27. Dic. 1820.
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Le Filippiche di Cicerone, contengono l'ultima voce romana,
sono l'ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov'ella sia
difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D'allora in
poi la libertà non fu più l'oggetto di culto pubblico, nè delle lodi, e
insinuazioni degli scrittori. {(non solo romani, ma quasi
possiamo dire di qualunque nazione, se non de' francesi ultimamente. E
infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni
civilizzate.)} Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato
come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi
fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come
Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori. Si alzarono statue e
monumenti agli antichi liberali, si citarono, condannarono e proscrissero i
moderni. L'elogio della libertà, per una strana contraddizione, fu permesso ne'
discorsi negli scritti e nelle azioni, fino ad un certo tempo. Passato quel
termine, gli scrittori mutano linguaggio, e maledicono nei contemporanei, quello
che hanno divinizzato,
460 e divinizzano allo stesso
tempo, negli antenati. Tale è fra gli altri Velleio, grandissimo lodatore degli antichi fatti, libertà ec.
esecratore degli antichi nemici della libertà, e de' moderni amici; lodatore di
Nasica ed Opimio uccisori di Tib. e C. Gracchi, (uomini per altro, secondo lui,
egregi anzi sommi, se non in quanto attentarono alla libertà) ed esecratore
della congiura contro Cesare ec. Perchè
appena egli arriva a costui, si cambia scena manifestamente e tutto a un tratto,
e il suo linguaggio liberalissimo fino a quel punto, diviene abbiettissimo e
servilissimo nel seguito. Ed è tanto improvvisa e sensibile questa mutazione,
ch'egli è anche gran panegirista di Pompeo l'immediato antagonista di Cesare: e di Pompeo
repubblicano, perchè lo biasima dovunque egli manca ai doveri verso una patria
libera. (27. Dic. 1820.). {{V. p. 463.
capoverso 1.}}