora, ora in qualche Commedia intera, ma quivi
le persone dicono quello che ogni uomo in quella situazione direbbe, e benchè le
parlate siano naturalissime, cavate dal vero, e ritratte con grandissima finezza
dalla natura, pure non sono modificate secondo il carattere e il costume
particolare della persona: insomma non si vede in Plauto una figura tutta perfettamente delineata e
ombreggiata, e i costumi che egli dipinge sono del genere, p. e. del padre, o
della specie, p. e. del padre buono o del padre iracondo, e non dell'individuo,
la qual cosa osservo anche in Terenzio, il quale per altro è molto superiore a Plauto per li costumi e {la}
naturalezza, essendo penetrato più addentro nel cuore umano. ec. Qualche volta
anche non è conservata in Plauto la
naturalezza e la verisimiglianza specialmente nel fine delle Commedie dove
talvolta i personaggi si risolvono troppo d'improvviso e a grado del poeta,
essendo stati fin allora di animo diversissimo e anche contrarissimo a quella
tale risoluzione. Ma egli pare che Plauto
{talora} non volendo altro che far ridere e
satireggiare, della verisimiglianza non si curasse, anzi a bello studio cercasse
l'inaspettato, non {già} l'inaspettato verisimile che
si raccomanda in poesia, ma l'inaspettato inverisimile e grossolano che però
appunto è più ridicolo, come nel fine delle Bacchidi dove fa innamorare all'improvviso per istrazio quei due
vecchi venuti all'opposto per bravare quelle meretrici{{, e
in quella scena del Canapo dove mette una
tenzone di licet
licet e di altre tali risposte sempre ripetute, in
un momento caldo e importante, dov'è impossibile che i personaggi badassero
a questi giuochi.}}
[12,1]
12 L'arte di Ovidio di metter le cose sotto gli occhi, non si chiama efficacia, ma
pertinacia. ec.
[12,2] I francesi colla loro pronunzia tolgono a infinite
parole che han prese dai latini italiani ec. quel suono espressivo che aveano in
origine, e che è uno dei più grandi pregi nelle lingue ec. ec. Per esempio
nausea in latino e in italiano con quell'au e con quel'ea imita a maraviglia
quel gesto che l'uomo fa e quella voce che manda scontorcendo la bocca e il naso
quando è stomacato. Ma nosé non imita niente, ed è
come quelle cose che spogliate degli spiriti e dei sali, umori, grasso ec.
restano tanti capomorti. {{(capogatti ec. non capigatti) V. questi pensieri p.
95.}}
[12,3] Un'osservazione importantissima intorno alle traduzioni,
e che non so se altri abbia fatta, e di cui non ho in mente alcuno che abbia
profittato, è questa. Molte volte noi troviamo nell'autore che traduciamo p. e.
greco, un composto una parola che ci pare ardita, e nel renderla ci studiamo di
trovargliene una che equivalga, e fatto questo siamo contenti. Ma spessissimo
quel tal composto o parola comechè sia, non solamente era ardita, ma l'autore la
formava allora a bella posta, e però nei lettori greci faceva quell'impressione
e risaltava nello scritto come fanno le parole nuove di zecca, e come in noi
italiani fanno quelle tante parole dell'Alfieri p. e. spiemontizzare ec. ec. Onde
tu che traduci, posto ancora che abbi trovato una parola corrispondentissima
proprissima equivalentissima, tuttavia non hai fatto niente se questa parola non
è nuova e non fa in noi quell'impressione che facea ne' greci. E qui è così
comune l'inavvertenza che nulla più. Perchè se traducendo trovi quella parola e
non l'intendi, tu cerchi ne' Dizionari, e per esser quella, parola di un
classico, tu ce la trovi colla spiegazione in parole ordinarie, e con parole
ordinarie la rendi e non guardi, prima se quell'autore che traduci è il solo che
l'abbia usata; secondo se è il primo; perchè potrebbe anche dopo lui esser
passata in uso e nondimeno non essere stato meno ardito nè nuovo nè esprimente
il suo primo usarla. Ecco un esempio. Luciano ne' Dial. de' morti; Ercole e Diogene; usa la parola ἄντανδρον. Cerca ne' Lessici:
spiegano: succedaneus ec. ma se tu volti: sostituto, o che so io, non arrivi per
niente all'efficacia burlesca e satirica di quella nuova parola di Luciano che vuol dire: contrappersona,
e colla sua novità ha una vaghezza e una forza particolare specialmente di
deridere. (N.B. io non so se questa voce di Luciano sia di lui solo: la trovo ne' Dizionari senza esempio, onde
potrebbe anche esser propria della lingua: e bisogna cercare migliori dizionari
che io per ora non ho; perchè cadrebbe a terra quest'esempio, per altro
sufficiente a dare ad intendere, vero o no che sia, la mia proposizione e
osservazione.) Quello che io ho detto delle parole va inteso anche dei modi
frasi, ec. ec. ec.
[13,1]
13 Non credo che siano molto da ascoltare quelli che
credono che certi passi sublimi della Bibbia
avanzino ogni altro passo sublime di qualsivoglia autore; e lo provano colla
grandezza materiale dell'imagine; p. e. dicono, il misurare le acque colla mano
e pesare i cieli colla palma, (Is. 40. 12.) è ben più che scagliar la
folgore dall'alto di Ato e di Rodope e
riempier di spavento i cuori de' mortali, crollar l'olimpo coll'accennar del
Capo, ec. ec. Senza dubbio non si può dir niente di Dio che non sia
infinitamente al di sotto del vero, {e però}
la Bibbia (e la
Bibbia molto meno che qualunque altro) non dice mai cosa che appetto
al vero non sia strapiccolissima, e pure io ardirò di affermare che quelle tali
espressioni della Bibbia, nella poesia umana sono
esagerazioni, e che in essa poesia vale assolutamente più in rigore di pregio
poetico, quel Giove accennante col capo
e scuotente l'Olimpo; quel Nettuno che in
quattro passi traversa provincie; quel grido di Marte ferito che pareggia il grido di diecimila combattenti e
d'improvviso atterrisce ambedue gli eserciti, Greco e troiano; (Il. 5) quella caduta
dello stesso Dio che disteso occupa sette iugeri di terreno; (Il. 21. 407.) di quelle
tante imagini sublimissime della Bibbia, perchè
nella poesia umana ci vuole il mezzo dappertutto, il mezzo, che è il gran luogo
di verità e di natura, e che nè anche col vero si dee oltrepassare: e il sublime
dee scuotere fortemente il lettore, ma non subbissarlo con cose che oltrepassino
la capacità nostra. E questo della poesia umana. Ma la poesia divina come la
scrittura, dee veramente subbissare e oltrepassare la capacità umana, e però
quelle imagini (essendo poi per se stesse lontanissime dall'essere esagerate)
convengono ottimamente a questa sorta di poesia tutta essenzialissimamente
diversa dalla nostra; e però da noi non imitanda senza colpa poetica. Del resto,
io dico bene che quelle imagini convengono a quella poesia, ma non già credo
come dicono alcuni, che esse più tosto che al gusto orientale, si debbano al più
vivamente sentire la maestà divina che faceano i lirici Ebrei: (Borgno
Diss. sopra i Sepolcri del Foscolo
Milano
1813. p. 86. nota (1.)) che per esser subito persuasi del contrario
basta osservare i luoghi della Bibbia dove non si
parla di Dio nè di cose affatto sublimi, come p. e. tutta la Cantica dove anzi si parla di amore e cose
delicate, e pure vi si vedono le stesse metaforone e traslatoni e cose
eccessive: però veramente e assolutamente derivate dal gusto orientale, a cui
tuttavia non negherò che l'ispirazione così poetica come divina non accrescesse
forza quanto alle imagini e frasi dette di sopra ec.
[13,2] L'efficacia dell'espressioni bene spesso è il medesimo
che la novità. Accadrà molte volte che l'espressione usitata sia più robusta più
vera più energica, e nondimeno l'esser ella usitata le tolga la forza e la
snervi; e il poeta sostituendo in suo luogo un'altra espressione men robusta,
forse anche men propria ma nuova, otterrà un buon effetto sulla fantasia del
lettore, ci sveglierà quell'immagine che l'altra espressione non avrebbe potuto
eccitare; e la sua frase sarà veramente più efficace, non per se stessa, ma per
la circostanza dell'esser nuova.
[13,3] Nelle poesie del Monti (specialmente nelle Cantiche [In morte di Lorenzo
Mascheroni, In morte di Ugo di
Bassville]) sono osservabili la
14
bellezza novità efficacia delle imagini, particolarmente sublimi, ma anche di
ogni altro genere, la mollezza e dirò così sveltezza, agilità, disinvoltura
dell'espressione; la gran felicità nell'esprimere cose e imagini difficilissime,
la disinvolta e spedita nobiltà dello stile, e quella data colla scelta e
collocamento delle parole (o coll'uno o l'altra separatamente) a cose e imagini
per se stesse ignobili o quasi; la sublimità {e
grandezza} delle imaginazioni fantastiche, la grazia e forza del
dipingere, la facilità e felicità di certe rime disparatissime, come di qualche
nome proprio, lontanissimo dell'argomento, condottovi con mirabile franchezza e
disinvoltura, (nella qual facilità ebbe il {Monti} gran precursore, {oltre a Dante}
il Menzini nelle Satire) l'efficacia di molte
espressioni acquistata colla novità ec. ec. le quali cose tutte fanno uno stile
suo proprio, elegante, (la quale eleganza, la qual nobiltà ec. è anche molto
spesso acquistata con acconce parole latine destrissimamente, disinvoltamente, e
morbidamente insinuate nella composizione) efficace, nobile, proprio, e un
genere di poesia che si può dire originale, avendo molte tinte che non si vedono
in quello di Dante sempre più feroce, e
quanto allo stile, di raro così molle e pieghevole e armonioso e disinvolto e
grazioso e anche delicato ec. ec. {la sicurezza e franchezza
del tocco sia quanto all'espressione sia quanto al concetto alle immagini
ec.}
[14,1] Gran verità, ma bisogna ponderarle bene. La ragione è
nemica d'ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande,
la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più
difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi
possono esser grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non sono
dominati dalle illusioni. Queste[Questo]
viene che quelle cose che noi chiamiamo grandi per es. un'impresa, d'ordinario
sono fuori dell'ordine, e consistono in un certo disordine: ora questo disordine
è condannato dalla ragione. Esempio: l'impresa d'Alessandro: tutta illusione. Lo straordinario ci par
grande: se sia poi più grande dell'ordinario astrattamente parlando, non lo so:
forse anche qualche volta sarà più piccolo assai in riga astratta, e quest'uomo
strano e celebre messo a tutto rigore a confronto con un altro ordinario ed
oscuro si troverà minore: nondimeno perchè è straordinario si chiama grande:
anche la piccolezza quando è straordinaria si crede e si chiama grandezza. Tutto
questo la ragione non lo comporta: e noi siamo nel secolo della ragione: (non
per altro se non perchè il mondo più vecchio ha più sperienza e freddezza) e
pochi ora possono essere e sono gli uomini grandi, segnatamente nelle arti.
Anche chi è veramente grande, sa pesare adesso e conoscere la sua grandezza, sa
sviscerare a sangue freddo il suo carattere, esaminare il merito delle sue
azioni, pronosticare sopra di se, scrivere minutamente colle più argute e
profonde riflessioni la sua vita: nemici grandissimi, ostacoli terribili alla
grandezza: che anche l'illusioni ora si conoscono chiarissimamente esser tali, e
si fomentano con una certa
15 compiacenza di se stessi,
sapendo però benissimo quello che sono. Ora come è possibile che sieno durevoli e forti quanto
basta, essendo così scoperte? e che muovano a grandi cose? e senza le illusioni
qual grandezza ci può essere o sperarsi? (Un esempio di quando la ragione è in
contrasto colla natura. Questo malato è assolutamente sfidato e morrà di certo
fra pochi giorni. I suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in
questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze: essi ne soffriranno
danno vero anche dopo morto il malato: e il malato non ne avrà nessun vantaggio
e forse anche danno perchè soffrirà più tempo. Che cosa dice la nuda e secca
ragione? Sei un pazzo se l'alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e
uno scellerato se per alimentarlo {non fai e} non
soffri il possibile. È da notare che la religione si mette dalla parte della
natura.) La natura dunque è quella che spinge i grandi uomini alle grandi
azioni. Ma la ragione li ritira: e però la ragione è nemica della natura; e la
natura è grande, e la ragione è piccola. Altra prova
che la ragione è spesso nemica della natura, si cava dall'utilità (così per
la salute come per tutto il resto) della fatica a cui la natura ripugna e
così dalla ripugnanza della natura a cento altre cose o necessarie o
utilissime e però consigliate dalla ragione, e per lo contrario
dall'inclinazione della natura a moltissime altre o dannose o inutili o
proibite, illecite, e condannate dalla ragione{{: e la
natura spesso tende con questi appetiti a danneggiare e a distrugger se
stessa.}}