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27. Dic. 1820.

[459,1]  Le Filippiche di Cicerone, contengono l'ultima voce romana, sono l'ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov'ella sia difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D'allora in poi la libertà non fu più l'oggetto di culto pubblico, nè delle lodi, e insinuazioni degli scrittori. {(non solo romani, ma quasi possiamo dire di qualunque nazione, se non de' francesi ultimamente. E infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni civilizzate.)} Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori. Si alzarono statue e monumenti agli antichi liberali, si citarono, condannarono e proscrissero i moderni. L'elogio della libertà, per una strana contraddizione, fu permesso ne' discorsi negli scritti e nelle azioni, fino ad un certo tempo. Passato quel termine, gli scrittori mutano linguaggio, e maledicono nei contemporanei, quello che hanno divinizzato,  460 e divinizzano allo stesso tempo, negli antenati. Tale è fra gli altri Velleio, grandissimo lodatore degli antichi fatti, libertà ec. esecratore degli antichi nemici della libertà, e de' moderni amici; lodatore di Nasica ed Opimio uccisori di Tib. e C. Gracchi, (uomini per altro, secondo lui, egregi anzi sommi, se non in quanto attentarono alla libertà) ed esecratore della congiura contro Cesare ec. Perchè appena egli arriva a costui, si cambia scena manifestamente e tutto a un tratto, e il suo linguaggio liberalissimo fino a quel punto, diviene abbiettissimo e servilissimo nel seguito. Ed è tanto improvvisa e sensibile questa mutazione, ch'egli è anche gran panegirista di Pompeo l'immediato antagonista di Cesare: e di Pompeo repubblicano, perchè lo biasima dovunque egli manca ai doveri verso una patria libera. (27. Dic. 1820.). {{V. p. 463. capoverso 1.}}