Bologna. 21. Sett. 1826.
[4201,9] ᾽Oβελίας - oublie. V. Casaub.
ad Athenae. l. 3. c. 25.
[4201,10] Spesse volte in occasioni di miei dispiaceri,
anche grandi, io ho dimandato a me stesso: posso io non affliggermi di questa
cosa? E l'esperienza avutane già più volte, mi sforzava a risponder di sì, che
io poteva. Ma il non affliggersene sarebbe contro ragione: non vedi tu il male
come è grave, come è serio e vero? - Lasciamo star che nessun male è vero per
se, poichè se uno {non lo conosce o} non se ne
affligge, ei non è più male. Ma l'affliggertene può forse rimediarvi o
diminuirlo? - No. - Il non affliggertene può forse nuocerti? - No certo. - E non
è meglio assai per te il non pensarne, il non pigliarne dolore, che il
pigliarlo? - Meglio assai -. Come dunque sarà contro ragione? Anzi sarà
ragionevolissimo. E se egli è ragionevole, se utile,
4202 se tu lo puoi, perchè non lo fai? che ti manca se non il volerlo? - Io vi
giuro che queste considerazioni mi giovavano veramente, ed avevano reale
effetto, sicchè io ricusando di affliggermi di una mia sventura, per notabile
ch'ella fosse, non me ne affliggeva in verità, e ne pativa per conseguenza assai
poco. (Bologna 21. Sett. 1826.). {{V. p.
4225.}}