12-13-14. 7.bre 1820.
[239,1] Non per altro che per odio della noia vediamo oggidì
concorrere avidamente il popolo agli spettacoli sanguinosi delle esecuzioni
pubbliche, e a tali altri, che non hanno niente di piacevole in se (come
potevano averne quelli de' gladiatori e delle bestie nel circo, per la gara,
l'apparato ec.) ma solamente in quanto fanno un vivo contrasto colla monotonia
della vita. Così tutte le altre cose straordinarie, e perciò gradite, benchè non
solo non piacevoli, ma dispiacevolissime in se.
[239,2] Dall'orazione di M. Tullio
pro Archia si vede che la lingua greca era
considerata allora come
240 universale, nello stesso
modo che la francese oggidì, e l'uso e intelligenza della lingua latina era
ristretta a pochi, Latina suis finibus, exiguis sane,
continentur
*
. {Perciocchè le
scritture greche si leggono in quasi tutte le genti, le latine
restano dentro a' loro confini così stretti come
sono
*
. Cic. l.
c.} E nondimeno l'impero romano fu
forse il maggiore di quanti mai si viddero, e i romani al tempo di Cicerone, erano già padroni del mare, ed
esercitavano gran commercio. Così ora si vede che gl'inglesi sono padroni del
mare e del commercio, e sebbene la loro lingua, è perciò più diffusa di molte
altre, nondimeno non è nè conosciuta nè usata universalmente, ma da pochi in
ciascun paese, e cede di gran lunga alla francese, che non s'è mai trovata
favorita da un commercio così vasto. Onde si può ben dedurre, che la diffusione
di una lingua, se ha bisogno di una certa grandezza e influenza della nazione
che la parla (perchè la lingua francese, per quanto adattata alla universalità,
non sarebbe divenuta universale, se avesse appartenuto a una piccola, e
impotente nazione p. e. alla Svizzera), contuttociò
dipende principalmente dalla natura di essa lingua. Non vale il dire che i greci
erano diffusissimi per le colonie. Molto più lo erano i romani in quel tempo, e
non solo per le colonie, ma per le armate, governi, tribunali ec. ec. Ma quando
una lingua si diffonde per mezzo delle colonie, si può dire che si diffonda
piuttosto la nazione che la lingua, essendo
241 ben
naturale che una città di romani in qualunque luogo del mondo, parli la lingua
romana, e così un'armata ec. Ma questo non ha che fare coll'adottarsi
generalmente una lingua dagli stranieri, coll'essere tutti gli uomini colti di
qualunque nazione, quasi δίγλωττοι, {v. p.
684.} e col potere un viaggiatore farsi intendere
con quella lingua in qualunque luogo. Ora in questo consiste l'universalità di
una lingua, e non 1. nell'esser parlata da' nazionali suoi, in molte parti del
mondo, 2. nell'essere anche introdotta presso molte nazioni col mezzo di quelli
che la parlano naturalmente, sia coll'abolire la lingua dei vari paesi (quando
anzi la διγλωττία suppone che questa si conservi), sia coll'alterarla o
corromperla più o meno per mezzo della mescolanza. Cosa che vediamo accaduta nel
latino, del quale si trovano vestigi notabilissimi in molte parti
d'europa (forse anche di fuori) {(come se non erro in
Transilvania, in Polonia,
in Russia ec.) {{e si vede ch'ella si era stabilita nella
Spagna e la
Francia dove poi ne derivarono,
corrompendosi la latina, le lingue spagnuola e francese; e
nell'Affrica Cartaginese e Numidica
ec.;}}} quando della greca forse non si
troveranno, o meno; e contuttociò la lingua latina non è stata mai universale
nel senso spiegato di sopra, {+come non è universale oggi la lingua inglese
perciò ch'ella è stabilita e si parla come lingua materna in tutte quattro
le parti del mondo. (in ciascuna delle quattro parti)} È noto poi come
i greci l'ignorassero sempre, il che forse contribuì a conservar più a lungo la
purità della loro lingua, la sola che conoscessero. E quanto
242 alle colonie la francia ha sempre o quasi
sempre ceduto all'inghilterra, alla
spagna, e fino al portogallo,
come nel commercio. Neanche la letteratura è cagione principale della
universalità di una lingua. La letteratura italiana primeggiò lungo tempo in
europa, ed era conosciuta e studiata per tutto, anche
dalle dame, come in Francia da Mad. di Sévigné ec. senza che perciò la lingua
italiana fosse mai universale. E se gl'italianismi guastavano la lingua francese
al tempo delle Medici [(Caterina, Maria)], come ora i
francesismi guastano l'italiano, questo va messo nella stessa categoria della
corruzione che producono le colonie, le armate ec. (corruzione facilissima e
sensibilissima. Pochi soldati napoletani stanziati nella mia patria al mio tempo
per uno o due anni, aveano introdotto nel volgo parecchie parole ed espressioni
del loro dialetto. Perchè il volgo 1. era colpito da quella novità. 2 si faceva
un pregio o un capriccio d'imitare quei forestieri ec.) La letteratura, lingua e
costumi spagnuoli si divulgarono molto, quando la Spagna
acquistò una certa preponderanza in europa, e massime in
italia (dove restano ancora alcune parole derivate
credo allora dallo spagnuolo), ma l'influenza loro finì con quella della
nazione. Laonde sebbene la letteratura greca, massime al tempo di Cic. cioè
243
prima del secolo di Augusto, era
infinitamente superiore alla latina, e più divulgata e famosa, questa ragione
non basta. L'universalità di una lingua deriva principalmente, dalla regolarità
geometrica {e facilità} della sua struttura,
dall'esattezza, {chiarezza materiale,} precisione,
certezza de' suoi significati ec. cose che si fanno apprezzare da tutti, essendo
fondate nella secca ragione, e nel puro senso comune, ma non hanno che far
niente colla bellezza, ricchezza (anzi la ricchezza confonde, difficulta, e
pregiudica), dignità, {varietà, armonia,} grazia,
forza, evidenza, le quali tanto meno conferiscono o importano alla universalità
di una lingua, quanto 1. non possono esser sentite intimamente, e pregiate se
non dai nazionali, 2. ricercano abbondanza d'idiotismi, figure, insomma
irregolarità, che quanto sono necessarie alla bellezza e al piacere, il quale
non può mai stare colla monotonia, e collo scheletro dell'ordine matematico,
tanto nocciono alla mera utilità, alla facilità ec. La lingua greca sebbene
ricchissima ec. ec. ec. tuttavia era semplicissima nella sua nativa costruzione
(dico nativa, perchè poi fu alterata dagli scrittori più bassi che pretendevano
all'eleganza), laddove la latina era estremamente figurata, e la proprietà de'
suoi composti le dava una facilità e precisione materialissima di significati,
sebbene nuocesse non poco alla varietà la quale non può risultare
244 dalla copia de' composti ma delle radici, come nel
latino e italiano. E di queste pure la lingua greca abbonda sommamente, ma può
anche fare a meno della massima parte, e con poche radici, e infiniti composti
formare tutto il discorso. Tale infatti era il costume degli antichi scrittori
greci (Luciano e gli altri più bassi,
sono molto più vari e ricchi di radici). Perchè il vocabolario di ciascheduno,
osservandolo bene, si compone di molto poche parole, che ritornano a ogni
tratto, essendo raro che quegli antichi varino la parola o la frase per
esprimere una stessa cosa. Onde segue che siccome la lingua greca per se stessa
è immensa, così passando da uno scrittore all'altro, ritrovate un altro piccolo
vocabolario suo proprio, del quale parimente si contenta, e le espressioni
familiari di ciascuno autor greco sono moltissime e continue, ma diverse quelle
dell'uno da quelle dell'altro, quasi fossero più lingue. Dal che si può dedurre
che la lingua greca benchè ricchissima nondimeno con un piccolo vocabolario può
comporre tutto il discorso, e questi vocabolari possono esser molti e diversi,
cosa dimostrata dal fatto, e dal vedersi negli scrittori greci più che in quelli
d'altra lingua, che la facilità acquistata nel leggere e intendere uno
scrittore, non vi giova interamente nel passare a un altro, dovendovi quasi
familiarizzare con un altro linguaggio. Questo appartiene esclusivamente alla
lingua, ma anche bisogna
245 notare che la lingua greca
come l'italiana, si presta a ogni sorta di stili, e non ha carattere
determinato, ma lo riceve dal soggetto e dallo scrittore, laonde il suo
carattere varia, anche in questo senso, e per questo motivo, secondo le diverse
opere, come la lingua di Dante o
dell'Alfieri paragonata con quella
del Petrarca ec. (12.-13.-14.
7.bre 1820.). {{V. p. 1029.
fine.}}