10-13. Agosto 1821.
[1477,2]
{+(Molte cose e da molti sono state dette
in proposito delle voci sinonime, altri negando che ve n'abbia
effettivamente, altri affermando; e questo e quello chi d'una chi
d'altra lingua, e chi di tutte in genere.).} Molto s'è
disputato circa i sinonimi. Ecco la mia opinione. Le lingue primitive piuttosto
dovevano significar molte cose con una sola parola, che aver molte parole ec. da
significare una stessa cosa. Formandosi appoco
1478
appoco le lingue, e modificandosi in mille guise le prime scarsissime radici,
per adattarle stabilmente e distintamente alle diverse significazioni, le lingue
vennero a crescere, le parole (non radicali, ma derivate o composte) a
moltiplicarsi infinitamente, si acquistò la facoltà di esprimere colla favella e
colla scrittura, sino alle menome differenze, varietà, specie, accidenti ec.
delle cose, ma i sinonimi (se non forse qualcuno per caso, o per commercio con
altre lingue) ancora non esistevano. Ciascuna parola che si formava modificando
le prime radici, o le altre parole già formate; ciascun genere costante di
modificazioni, derivazioni, inflessioni, composizioni, formazioni che
s'introduceva (come quello de' verbi frequentativi o diminutivi presso i latini
ec.) aveva per oggetto di arricchir la lingua ed accrescerne la potenza, non
colla meschina facoltà di poter dire una stessissima cosa in più modi, ma con
quella importantissima di poter distintamente significare le menome differenze
delle cose, differenze o già note fin da principio, ma non sapute esprimere,
ovvero osservate solamente col tempo: o anche idee nuove
1479 ec. Quindi nasceva una grandissima varietà nelle lingue, ben più
sostanziale di quella che deriva dall'uso dei sinonimi. Giacchè se per mezzo di
questo, noi possiamo ad ora ad ora, capitandoci la stessa cosa da dire, variare
il modo di esprimerla; agli antichi capitava assai di rado la stessa cosa, e
quindi la necessità della stessa parola, perchè ogni menoma differenza che la
cosa da esprimersi avesse con la cosa già detta, bastava per mutarne il segno, e
la lingua somministrava puntualmente {una diversa e
propria} espressione di quella benchè leggerissima differenza.
[1479,1] Ma siccome queste tali differenze, e quindi le
differenze ne' significati delle parole che le esprimevano, erano sottilissime,
e spesso quasi metafisiche (che gli antichi, e massime i latini furono
ammirabilmente esatti e minuti nell'assegnare e precisare i significati delle
loro voci e modi, e v. p. 1115-16.
1162. capoverso 3.); così
naturalissimamente il popolo, incapace di troppe sottigliezze, e quando anche le
concepisse, incapace di por troppo squisita cura nella scelta delle parole,
cominciò, arricchite, ingrandite,
1480 e fecondate che
furono le lingue, a confondere quella parola o quel modo con un altro di poco
diversa significazione, a servirsi indifferentemente di voci destinate ad usi
simili ma distinti, a trascurare la minuta esattezza, e a poco {a poco} a dimenticare l'esatto e primo valore di una
parola o radicale o derivativa, ad usurpare quel genere di formazioni destinato
a quel genere di significati, in significati d'altro vicino genere, e finalmente
a dimenticare il proprio e preciso valore delle parole e dei modi; e col tempo e
colla forza prepotente dell'uso (che sotto molti aspetti nelle lingue non è che
abuso) confondendo i significati, moltiplicarli {di
nuovo} in ciascuna parola, e moltiplicar le parole significanti una
stessa cosa, benchè da principio differissero. In tal modo le lingue perderono
la facoltà che avevano al loro buon tempo di esprimere distintamente le menome
differenze delle idee, e queste differenze poco conosciute o notate dai
parlatori, fecero che svanissero le piccole ma reali differenze de' significati
delle parole. Ed ecco i sinonimi.
[1481,1]
1481 Nè solo il popolo, ma anche i civili parlatori
(per la difficoltà di essere esatto nel parlare ch'è improvvisare), ed anche i
negligenti o meno diligenti scrittori contribuirono {{proporzionatamente}} a questo effetto. Lascio le diffusioni di una
lingua, e le infinite cagioni le quali perdono o confondono i primitivi e propri
significati e la proprietà delle parole e di tutto ciò che spetta alla
favella.
[1481,2] I cattivi parlatori e i trascurati scrittori, sono
dunque secondo me, le prime {{e principali}} origini dei
sinonimi in qualunque lingua. Possiamo anche dire, il tempo, il quale non
permette che le cose umane conservino una stessa condizione. Anche gli scrittori
eleganti, e massime i poeti furono in causa di questo effetto: perchè l'eleganza
consiste nel pellegrino e diviso dal volgo; e quindi gli usi metaforici, quindi
gli ardiri, le inversioni di significato ec. ec. che messe in uso dagli
scrittori eleganti, passarono poi col tempo a prender luogo di proprietà,
scacciando le proprietà primitive, e confondendo il significato delle parole
proprie, con quello {delle parole} usate
metaforicamente o in qualunque altro modo, nello
1482
stesso senso. {Anche i parlatori eleganti o affettati sono da
considerarsi in questo proposito.}
[1482,1] Queste osservazioni spiegano il perchè sia sempre
maravigliosa, e caratteristica negli antichi scrittori la proprietà della
favella. Ciò non avviene di gran lunga perch'essi fossero più diligenti. Chi può
pur paragonare la diligenza de' nostri tempi in qualunque genere, con quella
degli antichi? L'esattezza e la minutezza non era propria de' tempi antichi,
bensì precisamente de' moderni, per le stesse ragioni per cui non è propria di
questi la grandezza, ch'era propria di quelli. {Anche}
In ogni cosa appartenente a lingua o stile, i diligenti scrittori moderni, ed
anche i mediocri la vincono in esattezza sopra i più diligenti scrittori
antichi. Basta conoscerli bene per avvedersene. V. la mia lett. sull'Eusebio del Mai,
nell'osservazione segnata XVI. 23. 71. 23. Recherò fra i moltissimi esempi che
si potrebbero, una nota che fa un Traduttore francese alla Catilinaria di Sallustio, solamente per dar meglio ad
intendere il mio pensiero. (Dureau-Delamalle, Oeuvres de Salluste. Traduction nouvelle. Note 45. sur la Conjurat. de Catilina à
Paris 1808. t. 1. p. 213.) Les bons écrivains de l'antiquité
1483 n'avaient pas, il s'en faut, nos
petits scrupules minutieux sur ces répétitions des mêmes mots,
surtout lorsque la différence de cas en mettait dans la terminaison,
comme dans ce passage-ci, où l'on voit
magnae copiae
après
magnas copias.
*
Parla di quel
luogo (Sall.
Bell. Catilinar. c. 59. {al. 56.}) Sperabat
propediem magnas copias se habiturum, si
Romae socii incepta patravissent: interea
servitia repudiabat, cuius initio ad eum magnae copiae
concurrebant.
*
[1483,1] Non la maggior diligenza dunque, ma l'esser gli
scrittori antichi più vicini alle prime determinazioni de' significati e
formazioni delle parole, e il formarne essi stessi, non per lusso, che gli
antichi non conoscevano, ma per bisogno, o per utile, fanno ch'essi si
riguardino e siano veri modelli della proprietà delle voci e dei modi. E infatti
la diligenza che vien dall'arte come pur la produce, è in ragione inversa
dell'antichità. Ora la proprietà degli scrittori è in ragion diretta; e Plauto e Terenzio e gli altri antichi latini i più rozzi, sono
1484 tanto più propri quanto meno eleganti di Cicerone. Così i trecentisti
ignorantissimi, rispetto ai cinquecentisti ec. Dante rispetto al Petrarca e
al Boccaccio ec. V. la p. 1253.
[1484,1] Posto dunque che una parola non è mai o quasi mai
sinonima di un[un'] altra della stessa lingua
primitivamente, e che le parole non divengono sinonime se non col tempo, e a
causa principalmente sì degli scrittori eleganti e de' poeti, sì molto più de'
cattivi scrittori e parlatori; ne segue che siccome tutte le lingue, eccetto le
primitive, derivano da corruzione di altre lingue, e sono loro posteriori nel
tempo ec. così le lingue figlie generalmente parlando denno abbondare di veri ed
effettivi sinonimi più delle rispettive madri.
[1484,2] Così appunto è avvenuto all'italiana rispetto alla
latina, sua madre. I sinonimi esistono realmente nella lingua italiana, vi
esistono fin da principio (benchè da principio non tanti): la lingua italiana
ha, non deve negarsi, verissimi sinonimi, e ne ha in grandissima copia, forse
più che altra lingua colta; e ne ha più assai
1485 che
non n'ebbe la buona latina. Tutte le lingue moderne colte, generalmente
parlando, hanno assai più sinonimi veri e perfetti che le lingue antiche.
Effetto del tempo che distrugge a poco a poco le piccole e sfuggevoli differenze
fra i significati di parole, che tuttavia non furono inventate per lusso, ma per
vera utilità. Nessuna o quasi nessuna nuova parola che si venga oggi formando e
introducendo nelle diverse lingue, è sinonima di altre che già vi si trovino.
{+(Parlo di quelle lingue dove non si
vanno introducendo per pura affettazione, ignoranza, barbarie, delle parole
straniere affatto inutili, e in pregiudizio delle nazionali. Si ponno anche
eccettuare alcune di quelle parole che formano talora i poeti, che non
sempre nè spesso, ma pur talvolta potranno esser sinonime di altre già
usate, ed esser preferite e formate per sola eleganza, e per una certa
peregrinità, o dedotte dal latino ec.)} Ciò mostra che i sinonimi non
sono mai tali da principio, e che la sinonimia non è primitiva. Ma le parole che
già da gran tempo appartengono a ciascuna lingua, o appartenessero alle loro
madri, o no, son divenute, e divengono di mano in mano sinonime, e tali
diverranno anche molte recentissimamente formate: e ciò massimamente per la
trascuranza {del favellare e scrivere,} e per l'abuso,
che siamo forzati di chiamar uso, e riconoscerlo per padrone legittimo. E questo
è sì certo che si può con un poco di attenzione, cominciando dai più
1486 antichi scrittori di una lingua e venendo sino
agli ultimi, osservare come due o più parole oggi sinonime, e che da prima non
erano, si siano venute gradatamente avvicinando nel significato, e scambiandosi
vicendevolmente in questo o quell'uso, fino a confondersi del tutto insieme in
qualsivoglia uso ec. Alcune parole son divenute sinonime in quest'ultimo grado,
altre in qualcuno de' gradi antecedenti, e si possono usare promiscuamente in
tali casi sì, in altri no: ma tuttogiorno, stante la negligenza e ignoranza
degli scrittori e parlatori, vanno acquistando maggior somiglianza, finchè
arriveranno alla medesimezza.
[1486,1] Consideriamo ora le conseguenze di questo effetto.
Si riguardano i sinonimi come ricchezza di una lingua. Ma ella è ricchezza
secondaria, e la principal ricchezza e varietà è quella che ho detto p. 1479. Ora la ricchezza dei
sinonimi nuoce sommamente a questa. La lingua italiana ha più sinonimi assai che
la latina. È ella perciò più ricca di lei? Figuriamoci che 30,m. voci latine,
tutte
1487 distinte di significato, sieno passate nella
lingua italiana, ma in modo che in vece di 30,000 cose, ne significhino solo
10,000: tre parole per significato. Che giova all'italiano il poter dire quelle
10,000 cose ciascuna in tre modi, se quelle altre ventimila che i latini
significavano distintamente, egli non le può significare, o solo confusamente?
Questa è povertà, non ricchezza. Non è ricco quegli il cui podere abbonda di
vigna e di frutta, e manca di grano; nè quegli che abbonda del superfluo e manca
del necessario.
[1487,1] Quindi potremo spiegare un fenomeno intorno alla
ricchezza delle lingue antiche, che non mi pare nè abbastanza osservato, nè
dilucidato. Le lingue si accrescono col progresso delle cognizioni e dello
spirito umano. Il numero delle parole di senso certo, dicono i filosofi,
determina il numero delle idee chiare di una nazione. (Sulzer.) Viceversa dunque potremmo dire delle idee
chiare, le quali non sono quasi mai tali se non hanno la parola corrispondente.
Ora
1488 chi dubita che il numero delle nostre idee
chiare non vinca d'assai quello delle antiche? che il nostro spirito non solo
abbracci molto maggior estensione di cose, ma veda sempre più sottile e minuto,
ed abbia acquistato un abito di precisione ed esattezza, senza paragone maggiore
che gli antichi? E pure consideriamo le antiche lingue colte, e non ci
troveremo, com'è naturale {la facoltà} di esprimere le
cose {o gli accidenti} ch'essi non conoscevano, e le
idee moderne ch'essi non avevano; {+o
quelle parti delle loro stesse idee, ch'essi non discernevano, almeno
chiaramente,} ma quanto a tutto ciò che gli antichi potevano aver da
significare, o voler significare, quanto a tutte le idee che potevano cadere nel
loro discorso, troveremo {generalmente parlando} nelle
lingue antiche colte, una facoltà di esprimersi tanto maggiore che nelle
moderne, una onnipotenza, {un'aggiustatezza,} una
capacità di variar l'espressione secondo le minime varietà delle cose da
esprimersi, {+e delle congiunture e
circostanze del discorso,} che forse {e senza
forse} non ha pari in veruna delle più colte lingue moderne: ed è
perciò che le lingue antiche sono generalmente riconosciute superiori in
ricchezza alle moderne.
[1488,1] Ora qual è la cagione? Vero è che il tempo abolisce
molte parole, ma infinite pur
1489 ne introduce. La
causa, secondo me, o una delle cause di questo, che veramente è fenomeno, sta in
ciò, che le parole destinate talora a simili, talora anche a diversissimi
significati, divengono col tempo sinonime, e laddove da prima, e nelle antiche
lingue ch'erano più vicine all'origine delle parole, esprimevano più e più cose,
o accidenti e modificazioni di cose, oggi esprimono una cosa sola. {+E così la proprietà della lingua latina
veramente ammirabile non si può trovare nella italiana sua figlia, e nelle
altre, che hanno tanto confuso i distintissimi significati delle parole che
hanno ereditato da lei.} E questo male va sempre e inevitabilmente
crescendo, ed è cosa dannosissima alla precisa espression delle idee, e quindi
alla precisione e chiarezza delle idee stesse. Colpa non tanto degli uomini,
quanto della natura, e del tempo al quale siamo venuti.
[1489,1] Veniamo ai rimedi. Voler richiamare le parole ai
loro antichi precisi significati, e tornarli a distinguere, e usarle nel senso
antico, ec. tuttociò è tanto impossibile e pedantesco, quanto il rimettere in
uso le parole {e modi} antiquati, e parlare come
parlavano i latini, o i nostri primi italiani ec. Quelli che hanno preso cura,
scrivendo partitamente dei sinonimi, di precisare
1490
il valore di ciascun vocabolo partecipante al significato di altri vocaboli,
hanno piuttosto servito e servono alla filosofia, alla storia delle lingue, e a
molte altre cose utilissime; di quello che all'uso, e alla conservazione de'
significati, ed alla osservanza dell'etimologie ec. insomma ad impedire la
confusione de' significati, e l'abolizione successiva delle loro piccole
differenze, che l'abuso e il tempo non può non cagionare, e non cagionerà niente
meno. Forze di questa fatta, non ponno esser vinte da un'opera, o da un
Dizionario ec.
[1490,1] Il rimedio dunque agl'inconvenienti del tempo che
nuoce alle lingue, e necessita la novità delle parole, non meno coll'abolirne
assai, che col sopprimerne le differenze de' significati, e restringere il
numero di essi, è l'adottar nuove parole che esprimano quelle cose o patti o
differenze di cose, ch'erano espresse da voci divenute sinonime e conformi di
valore ad altre primitivamente diverse. E se, come ho detto [pp.
1486-87] di 30.m. parole latine passate nell'italiano,
1491 non restano che 10.m. significati, a voler che la
lingua italiana adegui veramente la ricchezza della madre, in ordine a questa
medesima parte di essa, bisogna ch'ella trovi altre 20 mila parole che abbiano i
detti significati perduti. Ed allora ella vincendo la latina nella copia de'
sinonimi, e nella varietà, nell'eleganza ec. che risulta da essi, l'agguaglierà
pure nella vera ricchezza e varietà, e la sinonimia non pregiudicherà alla
proprietà ec. del discorso.
[1491,1] Diranno che questo la lingua italiana l'ha già fatto
ec. Negolo risolutamente. Convengo che la lingua italiana, servendosi sì delle
fonti latine, coll'attingerne più di quello che il linguaggio popolare ne avesse
attinto; sì della vivacità della immaginazione italiana, con bellissima e somma
facoltà di metafore ec. ec. sì di molti altri mezzi, non sia giunta a
proccurarsi una proprietà, una copia, una ricchezza, una facoltà insomma di
esprimersi maggiore forse che qualunque altra moderna; eccetto però nelle
materie filosofiche,
1492 e in tutto ciò che ha bisogno
di precisione (diversa dalla proprietà), e generalmente nelle cose moderne, e
posteriori a' suoi buoni tempi. {+Non
nego neppure che la lingua italiana non abbia conservato della sostanza
materna assai più delle altre, e meglio, secondo che ho spiegato p. 1503.} Ma ch'ella sia,
non ostante la sua gran copia di sinonimi, anzi a causa in gran parte di questa,
inferiore ancora non poco alla proprietà, ed alla ricchezza della sua madre, chi
ne dubita? E si può veder chiaramente nelle traduzioni. Pigliate una carta, non
dico di Tacito o di
Sallustio, ma di Livio o di Cicerone, e senza curarvi dell'eleganza, vedete se v'è possibile di
rendere {così} esattamente ogni parola e ogni frase,
che la vostra traduzione dica precisamente quanto il testo, {e} nè più nè
meno. Vedrete quanto manchi ancora alla lingua italiana per riuscirci, quante
parole e modi latini non abbiano affatto l'equivalente in italiano, e quanti
sensi, minuti sì ma distintissimi, non si possano assolutamente significare
nella nostra lingua, ch'è pur nelle traduzioni ec. la più potente delle tre
sorelle. E dovrete convenire che lo scrivere
1493
italiano è ancora generalmente e complessivamente inferiore visibilmente al
latino, nella proprietà, e nella varietà dell'espressione adattate alle minute
varietà delle cose: e questo anche indipendentemente da quelle sottilissime ma
effettive differenze che hanno tra loro {i significati delle
parole e frasi le} più omonime nelle diverse lingue, anche le più
affini.
[1493,1] Così dalla considerazione della teoria de' sinonimi,
i quali io dico non esser primitivi, ma veri, e frequenti nelle lingue moderne,
si deduce una nuova fortissima prova della necessità della novità nelle lingue.
E si conferma particolarmente, in ordine alla lingua italiana, la convenienza di
seguitare ad attingere dalle fonti latine, quelle parole e frasi, che non
essendo ancora introdotte nella nostra lingua, non ponno aver perduta la
differenza di significato, con le altre già derivate dalla stessa fonte, nè
esser divenute sinonime ec. Mezzo spedito ed ottimo per accrescere la proprietà,
e
1494 la sostanziale ricchezza della nostra lingua, e
adeguarla, s'è possibile, alle antiche. Giacchè la lingua latina è forse la più
propria di queste, e quindi gran proprietà ed esattezza dee derivare
dall'arricchirsi nuovamente alle sue fonti non ancor tocche ec. (10-13.
Agosto 1821.).