17. Maggio. 1823.
[2694,1]
2694 Formata una volta una lingua illustre, cioè una
lingua ordinata, regolare, stabilita e grammaticale, ella non si perde più
finchè la nazione a cui ella appartiene non ricade nella barbarie. La durata
della civiltà di una nazione è la misura della durata della sua lingua illustre
e viceversa. E siccome una medesima nazione può avere più civiltà, cioè dopo
fatta civile, ricadere nella barbarie, e poi risorgere a civiltà nuova, ciascuna
sua civiltà ha la sua lingua illustre nata, cresciuta, perfezionata, corrotta,
decaduta e morta insieme con lei. Il qual rinnuovamento e di civiltà e di lingua
illustre, ha, nella storia delle nazioni conosciute, o vogliamo piuttosto dire,
nella storia conosciuta, un solo esempio, cioè quello della nazione italiana.
Perchè niuna delle altre nazioni state civili in antico, sono risorte a civiltà
moderna e presente, e niuna delle nazioni presentemente civili, fu mai civile
(che si sappia) in antico, se non l'italiana. Così niun'altra nazione può
mostrare due lingue illustri da
2695 lei usate e
coltivate generalmente, (come può far l'italiana) se non in quanto la nostra
antica lingua, cioè la latina, si diffuse insieme coi nostri costumi per
l'europa a noi soggetta, e fece per qualche tempo
italiane di costumi e di lingua e letteratura le Gallie,
le Spagne, la Numidia (che non
è più risorta a civiltà) ec.
[2695,1] Ma tornando al proposito nostro, siccome la
Grecia, in tutta la storia conosciuta, è la nazione
che per più lungo tempo ha conservato una civiltà, così la lingua greca illustre
è di tutte le lingue illustri conosciute nella storia antica o moderna, quella
che ha durato più lungo tempo. Sebbene nei secoli bassi la civiltà greca fosse
in gran decadenza, e similmente e proporzionatamente la lingua greca illustre,
nondimeno la Grecia non divenne assolutamente barbara, se
non dopo la presa di Costantinopoli, conservandosi almeno
qualche parte della civiltà greca, se
2696 non altro,
nella Corte di Bisanzio finchè questa durò. E fino a
questo medesimo termine durò ancora la lingua greca illustre, in maniera che gli
scrittori greci di questi ultimi tempi, come Teofilatto e quei della Storia Bizantina, sono per
la più parte intelligibili e piani senz'altro particolare studio, a tutti quelli
che intendono Omero ed Erodoto. Di modo che la lingua greca
illustre durò sempre una e sempre quella, per 23 secoli, cioè da Omero fino all'ultimo imperatore greco.
Durata maravigliosa: ma tale altresì fu quella della greca civiltà. Perchè la
grecia per niuna circostanza di tempi non divenne mai
interamente barbara finchè non fu {tutta} suddita de'
turchi; nè mai per tutto l'intervallo de' secoli antecedenti fu priva di
letteratura, neanche ne' peggiori secoli, come si può vedere, considerando anche
solamente la Biblioteca di Fozio
scritta nel nono secolo, e le varie opere di Tzetze
2697 scritte nel 12.o oltre il Violario
d'Eudocia Augusta, il Lessico di
Suida ec. opere che in niun'altra parte del mondo fuor
della parte greca, quando pur fossero state tradotte nelle rispettive lingue, si
sarebbero a quei tempi sapute neppure intendere, non che comporne delle
simili.
[2697,1] La lingua illustre latina nata tanto più tardi,
tanto più presto morì, perchè la civiltà italiana e quella di tutta
l'Europa latina per diverse circostanze finì
pochissimi secoli dopo nata. Già quando Costantino trasportò la corte in Bisanzio, la
grecia vinceva d'assai e per civiltà e per
letteratura il mondo latino, e massimamente l'italia. E
forse questa fu una delle cagioni che indussero Costantino a quel traslocamento, il quale fu poi
un'altra circostanza che contribuì a mantenere la civiltà in
grecia, e seco la lingua illustre (coltivata poi da
Temistio, da Libanio, da Giuliano imperatore da Giamblico, da Gregorio, da
Basilio ben superiori in
2698 grecità a quello che furono in latinità Girolamo, Agostino, Ambrogio, {Gregorio e Leone
Papi,}
Ammiano, Boezio), ed aiutò la corruzione ed estinzione della
civiltà e della lingua illustre latina, massime in
italia, dove mancò affatto una corte latina. La quale per
poco tempo fu nelle Gallie, e vi produsse Sidonio e Pacato e gli altri nobili letterati di que' tempi, e
fece {per allora} quella provincia superiore senza
comparazione per latinità, letteratura e civiltà alla stessa
italia che le avea compartite alle
Gallie. Finchè le conquiste fatte dai Barbari
distrussero affatto e la civiltà e la lingua illustre in tutta
l'Europa latina.
[2698,1] La nuova nostra lingua illustre fu sufficientemente
organizzata e stabilita nel 300 insieme colla nuova civiltà italiana. Questa
ancor dura e non s'è mai più perduta. Dunque anche la lingua italiana illustre
del 300, nè si è mai perduta, e dura ancora dopo ben cinque secoli: e quei
trecentisti che più si divisero dal parlar plebeo e dai particolari dialetti
{separati,} o (come in
2699
Dante) mescolati, quali sono il Petrarca, il Boccaccio, il Passavanti, il traduttore delle Vite de' Padri
[Domenico
Cavalca], eccetto alcune poche e sparse parole o frasi, sono
ancora moderni per noi, e la loro lingua è fresca e viva, come fosse di ieri.
{La differenza tra essi e noi sta quasi tutta nello stile
e ne' concetti.}
{+V. p. 2718.}
[2699,1] Al contrario le lingue non bene o sufficientemente
organizzate e regolate, variano continuamente e in breve si spengono quasi
affatto, e fanno luogo a lingue quasi nuove, anche durando il medesimo stato
della nazione, sia di civiltà (se pur vi fu mai civiltà non accompagnata da
lingua illustre), sia di maggiore o minore barbarie. La lingua provenzale benchè
scritta da tanti in poesia ed in prosa, pure perchè non ordinata sufficentemente
nè ridotta a grammatica, è tutta morta dopo brevissima vita. E degli stessi
trecentisti italiani, quelli che più s'accostarono al dir plebeo e provinciale,
fosse fiorentino o qualunque, siccome tanti scrittori fiorentini o toscani di
cronichette o d'altro, sono già da gran tempo scrittori di lingua per
grandissima
2700 parte morta; giacchè infinite delle
loro voci, frasi, forme e costruzioni più non s'intendono nelle stesse loro
provincie, o vi riescono strane, insolite, affettate, antiquate e invecchiate.
Vedi Perticari
Apologia di Dante, capo 35,
e specialmente p. 338-45. (17. Maggio. 1823.).