6. Nov. 1823.
[3842,2] Sempre che l'uomo pensa, ei desidera, perchè tanto
quanto pensa ei si ama. Ed in ciascun momento, a proporzione che la sua facoltà
di pensare è più libera ed intera e {con minore}
impedimento, e che egli più pienamente ed intensamente la esercita, il suo
desiderare è maggiore. Quindi in uno stato di assopimento, di letargo, di {certe} ebbrietà, {#1. V. la pag. 3835.
seg. e 3846.
fine-8.} nell'accesso e recesso del sonno, e in simili stati in
cui la proporzione, la somma, la forza del pensare, l'esercizio del pensiero, la
libertà e la facoltà attuale del pensare, è minore, più impedita, scarsa ec.
l'uomo desidera meno vivamente a proporzione, il suo desiderio, la forza, {la} somma di questo, è minore; e perciò l'uomo è
proporzionatamente meno infelice. Quanto si stende quell'azione della mente ch'è
inseparabile dal sentimento della vita, e sempre proporzionata
3843 al grado di questo sentimento, tanto, e sempre
proporzionato al di lei grado, si stende il desiderio dell'uomo e del vivente, e
l'azione del desiderare. Ogni atto {libero} della
mente, ogni pensiero che non sia indipendente dalla volontà, è in qualche modo
un desiderio {attuale,} perchè tutti cotali atti e
pensieri hanno un fine qualunque, il quale dall'uomo in quel punto è desiderato
in proporzione dell'intensità ec. di quell'atto o pensiero, e tutti cotali fini
spettano alla felicità che l'uomo {e il vivente} per
sua natura sopra tutte le cose necessariamente desidera e non può non
desiderare. (6. Nov. 1823.).