17. Ott. 1821.
[1937,1] Quando si comincia a gustare una nuova lingua, le
cose che più ci piacciono e ci rendono sapor di eleganza, sono quelle proprietà,
quelle facoltà, modi, forme, metafore, usi di parole o di locuzioni, che si
allontanano dal costume e dalla natura della nostra lingua, senza però esserle
contrarie, e senza discostarsene di troppo. {(Così anche nel pronunziare o nel
sentir pronunziare una lingua straniera, ci piacciono più di tutto quei
suoni che non sono propri della nostra, o del nostro costume, nel qual
proposito v. la p. 1965.
fine.} (Ecco appunto la natura della grazia: lo
straordinario fino a un certo segno, e in modo ch'egli faccia colpo senza choquer le nostre assuefazioni ec.) {+Questo ci accade nel leggere, nel parlare
nello scrivere quella tal lingua. (In tutti tre i casi però può aver luogo
un'altra sorgente di piacere, cioè l'ambizione o la compiacenza di sapere
intendere o adoperare quelle tali frasi, di parer forestiere a se stesso, di
aver fatto progressi, vinto le difficoltà ec.)} E ciò accade quando
anche in quella lingua o in quel caso, quelle tali forme non sieno per verità
eleganti. E dove noi vediamo una decisa e per noi eccessiva conformità colla
nostra lingua, quivi noi proviamo un senso
1938 di
trivialità ed iẽleganza[ineleganza], quando
anche ella sia tutto l'opposto: come alla prima giunta ci accade
nell'elegantissimo Celso, il quale ha
molti modi ed si similissimi all'indole italiana: e così spesso ci accade negli
scrittori latini antichi, o moderni massimamente (perchè questi non hanno in
favor loro la prevenzione, e la certezza che dicono bene.) (17. Ott.
1821.). {{V. p.
1965.}}