[459,1]
Le Filippiche di Cicerone, contengono l'ultima voce romana,
sono l'ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov'ella sia
difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D'allora in
poi la libertà non fu più l'oggetto di culto pubblico, nè delle lodi, e
insinuazioni degli scrittori. {(non solo romani, ma quasi
possiamo dire di qualunque nazione, se non de' francesi ultimamente. E
infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni
civilizzate.)} Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato
come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi
fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come
Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori. Si alzarono statue e
monumenti agli antichi liberali, si citarono, condannarono e proscrissero i
moderni. L'elogio della libertà, per una strana contraddizione, fu permesso ne'
discorsi negli scritti e nelle azioni, fino ad un certo tempo. Passato quel
termine, gli scrittori mutano linguaggio, e maledicono nei contemporanei, quello
che hanno divinizzato,
460 e divinizzano allo stesso
tempo, negli antenati. Tale è fra gli altri Velleio, grandissimo lodatore degli antichi fatti, libertà ec.
esecratore degli antichi nemici della libertà, e de' moderni amici; lodatore di
Nasica ed Opimio uccisori di Tib. e C. Gracchi, (uomini per altro, secondo lui,
egregi anzi sommi, se non in quanto attentarono alla libertà) ed esecratore
della congiura contro Cesare ec. Perchè
appena egli arriva a costui, si cambia scena manifestamente e tutto a un tratto,
e il suo linguaggio liberalissimo fino a quel punto, diviene abbiettissimo e
servilissimo nel seguito. Ed è tanto improvvisa e sensibile questa mutazione,
ch'egli è anche gran panegirista di Pompeo l'immediato antagonista di Cesare: e di Pompeo
repubblicano, perchè lo biasima dovunque egli manca ai doveri verso una patria
libera. (27. Dic. 1820.). {{V. p. 463.
capoverso 1.}}
[463,1]
463
Alla p. 460.
Se non altro non si potè più nè lodare nè insinuare e inculcare la libertà ai
contemporanei espressamente, e la libertà non fu più un nome pronunziabile con
lode, riguardo al presente o al moderno. Quando anche non tutti si macchiassero
della vile adulazione di Velleio, e
Livio fosse considerato come
Pompeiano nella sua storia, e sieno celeberrimi i sensi generosi di Tacito, ec. Ma
neppur egli troverete che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in
persona propria. Dei poeti, come Virgilio
Orazio, Ovidio, non discorro. Adulatori per lo più {de' tiranni presenti,} sebben lodatori degli antichi
repubblicani. Il più libero è Lucano.
(28. Dic. 1820.).