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3-6. Ottobre. 1823.

[3590,1]  Alla p. 3526. Gran difetto però è nella Gerusalemme l'aver voluto compensare e bilanciare insieme i meriti, l'importanza, le parti di Goffredo e quelle di Rinaldo, e l'interesse per l'uno e per l'altro. Da ciò segue che l'interesse è  3591 veramente doppio, come nell'iliade, ma non, come in questa diverso. E perciò appunto, contro quello che a prima vista si potrebbe giudicare, l'{uno} interesse nuoce all'altro e l'indebolisce; voglio dire perchè l'interesse è altro senza esser diverso, cioè concorre nella medesima parte, ch'è la cristiana, ed al medesimo fine, ch'è il buon esito dell'impresa de' Cristiani. Due interessi affatto diversi, e lontani l'uno dall'altro, possono non pregiudicarsi nè indebolirsi l'un l'altro. E così accade ne' due interessi d'Ettore e d'Achille, i quali cadono sopra due contrarie parti, la greca e la troiana, e l'uno nasce dalla sventura, l'altro dalla felicità. Ma due interessi posti strettamente a lato l'uno dell'altro, prodotti ambedue dalla fortuna ec. miranti ambedue ad un medesimo fine, non possono non farsi ombra e non impedirsi scambievolmente. Ed essi non producono il bello effetto del contrasto di passioni nell'animo de' lettori, e gli altri bellissimi e poetichissimi risultati che nascono ancora dalla lettura dell'iliade, o nascevano per lo meno, al tempo e ne' lettori o uditori per li quali ella fu composta.
[3592,1]   3592 Questa duplicità d'interesse, benchè paia non ripugnare all'unità (e così credette il Tasso, il quale si persuase poter con essa servire alla varietà e schivare l'uniformità, senza punto violar l'unità), o benchè paia, se non altro, ripugnare alla perfetta unità molto meno che non faccia la duplicità d'interesse nell'iliade, nuoce però molto più di questa al fine per cui l'unità si prescrive. Il qual fine si è che l'interesse nell'animo de' lettori non s'indebolisca col dividersi nè col distrarsi, e sia più forte come rivolto a un segno solo. Ora, come ho mostrato, la duplicità d'Eroe nella Gerusalemme indebolisce l'interesse nell'animo de' lettori, molto più che non faccia nell'iliade. E ciò appunto perchè quella duplicità concorre in una medesima parte, ed è rivolta a un segno medesimo, e perchè i due interessi son troppo vicini e del tutto concordi, e sono due, senza esser diversi. Nella iliade dove essi sono tutto l'opposto, essi non solo s'indeboliscono meno, ma non s'indeboliscono punto, o certo l'interesse totale risultante dal poema nell'animo de' lettori non pur non è indebolito dalla duplicità, ma a molti doppi  3593 accresciuto, e in buona parte assolutamente prodotto. Onde si confermano le mie osservazioni pp. 3095. sgg. sulla necessità di un interesse veramente doppio, e di due interessi diversi, alla maniera che si vede nell'iliade; e sul danno di quella unità che i precettisti hanno prescritta e che gli epici posteriori ad Omero si sono proposta. Perocchè, come ho mostrato in questo discorso, essa unità nuoce al suo medesimo fine, che è di far che l'interesse e l'effetto totale nel lettore sia più vivo essendo uno e indiviso, e mirando a un sol segno; chè altrimenti la prescritta unità non avrebbe ragione alcuna, ed il precetto sarebbe arbitrario, laddove il poeta dev'esser padrone della sua libertà in quanto l'esserlo e il disporne a suo modo non ripugna alla natura, e alla qualità {e debito} del poema epico. L'unità dunque da' precettisti prescritta nel poema epico, pregiudicando e ripugnando al suo medesimo fine, è qualità {+non pur dannosa, ma} vana ed assurda in se stessa e ne' proprii termini.
[3593,1]  Ritornando al Tasso, molto ingegnoso è quel modo in ch'egli proccura, quasi espressamente prevenendo le obbiezioni de' rettorici, di mostrar  3594 l'accordo de' suoi due Eroi nella sua opera, e che dal loro esser due, non nasca nel suo poema duplicità d'interesse. Parla l'anima di Ugone a Goffredo, e dice di Rinaldo (c. 14. stanza 13.) Perchè-lece. * Colle quali parole {+poste nell'altrui bocca} il Tasso viene molto chiaramente a dire ai pedanti e a' detrattori in persona propria: Gli eroi del mio poema son due, ma l'interesse è un solo, perchè una è l'impresa e {uno} il fine a cui servono entrambi. Ma questa distinzione metafisica, accettata ancora e predicata da' precettisti (indipendentemente dal negozio del Tasso), e da molti ancora di buon giudizio, non si avvera mai nell'animo de' lettori {#1. Dicono i precettisti che le persone {d'ugual merito} possano esser più, purchè l'interesse sia un solo (così ne' drammi, così nell'epopea {ec.}). E si pregiano molto di questa distinzione, come acuta e sottile e ben giudiziosa. Ora i due suddetti termini non possono stare insieme.} Due Eroi d'ugual merito, o che servano alla stessa impresa, o che ad imprese diverse, fanno nell'animo de' lettori due distinti interessi (che tanto più s'offuscano l'uno coll'altro, quanto men sono diversi, e più tra loro somiglianti od uguali, e concordi): perocchè questi due Eroi sono sempre per verità, nell'animo de' lettori, due ben separate persone, e non già una sola, come vorrebbe il Tasso, della quale l'un degli Eroi sia capo, l'altro mano; o {sieno} che che si voglia.
[3595,1]   3595 Provasi questa verità con effetto nella lettura della Gerusalemme. Ma siccome è soltanto supponibile, come il punto matematico, e non mai però vero il caso di un uomo che intra duo cibi distanti e moventi d'un modo, innanzi si muoia di fame che e' si rechi a' denti l'un d'essi cibi * (Dante Par. 4.), e tra due o più cose da scegliere, l'uomo trova sempre, e trovò, alcuna diversità che l'inclini e determini ad elegger l'una, e l'altra rifiutare; {#1. o quando non sia in sua mano l'eleggere, o non si tratti di sceglier coll'opera, è impossibile che egli coll'affetto (sia il desiderio, sia l'amore, sia il compiacimento, sia qualunqu'altro) non s'inclini più ad una cosa ch'a un'altra, o più da una che da un'altra non fugga.}; così non potendo accader che di due {o più} Eroi, quanto si voglia pari di merito, l'uno, per qualsiasi cagione, non prevaglia nell'animo de' lettori, massime quando il loro merito sia di specie diverso; però è ben lungi che l'interesse nella Gerusalemme (piccolo e quasi morto com'egli è, secondo che ho detto altrove pp. 3147-48, e seppur v'è interesse alcuno) sia quanto al lettore con esatta parità di misura diviso tra Goffredo e Rinaldo. Ben è vero che l'uno di questi Eroi nuoce all'interesse dell'altro, ma pure, se il lettor prova nella Gerusalemme qualche interesse, ei non manca di scegliere tra' due Eroi quello in che egli ne ponga la maggior parte, e forse anche  3596 tutto. Or questo Eroe prescelto (e me n'appello al testimonio di qualsivoglia lettore della Gerusalemme), contro l'intenzione del poeta, o certo contro il manifesto scopo del poema, e quindi contro il suo debito, e in pregiudizio del dovuto effetto e dell'unità (molto più che nell'iliade ella, e lo scopo e il debito della qualità del poema non sono pregiudicati); questo eroe, dico, è Rinaldo; laddove tutte le dette cose volevano, prima, che l'interesse fosse uguale, anzi indiviso {tra i due;} poi per lo meno (essendo questo veramente per natura impossibile {#1. perchè {da una parte} la duplicità degli Eroi non si può palliare ed eludere, come vorrebbe il Tasso, in modo veruno, sia quale si voglia, nè fare che il lettore se la dissimuli, considerando le due persone come una sola; dall'altra parte non si può togliere che tra' due o più, il lettore non iscelga e non ponga l'uno innanzi all'altro, e se son più, l'un dopo l'altro per gradi} ch'ei fosse maggiore per Goffredo.
[3596,1]  Ma Goffredo (e questo è un altro grandissimo, {ed intimo,} benchè poco o non mai osservato difetto della Gerusalemme, e benchè colpa della natura de' tempi moderni {e delle raffinate idee,} anzi che del Tasso), Goffredo è personaggio pochissimo interessante, e forse nulla, perchè i suoi pregi e 'l suo valore son troppo morali. Egli è persona troppo seria, troppo poco, anzi niente amabile, benchè per ogni parte stimabile. E come può essere amabile un uomo assolutamente privo d'ogni passione, e tutto ragione? {+un carattere freddissimo?} Difficilmente ancora può farsi amare chi non è o non apparisce  3597 capace per niun modo di amare. Ora il Tasso gli fa un pregio di questa incapacità. (c. 5. st. 61-4.) Achille è interessantissimo perch'egli è amabilissimo. Ed è amabilissimo non solamente a causa del suo sovrano valor personale, ma eziandio per la stessa ferocia, {+per la stessa intolleranza, per la stessa suscettibilità, veemenza ed impeto di carattere e di passioni, superbia, carattere e maniere disprezzanti (veri mezzi di farsi amare, e forse soli ec.) iracondo, incapace di sopportare un'ingiuria, soverchiatore, un poco étourdi, volage ec.} e per lo stesso capriccio, qualità che congiunte colla gioventù e colla bellezza, e di più col coraggio, {la forza e i tanti altri pregi, fortune, circostanze, e meriti reali di Achille,} sono sempre amabilissime, e fanno amatissimo chi le possiede. Ciò avviene anche oggidì {e sempre avverrà. (E veramente Achille è un personaggio completamente amabile: non sarebbe tale se mancasse dei detti difetti).} Nondimeno s'elle si trovassero oggi in una persona civile in quel grado in cui Omero le dipinge in Achille, esse parrebbero certamente eccessive, e mal riuscirebbero; ma ben bisogna distinguere i tempi antichissimi da' moderni, e la misura conveniente a nazioni semirozze da quella che può star bene nelle civili. {+Del resto poi il poema epico in qualunque secolo dee proporre un personaggio che sia singolare, e le cui qualità eccedano le ordinarie anche quanto alla misura. Questo personaggio non dev'esser solamente amabile ed ammirabile ma mirabilmente amabile, e singolarmente ammirabile.} Il Tasso si guardò bene dal dar negli eccessi per questa parte, rispetto a Rinaldo. Ei gli diede le dette qualità, per le quali lo fece amabile (mentre Goffredo non lo è) e perchè amabile, interessante assai più di Goffredo (quanto può essere quel leggiero interesse che si prende per uomini non isventurati, e in impresa che {non} può più starci a cuore, secondo il già detto in tal proposito. pp. 3126. sgg. pp. 3147-48  3598 Se il Tasso eccedette in Rinaldo, ciò fu piuttosto dal lato contrario. Cioè nel farlo ancor troppo ragionevole, troppo pio e devoto. Colle quali qualità ei si credette di ornarlo e renderlo più interessante, e si stimò in dovere di attribuirgliele, e facendo altrimenti avrebbe creduto di peccare, non solo contro la morale o la religione, ma contro la poesia e contro il buon giudizio e contro la proprietà del poema epico. Egli arriva sino a farlo confessare e far la sua penitenza sul monte Oliveto, prima di andare all'impresa del bosco (c. 18. stanza 6-17.). Egli avrebbe creduto lasciare una gran macchia nell'onor di Rinaldo e una grande mancanza nella stima de' lettori verso di lui, s'e' non gli avesse fatto purgar la coscienza ed assolverlo de' peccati dell'uccision di Gernando e delle fornicazioni con Armida. Contuttociò il carattere di Rinaldo riesce bene amabile. Ma Goffredo non ha nè ferocia, nè capriccio, nè impeto, nè passione veruna; non è giovane, non risplende per bellezza; il suo coraggio e la sua prodezza di cuore e di mano piuttosto si afferma di quello che si {dimostri e si} faccia operare; i suoi pregi eroici  3599 si riducono ad una somma pietà e devozione e {cura e} zelo religioso (ma non superstizioso nè passionato in niun modo) e quasi santità, {+1. sì di pensieri, sì di parole e sì di fatti} che lo fanno degno di visioni celesti e di conversar cogli Angeli e co' Beati, e d'impetrare o far miracoli (v. fra gli altri luoghi c. 13. st. 70 e segg.), e ad un eccellente senno; qualità niente amabili, perchè tutte, per così dire, immateriali. Adunque Goffredo non è amabile, ma stimabile solamente. Adunque non è che pochissimo interessante o nulla; massime oggidì ch'è svanito l'interesse dell'impresa, come ho già detto a suo luogo p. 3147, e quel zelo o fanatismo di religione, nel quale il Tasso lo fa singolare.
[3599,1]  Difficilmente si può concepire {vivo} interesse per una persona, non solo finta, ma neppur vera e viva, senza una specie d'amore. Parlo di quello interesse che altrove ho distinto, cioè che ne' poemi o romanzi o storie o simili non nasce dalla pura curiosità, e nella vita non nasce da qualche cosa di cotale o dalla cura de' proprii vantaggi (il quale interesse sarebbe p. se, non per altrui), o da che che si voglia di simil fatta. La semplice stima non ha sede nel cuore, e non tocca in alcun modo al  3600 cuore. Or l'interesse così inteso come noi dobbiamo {e vogliamo} intenderlo in questo discorso, o dev'esser tutto nel cuore, o il cuore non può far che non v'abbia parte. Si può veder nella vita, che non si prova interesse efficace e sensibile per persona alcuna, {il quale} risieda al tutto fuori del cuore. O gratitudine, o naturale consanguineità, o simpatia o altra cosa qualunque che produca tale interesse, il cuore v'ha sempre parte. E dov'ei non l'ha, o quello non è vero interesse, ma egoismo (come chi s'interessa per chi gli è utile o piacevole, o tale lo spera, e ci s'interessa con relazione diretta {e immediata} a se medesimo e al suo proprio vantaggio), o è ben debole, e per lo più inefficace, come quello ch'è prodotto dal solo dovere in quanto dovere, sia di natura sia di che che si voglia, o da altra tale cagione. Or quello interesse ch'è tutto nel cuore, o dove il cuore ha parte, o è amore o specie di amore. Non può dunque il poeta render molto interessante colui ch'e' non sa o non si propone di rendere amabile. E proprio della poesia il destar la meraviglia e pascerla. Ma oltre che questa passione  3601 non può esser molto durevole, e quando pure lo fosse, il maraviglioso, s'altro non l'accompagna, presto sazia; l'interesse che può concepirsi per una persona solamente ammirabile, non può esser che debolissimo. Si può dir di questo interesse appresso a poco quel medesimo che abbiam detto dell'interesse prodotto e sostentato dalla curiosità (il quale può anche esser più durevole di quello, perchè la curiosità può durar molto più della meraviglia, la quale spesso, e ne' poemi forse sempre, si è l'obbietto della curiosità, ch'è specie di desiderio, e l'obbietto conseguito, per poco spazio diletta). E tornando a mirar nella vita, possiamo veder tuttodì quanto sia debole e inefficace {e passeggero} l'interesse che producono l'ammirazione o la stima ancorchè somma; seppure interesse alcuno, degno veramente di tal nome, è mai prodotto da queste qualità. Or dunque volgendoci a' poemi epici veggiamo {{nell'Odissea}} che Ulisse, molto stimabile, in molte parti ammirabile e straordinario, in nessuna amabile, benchè sventurato per quasi tutto il poema, niente interessa. Ei non è giovane, {+anzi n'è ben lontano,} benchè Omero si sforza di  3602 farlo apparire ancor giovane e bello per grazia speciale degli Dei, di Minerva ec. o per una meraviglia (che niente ci persuade perchè inverisimile), piuttosto che per natura, anzi contro natura. Ma il lettore segue la natura, malgrado del poeta e Ulisse non gli pare nè giovane nè bello. Le qualità nelle quali Ulisse eccede, sono {in gran parte altrettanto} {forse} odiose {quanto} stimabili. La pazienza non è odiosa, ma tanto è lungi da essere amabile, che anzi l'impazienza si è amabile. {#1. Certamente l'eccesso della pazienza, massime nella conversazione e nelle tenui relazioni giornaliere degli uomini si può dir che sia odiosa, o certo dispiacevole, o almen dispregevole, e lo spregevole è non solo inamabile, ma quasi odioso, e chi è disprezzato, oltre che non può essere amato nè interessare, difficilmente è senza un certo odio o avversione. La pazienza è di tutte le virtù forse la più odiosa o la meno amabile, e ciò massimamente doveva essere presso gli antichi, e presso noi ancora, quando la consideriamo in personaggi e circostanze antiche, come in Ulisse.} Insomma ne nasce che Ulisse malgrado delle sue tante e sì grandi e sì varie e sì nuove e sì continue sventure, e malgrado ch'ei comparisca misero fino quasi all'ultimo punto, non riesce per niun modo amabile. E per tanto ei non interessa. Ulisse è personaggio maraviglioso e straordinario. I pedanti vi diranno che ciò basta ad essere interessante. Ma io dico che no, e che bisogna che a queste qualità si aggiunga l'essere amabile, e che quelle conducano e cospirino a produr questa, o, se non altro con lei, sieno condite; e che il protagonista sia maravigliosamente e straordinariamente amabile, cioè straordinario e maraviglioso nell'  3603 amabilità, o per lo meno tanto amabile quanto maraviglioso e straordinario.
[3603,1]  Da questi discorsi si raccoglie essere un sostanziale e capitale (benchè non avvertito) difetto della Gerusalemme, che il suo principale Eroe, o quello che tale doveva essere, non solamente non riesca per niuna parte amabile, ma il suo carattere e le sue azioni sieno state espressamente delineate e composte in modo ch'ei non dovesse riuscire amabile, o senza l'intenzione di renderlo tale; essendosi il Tasso contentato di farlo ammirabile e fra tutti sommamente (insieme con Rinaldo) stimabile, e straordinario per qualità solamente stimabili. Goffredo è appresso a poco conforme ad Ulisse nel genere di eroismo e di superiorità (salva la differenza de' tempi, de' costumi e circostanze ec. tanto d'ambo gli Eroi, quanto de' due poeti): conforme, dico, ad Ulisse, eccetto nell'odiosità, la quale ancora non so bene se manchi affatto al carattere di Goffredo, e se possa mancare ad un uomo incapace affatto di passioni, privo affatto d'illusioni, tutto ragione, austerissimo ne' costumi, nelle azioni, nella disciplina militare o civile o privata ec. nelle  3604 massime di morale, di condotta ec. austero verso se e verso gli altri, verso i soggetti ec. irreprensibile in ogni cosa, grave, malinconico, e quasi tristo e accigliato ec. ec. Non so, dico, se il lettore della Gerusalemme lasci di concepire nel suo secreto, se non odio, pure una certa mal conosciuta, mal distinta, non confessata alienazion d'animo ed avversione p. Goffredo.
[3604,1]  Richiedendosi necessariamente, come s'è mostrato, al poeta epico (e similmente al drammatico, al romanziere ec. ed anche allo storico) ch'egli renda in alcun modo, qualunque siasi, amabile colui ch'e' voglia rendere interessante, e grandemente amabile, colui ch'abbia ad essere sommamente interessante; è da considerare che a tal effetto giova grandissimamente la sventura, la quale accresce a più doppi l'amabilità ove la trova, e rende spesse volte amabile chi non lo è, ancorchè sia meritevole delle disgrazie; molto più quando e' ne sia immeritevole. L'uomo poi amabilissimo, che sia indegnamente sventuratissimo, è la più amabil cosa che possa concepirsi.  3605 L'uomo amabile e sventurato meritatamente, è sempre molto più caro e compatito e interessante, che il non amabile e immeritatamente sventurato, il quale può non esser nulla compatito e nulla interessare (e così spessisimo accade), quando eziandio le sue sventure sieno estreme, e quelle dell'altro menome, nel qual caso ancora, colui non può mancare d'esser compatito e riuscir più amabile dell'ordinario. Ma non entriamo in tante sottigliezze e distinzioni. La infelicità nel principal Eroe dell'impresa ch'è il {proprio} soggetto del poema, non può aver luogo, se non come accidentale, e risolvendosi all'ultimo in felicità, secondo che a suo luogo ho spiegato e mostrato pp. 3097. sgg. Per tanto queste osservazioni confermano grandemente il mio discorso sulla necessità di raddoppiar l'interesse nel poema epico, a voler ch'esso poema riesca sommamente interessante e produca grandissimo effetto; e giustificano ed esaltano il fatto di Omero nell'iliade. Perocchè non dandosi sommo interesse senza somma amabilità, e la sventura essendo principalissima  3606 fonte di amabilità, e quasi perfezione e sommità di essa, e non potendo una grandissima e piena e finale infelicità aver luogo nell'eroe dell'impresa, resta che sia bisogno, a far che il poema sia sommamente interessante, duplicarne formalmente l'interesse, e diversificar l'uno interesse dall'altro, introducendo un altro eroe sommamente amabile, e sommamente sventurato, dalla cui finale sventura sia prodotto {#1. e intorno ad essa si aggiri, e ad essa sempre tenda e sia spinto, e in vista di essa per tutto il poema sia proccurato,} questo secondo interesse di cui parliamo, il quale renda il poema sommamente interessante e capace di lasciar l'interesse nell'animo de' lettori per buono spazio dopo la lettura ec. Questo è ciò che fece Omero nell'iliade, nella quale Ettore è per le sue proprie qualità ed azioni, e per la sua somma, piena e finale sventura, sommamente amabile, e quindi sommamente interessante. Quanto ad Achille, ch'è l'altro protagonista, e l'Eroe dell'impresa (così lo chiameremo per esser brevi), Omero non potea farlo sfortunato e infelice, massime considerando la natura e le opinioni di quei tempi, che riponeano il sommo pregio degli uomini nella fortuna, ed anche ragionando (nel modo che altrove ho  3607 detto pp. 3097. sgg. pp. 3342-43), dalla fortuna o buona o ria argomentavano o la malvagità o la bontà, o il merito o il demerito di ciascuno, non istimando che nè la sventura nè la buona sorte potesse toccare agl'immeritevoli. Pur quanto gli fu possibile, Omero non mancò di cercar di conciliare ad Achille, cogli altri affetti i più favorevoli, anche l'affetto dolcissimo della pietà, madre o mantice dell'amore. Ciò non solo coll'accidentale sventura della morte del suo amico Patroclo e con altre tali, ma col mostrare eziandio, come in lontananza, la finale sventura e l'infelice destino del bravo Achille, che per immutabile decreto del fato aveva a morire nel più bel fiore degli anni, {{e questo in}} prezzo della sua gloria, ch'egli scientemente {e liberamente aveva scelta e preposta,} insieme con una morte immatura, a una vita lunga e senza onore. Tratto sublime che perfeziona il poetico e l'epico del carattere di Achille, e della sua virtù, coraggio, grandezza d'animo, ec. e che finisce di renderlo un personaggio sommamente amabile e interessante.
[3607,1]  Il carattere di Enea partecipa molto de' difetti di quel di Goffredo. Egli ha più fuoco, ma e'  3608 non lascia però di essere alquanto freddo (e un carattere freddo sì nella vita sì ne' poemi lascia freddo e senza interesse il lettore, o chi ha qualunque relazione reale con esso lui, o di lui ode o pensa); egli ha o mostra più coraggio personale e valor di mano, ma queste qualità ci appariscono in lui come secondarie, e poco spiccano, e tale si è l'intenzion di Virgilio, il quale volle che ad esse nel suo Eroe prevalessero altre qualità, che non molto conducono, o piuttosto nuocono all'essere amabile. La pazienza in lui è simile a quella di Ulisse. La prudenza e il senno soverchiano ed offuscano le altre sue doti, non quanto in Goffredo, ma tuttavia troppo risaltano, e troppo sono superiori all'altre sue qualità, e troppo è maggiore la parte ch'esse hanno. Troppa virtù morale, poca forza di passione, troppa ragionevolezza, troppa rettitudine, troppo equilibrio e tranquillità d'animo, troppa placidezza, troppa benignità, troppa bontà. Virgilio descrive divinamente l'amor di Didone per lui: da questo, e quasi da questo solo, ci accorgiamo ch'egli è ancor giovane e bello; e sebben questo in lui non ripugna alla  3609 natura e al verisimile naturale, come in Ulisse, pur tanta è la serietà dell'idea che Virgilio ci fa concepir del suo Eroe, che la gioventù e la bellezza ci paiono in lui fuor di luogo, e quasi ci giungono nuove e ci fanno meraviglia (la meraviglia poetica non dev'esser certo di questo genere), e quasi non ce ne persuadiamo, benchè sieno naturalissime; o per lo meno vi passiamo sopra, senza valutarle, senza fermarci il pensiero, senza formarne l'immagine, senza considerarli come pregi notabili di Enea, perchè Virgilio avrebbe creduto quasi far torto al suo eroe ed a se stesso, s'egli ce gli avesse rappresentati come pregi veramente importanti e degni di considerazione, e notabili in lui fra le altre doti. E così mentre Virgilio si ferma e si compiace in descrivere la passion di Didone e i suoi vari accidenti, progressi, andamenti, ed effetti; dà bene ad intendere ch'ella non era senza corrispondenza, e nella grotta, come ognun sa quel che Didone patisse, così niun si può nascondere quello ch'Enea facesse; ma Virgilio a riguardo d'Enea e della sua passione  3610 parla così coperto, anzi dissimulato, (dico della passione, e non di ciò che ne segue d'inonesto a descrivere, nel che giustamente egli è copertissimo anche rispetto a Didone), anzi serba quasi un così alto silenzio, che e' non mostra essa passione se non indirettamente e per accidente, e in quanto ella si congettura e si lascia supporre per necessità da quel ch'ei narra di Didone, e sempre volgendosi alla sola Didone. E par che volentieri, se si fosse potuto, egli avrebbe fatto che il lettore non istimasse Enea per niun modo tocco dalla passion dell'amore (di donna pur sì alta e sì degna e sì magnanima e sì bella e sì amante e tenera), e giudicasse che Didone avesse ottenuto il piacer suo, senza che quegli avesse conceduto. E chi potesse così stimare seconderebbe il desiderio di Virgilio. Tanto egli ebbe a schivo di far comparire nel suo Eroe {un errore,} una debolezza, laddove non v'è cosa più amabile che la debolezza nella forza, nè cosa meno amabile che un carattere e una persona senza debolezza veruna. E tanto egli giudicò che dovesse nuocere  3611 appo i lettori alla stima non solo, ma all'interesse pel suo Eroe (che mal ei confuse colla stima), il concepirlo e il vederlo capace di passione, capace di amore, tenero, sensibile, di cuore. Come se potesse interessare il cuore chi non mostra, o dissimula a tutto potere, di averlo, o di averlo capace della più dolce, più cara, più umana, più potente, più universale delle passioni, che si fa pur luogo in chiunque ha cuore, e maggiormente in chi l'ha più magnanimo, e similmente ancora ne' più gagliardi ed esercitati di corpo, e ne' più guerrieri (v. Aristot. Polit. l. 2. ed Flor. 1576. p. 142.); e che {sovente} rende ancora amabili chi la prova, eziandio agl'indifferenti, al contrario di quel che fanno molte altre passioni per se stesse. Il giudizio del Tasso, rispetto a Rinaldo, fu in questa parte migliore assai di quel di Virgilio. Egli non si fece coscienza di mostrare Rinaldo soggetto alle passioni, alle debolezze e agli errori umani e giovanili. Egli non dissimula i suoi amori descrivendo quelli di Armida per lui, ma si ferma e si compiace in descrivergli anch'essi direttamente. Egli non ha neppure riguardo di farlo  3612 assolutamente reo di un grave, benchè perdonabile misfatto cagionato da una passione propria e degna dell'uomo, e quasi richiesta al giovane, e più al giovane d'animo nobile, e pronto di cuore e di mano, dico dall'ira mossa dalle contumelie. Passione, che, massime colle dette circostanze, suol essere amabilissima, malgrado i tristi effetti ch'ella può produrre, e malgrado ch'ella soglia altresì essere biasimata (perocchè altro è il biasimare altro l'odiare), e che i filosofi o gli educatori prescrivano di svellerla dall'animo o di frenarla. E certo in un giovane, {e quasi anche generalmente,} ella è molto più amabile che la pazienza. E ciò si vede tuttodì nella vita. Però il carattere di Rinaldo è molto più simile ad Achille, e molto più poetico, amabile e interessante che quello di Enea. O si può, se non altro, dire con verità che Rinaldo è tanto più amabile di Enea, quanto Enea di Goffredo. Del resto Enea ha passato e passa molte sciagure prima di giungere a stato felice. Ma la compassione ch'elle cagionano non è grande, perch'ella cade sopra un soggetto che il poeta ha creduto di dover fare più  3613 stimabile che amabile; e perchè in oltre non si compatisce molto colui che nella sciagura e nel male mostra quasi di non soffrire.
[3613,1]  Da tutte queste considerazioni risulta che l'iliade oltre all'essere il più perfetto poema epico quanto al disegno, in contrario di quel che generalmente si stima, lo è ancora quanto ai caratteri principali, perchè questi sono più interessanti che negli altri poemi. E ciò perchè sono più amabili. E sono più amabili perchè più conformi a natura, più umani, e meno perfetti che negli altri poemi. Gli autori de' quali, secondo la misera spiritualizzazione delle idee che da Omero in poi {hanno} prodotta e sempre vanno accrescendo i progressi della civiltà e dell'intelletto umano, hanno stimato che i loro Eroi dovessero eccedere il comune non nelle qualità che natura {+mediocremente dirozzata e indirizzata} produce {e promuove} (le quali dalle nostre opinioni sono in gran parte e ben sovente considerate per vizi e difetti), ma in quelle che nascono e sono nutrite dalla civiltà e dalla coltura e dalle cognizioni e dall'esperienza  3614 e dall'uso degli affari e della vita sociale, e dalla sapienza e saviezza, {+e dalla prudenza} e dalle massime morali e insomma dalla ragione. Or quelle qualità sono amabili, queste stimabili, e sovente inamabili ed anche odiose. Gli Eroi dell'iliade sono grandi uomini secondo natura, gli eroi degli altri poeti epici sono grandi secondo ragione; le qualità di quelli sono più materiali, esteriori, appartenenti al corpo, sensibili; le qualità di questi sono tutte spirituali, interiori, morali, proprie dell'animo, e che dall'animo solo hanno ad esser concepite, {e valutate.} Dico tutte, e voglio intender le principali, e quelle che formano propriamente e secondo l'intenzion de' poeti, il carattere di tali Eroi; perocchè se i poeti v'aggiunsero anche i pregi più esteriori e corporali, gli aggiunsero come secondarii e di minor conto, e vollero e ottennero che nell'idea de' lettori essi fossero offuscati dai pregi morali, e poco considerati a rispetto di questi; e in verità essi son quasi dimenticati, e, come ho detto in proposito di Enea, paion quasi fuor di luogo, e poco convenienti con gli altri pregi, o pare fuor di luogo  3615 il farne menzione e il fermarcisi, come cose degne da esser notate ed espresse. {Queste considerazioni hanno tanto maggior forza in favore di Omero, e in favore della nostra opinione che vuol che si segua il suo esempio, quanto che è natura della poesia il seguir la natura, e vizio grandissimo e dannosissimo anzi distruttivo d'ogni buono effetto, e contraddittorio in lei, si è il preferire alla natura la ragione. La mutata qualità dell'idea dell'Eroe perfetto ne' poemi posteriori all'iliade, proviene da quello stesso principio che poi crescendo, ha resa la poesia allegorica, metafisica ec. e corrottala del tutto, e resala non poesia, perchè divenuta seguace onninamente della ragione, il che non può stare colla sua vera essenza, ma solo col discorso misurato e rimato ec. Puoi vedere la p. 2944.sgg.} E sembra, ed è vero, che i poeti l'han fatto più tosto per usanza e per conformarsi alle regole ed agli esempi, che perchè convenisse al loro proposito e al loro intento, e perchè la natura e lo spirito de' loro poemi e de' loro personaggi lo richiedesse, anzi lo comportasse. Or, siccome l'uomo in ogni tempo, malgrado qualsivoglia spiritualizzazione e qualunque alterazione della natura, sono sempre mossi {e dominati} dalla materia assai più che dallo spirito, ne segue che i pregi materiali e gli Eroi, dirò così, materiali dell'iliade, riescano e sieno per sempre riuscire più amabili e quindi più interessanti degli Eroi spirituali e de' pregi morali divisati negli altri poemi epici. E che Omero, ch'è il cantore e il personificatore della natura, sia per vincer sempre gli altri epici, che hanno voluto essere (qual più qual meno) i cantori e i personificatori della ragione. (Perocchè veramente gli Eroi dell'iliade sono il tipo del perfetto grand'uomo naturale, e quelli degli altri poemi epici  3616 del perfetto grand'uomo ragionevole, il quale in natura e secondo natura, è forse ben sovente il più piccolo uomo).
[3616,1]  Del resto par che Omero medesimo sacrificasse e fosse strascinato dalla crescente ragione e civiltà, quando avendo nell'iliade modellato il perfetto guerriero con sì felice successo, volle poi nella vecchiezza (per quanto si dice dell'epoca dell'Odissea) modellare il perfetto politico; {un guerriero giovane, un maturo e quasi vecchio politico.} certo con poco felice riuscimento, e men felice di quello degli altri poeti che lui seguirono, i quali fecero i loro Eroi poco amabili, dov'egli il fece poco meno che odievole. E ben era ragione che così fosse, perchè quella era ancor l'epoca della natura, e troppo imperfetta era la ragione {perch'altri potesse con buono esito} modellare un carattere che avesse ad esser perfetto secondo lei, ed avere in lei il principio e la ragion della sua bontà e perfezione, ossia del suo esser buono e lodevole ec. (3-6. Ottobre. 1823.). {+V. p. 3768.}