Bologna. Domenica, 29. Ottob. 1826.
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{Alla p.
4202.} Spesse volte in occasioni di gran travaglio e
afflizione d'animo, io mi sono consolato così. Ho dimandato a me stesso: Certo
questa è una sventura grande: ma posso io non affliggermi di questa cosa?
L'esperienza mia propria, di più altre volte, mi obbligava a risponder di sì,
che io poteva: {ma} il non affliggersene sarebbe cosa
irragionevole: la sventura è grande e vera. - Lasciamo star che sia vera: ma
affliggendomene la posso io dissipare o scemare? - Nulla. - Non affliggendomene,
crescerà ella punto, o me ne verrà punto di danno? - Punto. - Dunque come sarà
irragionevole il non affliggermene? E se questo è ragionevole, se {mi} è utilissimo (il che è manifesto), se io lo posso,
perchè non lo vorrò? - Vi giuro che questo discorso era efficace; che la mia
volontà si determinava secondo esso, ed otteneva il suo effetto; e che io mi
consolava e non pativa. (Bologna. Domenica, 29.
Ottob. 1826.).