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Bologna. Domenica, 29. Ottob. 1826.

[4225,1]   4225 {Alla p. 4202.} Spesse volte in occasioni di gran travaglio e afflizione d'animo, io mi sono consolato così. Ho dimandato a me stesso: Certo questa è una sventura grande: ma posso io non affliggermi di questa cosa? L'esperienza mia propria, di più altre volte, mi obbligava a risponder di sì, che io poteva: {ma} il non affliggersene sarebbe cosa irragionevole: la sventura è grande e vera. - Lasciamo star che sia vera: ma affliggendomene la posso io dissipare o scemare? - Nulla. - Non affliggendomene, crescerà ella punto, o me ne verrà punto di danno? - Punto. - Dunque come sarà irragionevole il non affliggermene? E se questo è ragionevole, se {mi} è utilissimo (il che è manifesto), se io lo posso, perchè non lo vorrò? - Vi giuro che questo discorso era efficace; che la mia volontà si determinava secondo esso, ed otteneva il suo effetto; e che io mi consolava e non pativa. (Bologna. Domenica, 29. Ottob. 1826.).