Recanati. 2. Marzo. 1827. 1. Venerdì di Marzo.
[4250,1] Ho detto altrove pp. 2752-53 che
nella primavera l'uomo suole sentirsi più scontento del suo stato, che negli
altri tempi. Così ancora nella state più che nel verno. La cagione è che allora
l'uomo patisce meno. Però desidera più il godimento e il piacere diretto. Nella
primavera poi tanto più sensibile è questo desiderio, quanto è più sensibile la
privazione del patimento e dell'incomodità che reca il freddo, la qual cessa
allora appunto. La infermità, il timore, il patimento di qualunque sorta volgono
l'amor del piacere nell'amor del non patire, o del fuggire il pericolo. l'animo
in quello stato, è meno esigente. Il non patire è più possibile ad ottenersi che
il godere. Però nell'inverno si sente meno la scontentezza del proprio essere,
che nella buona stagione. Nella quale l'animo ripiglia la sua avidità del
piacere; e, come è naturale, nol ritrova mai.
(Recanati 2. Marzo. 1827. 1. Venerdì di
Marzo.).