19. Sett. 1823.
[3471,2]
Alla p. 2916.
Questa uniformità di stile in europa viene ancora da
questo che tutte le moderne letterature son venute in principio dalla francia
(anche quel che v'ha nella letteratura {{e nello stile}}
italiano e spagnuolo di moderno); laonde e gli stili nelle diverse lingue {d'europa} sono conformi {tra loro}
di genere, perchè tutti derivati da una stessa fonte; e poca varietà
3472 hanno ciascun d'essi stili verso se medesimo,
perchè tutti derivati originariamente da uno stile che non ne ha veruna, e molti
modificantisi tuttavia su di questo.
[3472,1] Del rimanente, egli è tanto certo che l'arte dello
stile e del dire è propria esclusivamente degli antichi, quanto che l'arte del
pensare è propria esclusivamente de' moderni. Gli antichi non solo facevano di
quell'arte uno studio infinitamente maggiore che noi non facciamo; non solo ne
possedevano e conoscevano mille parti, mille mezzi, mille secreti che noi neppur
sospettiamo, e che appena e a gran fatica possiamo intendere quando e' gli
spiegano e ne parlano exprofesso (come Cic.
Quintil. ec.), non solo in somma la
detta arte era senza paragone più ampia, stesa, ricca, varia, distinta,
accurata, specificata, particolarizzata appo gli antichi che fra i moderni, ma
essa era quasi l'unico, e senza quasi il principale studio degli antichi che
pretendevano e aspiravano particolarmente al nome di scrittori, e massime di
letterati. Si osservino sottilmente le opere d'Isocrate, di Senofonte e di tali altri cento. Tutte parole in sostanza
3473 senza più. Gli antichi letterati, se ben
guardiamo, non si proponevano in conchiusione altro, che di dir bene,
correttamente, cultamente e artifiziosamente, quello che tutti già sapevano e
pensavano o facilissimamente avrebbero potuto e saputo pensare da se, ma pochi
sapevano in quel modo significare. E non per altro in verità divenivano famosi
che per questo (ancorchè forse nè gli altri nè essi se ne avvedessero, o
avessero avuta questa intenzione espressa e distinta e a se medesimi manifesta),
quando ottenevano il detto effetto. E non parlo già qui de' sofisti, i quali a
differenza degli altri, avevano e professavano apertamente la detta intenzione e
la facevano vedere; e questa si era l'unica diversità reale che passasse tra'
più antichi sofisti e i classici, e il genere di scrittura di questi e di
quelli. Gli uni affettavano di dir bene, e mostravano di affettarlo, gli altri
dicevano bene per arte, ma non mostravano di {proccurarlo
e} ricercarlo, {come però facevano.} Quanto
allo stile, questi e quelli differivano notabilmente. Quanto a'
3474 concetti, alle sentenze, all'invenzione, alla
condotta, all'ordine ec. non v'è divario alcuno. Si considerino attentamente i
due predetti (nemici ambedue de' Sofisti), e tutti quelli che fra gli antichi
cercarono e ottennero fama di bene scrivere; {#1. Aristotele p.
e. non la cercò, ne Teofrasto
ec.} e si vedrà che ne' loro concetti ec. tutto è sofistico. Nè anche
bisognerà molta attenzione ad avvedersene. In Senofonte, particolare odiator de' sofisti, tanto
perseguitati dal suo maestro, (v. la fine del
Cinegetico) e a lui per se
stesso abbominevoli; in Senofonte così
candido e semplice e naturale che par tutto l'opposto possibile del sofistico,
in Senofonte il sofistico de' concetti
dà subito nell'occhio, tanto ch'io lo sentii notare con maraviglia a persona
niente intendente nè di greco nè di letteratura antica, che avea non più che
gittato l'occhio su certa traduzione di quell'autore. E Socrate stesso, l'amico del vero,
il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri e de' fuchi e d'ogni
ornamento ascitizio e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se
non un sofista
3475 niente meno di quelli da lui
derisi? E per quanto poco gli antichi generalmente pensassero, non è possibile a
credere che i pensieri {e le osservazioni} di Socrate, di Senofonte, di Isocrate, di Plutarco (tanto più recente) e simili, non fossero al tempo di
costoro medesimi, comuni e triviali e volgari (sieno politici, filosofici,
morali o qualunque) o eccedessero la comune capacità di pensare, di trovare, di
concepire, di osservare. Ma pochi sapevano esprimerli a quel modo, come ho detto
di sopra.
[3475,1] È cosa osservata che le antiche opere classiche, non
solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono
avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur
mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non
accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la
traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto
vagliono quanto nella originale. I pensieri di Cicerone non sono certo così comuni, come quelli de' sopraddetti ec.,
nè furono de' più
3476 comuni al suo tempo, massime
tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere
sino al fine (o far ciò senza noia) qualunque è più concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua.
Che vuol dir ciò, {+che vuol dir questa
differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle
sieno,} se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il
più son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e
le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le più
ordinarie, le più trite, le più popolari cose del mondo. Veramente i pensieri
degli antichi, più o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro
forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto
occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle,
anzi neppure a guardarle, nulla insomma nè di singolare nè di pregevole. Nelle
opere moderne all'opposto tutto è pensieri e persona; stile nulla; vesti così
dozzinali che più non potrebbero essere. {+E perciò appunto è necessario che le opere classiche
antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioè quello
dello stile, perchè i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che
gli antichi ebbero nè possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere
il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson
lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse
opere dalle più volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche
ec.} So che la volgarità de' pensieri negli antichi, da molti è
considerata come relativa a noi, che sappiam tanto di più; ma
3477 io dico che si fa torto all'antichità, allo spirito e alla
ragione umana universale, se non si crede che questa volgarità, almen quanto a
grandissima parte d'essi pensieri, non sia assoluta, o non fosse volgarità anche
al tempo degli scrittori che gli esposero. (19. Sett. 1823.).