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28. Dic. 1820.

[461,1]  Alla p. 8. capoverso 1 e p. 10. fine. Non solamente nelle azioni naturali, o manuali, insomma materiali, ma in tutte quante le cose umane, è necessario l'abbandono e la confidenza: e per lo contrario la diffidenza, o il troppo desiderio, premura, attenzione e studio di riuscire è cagione che non si riesca. Se tu non hai nulla da perdere ti diporterai franchissimamente nel mondo. E acquisterai facilmente il buon tratto e la stima, quando non avrai più stima da conservare: o in proporzione. E viceversa. Che se ti troverai in un luogo, occasione ec. dove ti prema {assai} di figurare, probabilmente sfigurerai. E se parlando con una persona, ne avrai guadagnata la stima ti costerà moltissimo il non perderla, quando ti sarai accorto di possederla, e ti premerà di conservarla. La qual cosa succede massimamente nell'amore, o anche nella galanteria, che cercando di conservare, si perde quella stima {e quell'amore} di una persona che si è guadagnato senza cercarlo. Così discorrete di cento altri generi di cose. La natura insomma è la sola potente, e l'arte non solo non l'aiuta, ma spesso la lega; e lasciando  462 fare si ottiene quello che non si può ottenere volendo fare. La noncuranza dell'esito, e la sicurezza di riuscire è il più sicuro mezzo di ottenerlo, come la troppa cura, e il troppo timore di non riuscire, è cagione del contrario. Nè si può nelle cose umane acquistar facilmente questa sicurezza, e schivar questo timore, senza una certa noncuranza, o senza esser preparato in alterutram partem. E perciò i disperati, o quelli che hanno tutto perduto, e niente da perdere nè da conservare, riescono meglio degli altri nella vita. Nè c'è un disperato così povero e impotente che non sia buono a qualche cosa nel mondo, da che è disperato. E questo è il motivo per cui naturalmente, e non a caso, audaces fortuna iuvat. (28. Dic. 1820.).